Italia in ginocchio anche nel Sahel: per farsi accettare regala (invano) medicine al Niger
Nei giorni in cui le massime istituzioni nazionali hanno ufficializzato che per governare l’Italia non basta ottenere i voti del popolo sovrano ed essere fedeli alla Costituzione ma occorre essere graditi alle potenze straniere (quindi ancora “occupanti”?), Roma continua a genuflettersi (un vizio ormai entrato nel DNA nazionale?) anche di fronte ai Paesi più poveri del mondo.
Lo Stato Maggiore Difesa ci ha infatti informato oggi che “nei giorni scorsi i militari italiani della Missione Bilaterale di Supporto in Niger (MISIN) e l’Ambasciata d’Italia a Niamey hanno provveduto alla consegna di un secondo lotto di farmaci e presidi sanitari a favore del Ministero della Salute Pubblica e del Ministero della Difesa nigerini”.
Si tratta di 12 tonnellate di medicine portate a Niamey da un aereo da trasporto C-130J della nostra Aeronautica Militare dopo che una prima consegna di 15 tonnellate di medicinali era stata effettuata in aprile, con l‘evidente obiettivo di accelerare il via libera alla missione italiana di addestramento e supporto che il governo nigerino afferma di non aver mai sottoscritto e di non voler attuare mentre anche i francesi (potenza egemone in Niger) la ostacolano con forza dopo la decisione di Roma di non porre i nostri militari sotto il comando di Parigi (Operation Barkhane) e di escluderli da compiti di combattimento.
La Difesa spiega oggi che “questa seconda donazione della Cooperazione Italiana di materiali sanitari e farmaci di prima necessità, si inserisce nell’ambito di una serie di iniziative di cooperazione tra l’Italia ed il Niger già avviata dal 24 aprile scorso, che comprende un sostegno multidimensionale verso particolari criticità locali”.
Infatti, continua il comunicato, il “generale di Brigata Antonio Maggi, Comandante della MISIN, e l’Ambasciatore d’Italia, dottor Marco Prencipe, hanno individuato una serie di farmaci e presidi sanitari ritenuti essenziali, concordati con i sanitari dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, presente nella capitale nigerina”.
Lo Stato Maggiore Difesa non dedica neppure una riga (forse per carità di Patria) del suo comunicato a ricordare che la MISIN non è mai decollata, che il Niger non ne autorizza l’attuazione né specifica quale addestramento vorrebbe venisse impartito dai militari italiani alle sue forze armate. Anzi, il ministro degli Interni, Mohamed Bazoum ha detto, pur con molte ambiguità, che “una missione italiana in Niger è fuori discussione”.
Del resto se Niamey volesse davvero la presenza dei nostri militari avrebbe già chiuso l’intesa sulla definizione della MISIN.
Infatti il comunicato della Difesa non si sofferma neppure sul fatto che il generale Maggi e i suoi 40 militari vivono da mesi accampati in tende nel campo da basket della Air Base 101 statunitense di Niamey e ad oggi non esiste un SOFA (Status of Force Agreement), cioè un accordo che definisca anche sul piano giuridico la posizione dei nostri militari in Niger.
Dopo avergli donato 100 milioni di euro e aver firmato nel settembre scorso un accordo di cooperazione militare, Roma continua a farsi sbeffeggiare dal Niger su una missione che avrebbe dovuto evidenziare la volontà italiana di agire concretamente per combattere i jihadisti e i trafficanti di esseri umani che proprio dal Niger transitano diretti verso le coste libiche.
E invece alla beffa dei nostri militari parcheggiati a Niamey senza scopo si aggiunge il danno degli ultimi flussi di migranti illegali, oltre 2mila sbarcati in Italia nelle ultime 48 ore: numeri che non su vedevano dal luglio scorso.
Le cause del fallimento della MISIN prima ancora della sua nascita dipendono certamente anche dagli errori di valutazione compiuti dall’Italia: primo tra tutti l’assurda pretesa di mandare truppe ovunque, quasi potessero da sole colmare il vuoto lasciato da una politica estera inesistente, pretendendo però che non combattano e non vengano mai convolte in azioni belliche.
La MISIN è quindi un pasticcio, come abbiamo più volte illustrato, le cui responsabilità non sono certo solo italiane ma non per questo dovremmo continuare a coprirci di ridicolo. Prendiamo atto del flop e ritiriamo il generale Maggi e i suoi uomini da Niamey.
Se davvero a Roma ci fosse la volontà di bloccare i flussi di migranti illegali non ci sarebbe bisogno di schierare truppe in Niger o in Libia. Basterebbe riportare in Libia, consegnandoli alla Guardia costiera che addestriamo ed equipaggiamo, tutti i migranti illegali soccorsi in mare bloccando ogni accesso ai nostri porti alle navi delle Ong e a quelle militari dei Paesi Ue che intendano sbarcarvi clandestini.
Le emergenze legate alla sicurezza dell’Italia vanno gestite con gli strumenti militari e di sicurezza dello Stato ma evidentemente non in Niger dove assistiamo da mesi allo spettacolo umiliante della settima potenza economica mondiale (e tra le prime 15 per spesa militare) supplicante ai piedi del terzo Paese più povero del mondo che ha detto espressamente e nitidamente per bocca dei suoi più importanti ministri di non volere truppe italiane sul suo territorio.
Perchè, va detto, sono solo italiani i militari stranieri sgraditi in Niger, Stato in cui operano da anni forze da combattimento francesi, statunitensi e canadesi oltre a unità logistiche e di addestramento tedesche e persino algerine.
Infatti tale è la considerazione per l’Italia e i suoi doni che la consegna degli aiuti sanitari presso l’aeroporto militare di Niamey è avvenuta “alla presenza dei rappresentanti dei Ministeri della Salute Pubblica e della Difesa del Niger”, quindi neppure dei ministri nigerini.
Anche alla luce di queste considerazioni strappa davvero un sorriso amaro constatare che il comunicato di SMD conclude affermando che la donazione di medicinali rappresenta “una chiara dimostrazione di come le missioni svolte dalle Forze Armate all’estero si caratterizzino sempre più marcatamente come interministeriali e inter-agenzia, nonché come espressione del concreto impegno dell’intero Sistema Paese”.
Foto: Difesa.it
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.