Migranti illegali: le Ong contro la Guardia Costiera libica

(aggiornato alle ore 19,00)

Le organizzazioni non governative che operano davanti alle coste libiche, in seguito alla chiusura del porti italiani voluta dal Ministro dell’Interno, stanno cambiando rotta diventando sempre più spregiudicate, grazie a strategie decisamente discutibili. Due premesse per inquadrare meglio il contesto.

Come si è dimostrato ampiamente utilizzando i dati della IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), l’impegno delle ONG in zona ricerca e salvataggio libica non ha influito sulla diminuzione delle morti in mare.

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I migranti deceduti lungo la rotta verso l’Italia sono diminuiti, sia in valore assoluto sia in termini percentuali sulle partenze, passando dalle 1642 del 2017 alle 390 del 2018 come riferisce il report Missing Migrants di IOM che certifica le morti (comparazione periodo gennaio/maggio).

Stimando che i migranti riportati in Libia dalla Guardia Costiera libica siano 22.300 a cui si aggiungono i 9.214 arrivati in Italia, la percentuale delle morti in proporzione alle partenze del 2018 è 1,2%, mentre nel 2017 è stata di 2,6%.

Ciò è dovuto principalmente a due fattori: l’impegno della Guardia Costiera Libica nella propria zona SAR (Ricerca e Soccorso) di competenza e la riduzione del numero delle navi delle ONG davanti alle coste della Libia.

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Da qualche tempo, alcuni media stanno facendo una voluta confusione tra l’odierna Guardia Costiera Libica e la Milizia di Zawiya, che operava come facilitatrice dei trafficanti prima dell’accorso Italia-Libia dell’estate scorsa.

I miliziani sono stati arrestati nel 2017 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e contrabbando di petrolio libico; rimane solo latitante il comandante Abdulrahman al-Milad detto al-Bija, tra i quattro libici (più 2 eritrei) sottoposti dal 7 giugno a sanzioni dalle Nazioni Unite per traffico di esseri umani.

Possiamo sostanzialmente dividere la trattazione sulle operazioni discutibili delle ONG in due periodi: prima dell’accordo Italia-Libia del luglio 2017 e dell’introduzione del Codice di Condotta delle ONG dell’allora ministro Marco Minniti, e dopo.

Prima della scorsa estate sono diversi e ben documentati i rapporti di collaborazione tra le organizzazioni non governative, la Milizia di Zawiya e i trafficanti di esseri umani.

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Queste consuetudini sono confermate da diverse immagini e video, fatti dalle ONG stesse e presumibilmente sfuggite al controllo.

La Milizia ha aiutato per ben due anni le ONG nelle operazioni di trasbordo dei migranti ad un passo dalle coste libiche.

Nessuna organizzazione non governativa ha mai di fatto denunciato queste pratiche, né si è mai scagliata contro la Milizia di Zawiya, come è pratica diffusa ora contro la Guardia Costiera Libica.

Addirittura i miliziani vengono fatti salire a bordo della nave di Proactiva Open Arms, come fosse una pratica abituale.

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Verificato che gli incontri con la Milizia di Zawiya era ormai diventata una prassi comune e ben accetta dalle ONG, altre immagini documentano altresì dei rapporti ambigui con quelli che abbiamo ormai imparato a conoscere come trafficanti travestiti da pescatori libici.

Per vedere tuttavia l’effettiva condotta delle ONG davanti alle coste della Libia, bisogna analizzare gli eventi successivi all’accordo Italia-Libia, questo perché possiamo disporre delle immagini e dei video girati dalla Guardia Costiera Libica.

Il 6 novembre 2017 avviene la prima irruzione documentata di una ONG in un salvataggio dove era precedentemente intervenuta la Guardia Costiera Libica.

Anticipiamo che questa incursione ha causato la morte di 5 migranti, e una denuncia contro il nostro Paese presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, depositata da 17 migranti sopravvissuti e sostenuti da una rete di ONG e associazioni finanziate dalla Open Society Foundations di George Soros.

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Le immagini del Video mostrano chiaramente che la ONG tedesca, Sea Watch, il 6 novembre, contravvenendo agli ordini del Centro di Coordinamento Soccorso Marittimo di Roma (MRCC) e a quelli della Guardia Costiera Libica, irrompono nella scena causando il caos tra i migranti già a bordo della motovedetta libica, che si buttano in mare consapevoli che l’organizzazione privata li traghetterà in Italia.

L’accaduto è altresì confermato da un’informativa del 1° marzo scorso, inviata da EUNAVFOR MED Operazione Sophia (responsabile del monitoraggio della Guardia Costiera Libica) alle autorità competenti dell’Unione Europea.

