Cosa farà l’Italia in Niger?
Il ministero della Difesa si è affrettato a smentire le indiscrezioni diffuse da alcuni media circa l’annullamento della missione militare italiana in Niger varata dal Parlamento all’inizio dell’anno.
Secondo il Corriere della Sera la decisione di abortire la missione che avrebbe dovuto impegnare 140 militari entro giugno e il doppio nei mesi successivi sarebbe stata assunta da Roma a causa delle “troppe resistenze a livello locale” che “hanno convinto il presidente nigerino Mahamadou Issoufou a chiedere al nostro governo un rallentamento nelle procedure di invio del contingente, che di fatto si traduce in uno stop”.
Bloccata anche la partenza dei militari per la Tunisia dive 60 militari italiani dovevano partecipare alla missione Nato per supportare le forze di sicurezza tunisine nella costituzione e messa in funzione del Comando interforze per il controllo delle frontiere e la lotta al terrorismo.
Il governo tunisino – ha scritto il Corriere – ha spiegato che “la presenza dei militari non appariva necessaria, soprattutto tenendo conto degli equilibri interni e della situazione locale”.
Tornando al Niger il Corriere ha sottolineato che “resta da risolvere il problema del reparto che era stato mandato a Niamey per la pianificazione logistica: 40 persone che il governo potrebbe decidere di far rientrare visto che al momento restano confinate nella base statunitense in attesa di nuove disposizioni”.
Lo stato maggiore della Difesa ha smentito il ritiro dal Niger dei 40 militari guidati dal generale Antonio Maggi, sistemati per ora in tende nel campo sportivo della base statunitense presso l’aeroporto di Niamey (nella foto in alto).
Il comunicato ribadisce che “stanno proseguendo le attività programmate del nucleo di ricognizione per attività di collegamento e preparazione, di intesa con le autorità nigerine, e di predisposizione all’approntamento della base italiana in Niger” aggiungendo che “non ci sono quindi ipotesi di ritiro del personale militare italiano”.
Per quanto riguarda la missione in Tunisia la Difesa si è limitata a ribadire che “si tratta di una iniziativa NATO di supporto tecnico-militare verso un paese chiave per la sicurezza del fianco sud, a cui l’Italia ha dato la propria disponibilità a partecipare, e che si svilupperà in base alla definizione dei necessari accordi tra il Paese nordafricano e l’Alleanza Atlantica”.
Difficile però nascondere le evidenti difficoltà che sta trovando l’Italia nel dispiegare in Nord Africa e Sahel le nuove missioni militari che avrebbero dovuto indicare una visione strategica tesa a garantirci posizioni avanzate nei Paesi da cui provengono i problemi più seri per la sicurezza della Penisola e cioè terrorismo/jihadismo e immigrazione illegale.
Impossibile non notare che in Niger è la Francia (nostra rivale storica) a detenere l’influenza più rilevante così come in Tunisia potrebbero essere statunitensi e britannici (già presenti in forze nel paese nordafricano) a indurre il governo tunisino a respingere l’invio di nostri militari.
Non si spiegherebbe diversamente la decisione di Tunisi indicata dal Corriere poiché se è vero che la presenza militare straniera crea problemi all’esecutivo locale i primi a dover essere allontanati dovrebbero essere proprio i militari statunitensi e britannici, le cui missioni di supporto e consulenza sono nazionali, non certo inquadrate in ambito Nato.
Riguardo al Niger, negli ultimi mesi diversi ministri del governo di Niamey hanno espresso riserve circa l’arrivo dei soldati italiani negando addirittura che fosse stato richiesto da loro stessi nell’ambito dell’accordo di cooperazione militare firmato con l’Italia nel settembre scorso (nella foto a lato).
E’ vero che l‘opposizione nigerina lamenta l’eccessiva presenza di truppe straniere ma anche in questo caso la decisione del governo di bloccare il dispiegamento delle forze italiane (appena 140 militari) è paradossale tenuto conto che sono oltre un migliaio i militari francesi, statunitensi, tedeschi e canadesi già presenti in Niger e tutti (escluso il contingente tedesco) con compiti anche di combattimento.
“Le ragioni di quanto sta accadendo risiedono nell’atteggiamento francese, verosimilmente poco collaborativo nei confronti di una visione della quale si dovrebbe invece impossessare l’Europa” ha commentato in un’intervista a Il Messaggero il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell”Aeronautica e attuale presidente della Fondazione Icsa,.
“In alcuni paesi Parigi ha un ruolo da operatore dominante e questo spiegherebbe un atteggiamento inizialmente favorevole dei governanti nigerini verso l’Italia, seguito da un recente voltagabbana”.
La Francia infatti aveva accolto positivamente la volontà di Roma di schierare truppe in Niger ma avrebbe voluto che il contingente partecipasse ai combattimenti e venisse posto sotto il comando francese dell’Operazione Barkhane, che combatte i jihadisti in tutto il Sahel.
L’Italia invece ha varato una missione di solo addestramento e consulenza, per giunta indipendente dal comando francese come dimostra la dislocazione della nostra avanguardia presso la base americana.
“Se la rottura con la Francia non dovesse rientrare – conclude Tricarico – “dovremmo fare una revisione critica del nostro atteggiamento disponibile e solidale in campo atlantico e verso Stati Uniti, nord Europa e Francia”.
Di certo sul “fronte nigerino” Roma si trova in un “cul de sac”: o lascia i suoi militari a Niamey a far nulla in una condizione imbarazzante, in attesa di un accordo sulla missione che forse non arriverà mai, oppure richiama il generale Maggi e i suoi uomini dandola vinta ai francesi che ci umilierebbero così per l’ennesima vola.
Anche perché non c’è davvero nulla di cui stupirsi nell’ostilità dei nostri “alleati” nei confronti del tentativo dell’Italia di difendere i suoi interessi in Nord Africa.
Oppure abbiamo già dimenticato o rimosso (forse in nome della pretesa fedeltà a Nato e Ue che il Quirinale “impone” a chi si candida a guidare il nuovo governo) la sciagurata guerra contro Muammar Gheddafi voluta nel 2011 da Usa, Francia e Gran Bretagna che esercitarono pressioni fortissime per indurre anche l’Italia a parteciparvi?
da Nuova Bussola Quotidiana
Foto: AP, Ministero Difesa italiano, CNN e US Army
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.