Haftar libera Derna e ammonisce l’italia
Dopo aver riconquistato i terminal della Mezzaluna petrolifera espugnati il feldmaresciallo Khalifa Haftar ha annunciato la liberazione di Derna dalle milizie jihadiste.
Derna, ex piazzaforte italiana durante la campagna d’Africa Settentrionale nella Seconda guerra mondiale, rappresentava l’ultimo lembo di territorio della Cirenaica non controllato dall’Esercito Nazionale Libico (ENL) di Haftar che controlla anche parte del sud della Libia.
“Annunciamo con grande fierezza la liberazione della città’ di Derna”, ha detto Haftar il 29 giugno ricordando che la città era assediata da tre anni ma che altre priorità militari avevano indotto il comando dell’ENL a posticipare l’attacco contro le milizioe islamiste vicine ad al-Qaeda che controllava la città, fin dagli anni ’90 culla e baluardo dell’estremismo jihadista libico.
Nel riferirsi alla liberazione di Bengasi compiuta l’anno scorso, Haftar ha affermato che “con queste schiaccianti vittorie successive, il mondo deve esprimere i propri profondi ringraziamenti” per questa “protezione dal terrorismo”.
Lo stesso Haftar, di recente in un’intervista alla rivista Al Ahram al-Arabi, aveva definito Derna “l’ultimo bastione dei terroristi nell’est della Libia”. Il generale aveva ordinato la presa della città nel maggio scorso.
A Derna, secondo un autorevole analista, è stato a lungo asserragliato “fronte variegato” che, oltre a oppositori di Haftar, “include anche simpatizzanti jihadisti ma avversari dell’Isis”.
E’ noto inoltre che il Consiglio dei Mujahedin della città era composto da miliziani di Ansar Al Sharia e da gruppi locali che si rifanno alla Fratellanza Musulmana mentre la presenza di al-Qaeda in città è stata comprovata dal recente arresto di un ex-autista personale di Osama Bin Laden.
Lo stesso 29 giugno il comando dell’ENL ha però messo in guardia gli Stati che vogliono stabilire una presenza militare nel sud della Libia, con il pretesto di combattere l’immigrazione clandestina.
Un comunicato citato dal sito informativo locale “al-Wasat” precisa che tale iniziativa, “sarebbe considerata una palese violazione delle regole del diritto internazionale ed un chiaro attacco allo Stato libico e alla sua sovranità”.
Inoltre, l’LNA fa sapere che verranno prese tutte le misure per proteggere lo Stato libico, i suoi confini, la popolazione, le istituzioni e le sue capacità economiche.
Un monito chiaramente diretto all’Italia e lo stesso al-Wasat ricorda che una delegazione italiana della sicurezza coordinata dal direttore del Dipartimento centrale dell’immigrazione, Massimo Bontempi, con al seguito un team di genieri ed altri esperti militari e di polizia italiani, si è recata il 28 giugno a Ghat (sud ovest libico) per valutare la costituzione reazione di 5 punti di osservazione lungo i confine meridionale con Niger, Ciad e Algeria e di un posto comando e centro d’addestramento per le guardie di frontiera: il tutto da realizzare con i fondi dell’Unione europea per il controllo dell’immigrazione illegale.
L’area di Ghat risente degli scontri tra le forze fedeli ad Haftar e quelle che rispondono al governo di Tripoli in atto da tempo a Sebha, a nord di Ghat e città più importante del Fezzan.
L’arrivo della missione di ricognizione italiana, autorizzato dal premier Fayez al-Sarraj, è stara accolta da manifestazioni nei pressi dell’aeroporto della città, forse ispirate dagli uomini di Haftar o animate dalle forze che sui traffici illegali e sull’assenza di controlli hanno imbastito ricchi affari.
Il peso del monito di Haftar è stato del resto confermato dall’intervento dell’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Persone, che sul suo profilo Twitter ha definito “semplicemente una fake news” le voci secondo cui l’Italia starebbe creando una base militare nel sud della Libia.
Perrone ha precisato che “Il ministero dell’Interno guida un programma dell’Unione europea per rafforzare la sovranità e le capacità della Guardia di frontiera per combattere i trafficanti di esseri umani”.
Meglio poi non scordare che tra i sostenitori di Haftar c’è la Francia, nostro acerrimo rivale in Libia, Africa e sul fronte dell’immigrazione illegale come è apparso chiaro anche nell’ultimo vertice Ue a Bruxelles.
Il 30 giugno il Ministero degli Interni ha reso noto che dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia 16.566 migranti illegali, il 79,07% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando ne arrivarono 79.154.
Dai dati del Viminale, aggiornati al 28 giugno, emerge dunque che per il dodicesimo mese consecutivo gli sbarchi nel nostro paese sono in calo: l’ultimo picco fu registrato proprio a giugno dell’anno scorso, quando sbarcarono 23.526 migranti (nel 2016 ne arrivarono 22.339 mentre quest’anno il numero è’ fermo a 3.136).
Dal mese di luglio 2017, che ha coinciso con gli accordi siglati con la Libia dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, si è sempre registrata una diminuzione. Dei 16.566 arrivati nei primi sei mesi del 2018 (la quasi totalità, 15.741, nei porti siciliani), 11.401 sono partiti dalla Libia: un calo nelle partenze dell’84,94% rispetto al 2017 e dell’83,18% rispetto al 2016. Quanto alle nazionalità di quelli che sono arrivati, la prima è la Tunisia, con 3.002 migranti, seguita da Eritrea (2.555), Sudan (1.488) e Nigeria (1.229).
da Nuova Bussola Quotidiana
Foto: Ansa, SVG, Gulf News e AFP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.