Questo tipo di attacco di “pirateria umanitaria” della ONG Sea Watch contro la Guardia Costiera Libica si ripetè altre due volte: il 21 aprile e il 25 maggio scorsi.

Il 21 aprile (Video), un elicottero italiano in ricognizione all’interno delle acque territoriali libiche, segnala un’imbarcazione in difficoltà, ma ancora in galleggiamento, al Centro di Coordinamento Soccorsi Marittimi di Roma, che prontamente lancia il dispaccio alle navi nelle vicinanze.

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Ancora più tempestiva è la risposta di Sea Watch che si dice disponibile al salvataggio perché già in prossimità del gommone. MRCC di Roma nega però l’autorizzazione alla ONG facendo presente che una motovedetta della Guardia Costiera Libica sta già convergendo in loco, e le intima di tenersi a debita distanza.

Nonostante gli ordini ricevuti da Roma, Sea Watch invia le sue veloci scialuppe di salvataggio e queste si fermano dove i migranti sul gommone possano facilmente scorgerle. All’arrivo della Guardia Costiera Libica, inizia il solito caos.

Solo grazie al buon senso dei libici, una strage simile a quella del 6 novembre 2017 viene scongiurata: la motovedetta lascia che sia la Sea Watch a trasbordare i migranti.

Il video dimostra altresì la goffaggine e l’assoluta mancanza di esperienza del comandante della ONG, Pia Klemp, ex speronatrice di baleniere di Sea Sheperd. Scarrocciando senza controllo, la nave investe i migranti che stanno salendo a bordo, buttandone addirittura qualcuno in mare. Neppure i suggerimenti degli uomini della Guardia Costiera Libica sembrano sortire effetti.

Il 25 maggio (video) scorso la situazione si ripete nuovamente. Questa volta sulla scena oltre alla Sea Watch, troviamo anche la Sea-Eye, altra ONG tedesca i cui volontari, più che esperti di salvataggio, sono croceristi in cerca di nuove avventure.

Dopo diversi giorni di “canto delle sirene” delle due navi delle ONG davanti alla Libia, il 25 maggio Sea Watch e Sea-Eye entrano chiaramente nelle acque di competenza della Guardia Costiera Libica, prima della segnalazione dell’MRCC di Roma.

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In seguito alle vicende documentate sia dal video girato dei libici sia da quello di Chanel 4 News (video), la cui troupe era a bordo di Sea Watch, la Guardia Costiera Libica pubblica un comunicato: “Abbiamo ricevuto la segnalazione di 2 gommoni e così abbiamo trovato le ONG già all’interno delle nostre acque territoriali.

Uno dei gommoni era vicino alla nave di una delle ONG. Quindi ci siamo diretti verso l’altro. Abbiamo lì trovato la barca di salvataggio di una delle ONG che trascinava il gommone verso la nave madre.

Gli abbiamo intimato di smettere di trascinarlo e che ci saremmo occupati noi delle operazioni di salvataggio. Dapprima hanno rifiutato gli ordini. Poi si sono fermati. Ma quando abbiamo iniziato il soccorso, una delle persone presenti sulla barca di salvataggio ha urlato ai migranti di buttarsi in mare e così circa 30 persone si sono gettate in mare”.

Le persone finite in mare lungo il trascinamento del gommone verso la nave madre sono state prontamente salvate dalla Guardia Costiera Libica.

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In questa sede, non abbiamo menzionato gli altri casi di comportamento discutibile delle organizzazioni non governative, che hanno portato all’apertura di due indagini: a marzo la Procura di Ragusa ha avviato un’inchiesta che vede coinvolta la spagnola Proactiva Open Arms per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre dall’agosto del 2017 la Procura di Trapani sta indagando sulla tedesca Jugend Rettet, causando il sequestro, sancito anche in Cassazione, della nave Iuventa.

Durante una recente intervista rilasciata a SkyTg24, è lo stesso Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta (nella foto sopra), a porre dei dubbi sulle reali motivazioni che guidano le organizzazioni private: “Non possiamo affermare se ci sia traffico di esseri umani gestito e coordinato dalle ONG finché non viene svolto un processo nei loro confronti.

Le ONG dovrebbero collaborare veramente a salvare i migranti e, dov’è stabilito che devono essere riportati in Libia, devono attenersi a questo. Invece, a volte, tendono a portarli verso l’Italia e verso le altre costeQueste scelte possono far venire il dubbio che siano parte di un progetto.

Foto: ONG, Corriere della Sera e Formiche.net

 

Francesca TotoloVedi tutti gli articoli

Ricercatrice e reporter indipendente, collabora con Il Primato Nazionale, Byoblu e Luca Donadel. Si occupa da tempo di flussi migratori illegali e in particolare dell’operato delle navi delle Organizzazioni non governative.

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