Ci mancavano solo i clandestini-pirati
Pensavamo di avere viste dopo anni di immigrazione illegale incontrollata in Italia ma sbagliavamo. I trafficanti e i loro alleati, pronti a tutto pur di impedire la chiusura dei porti italiani ai flussi di clandestini e la fine del business miliardario, hanno escogitato un’altra formula per far sbarcare nella Penisola gli immigrati illegali: la pirateria.
Non si può definire diversamente la vicenda del rimorchiatore/nave appoggio Vos Thalassa che ha raccolto in mare 63 “naufraghi” su un barcone fatiscente nelle acque di competenza libica per la ricerca e soccorso ma non ha potuto consegnarli alle motovedette di Tripoli accorse sul posto a causa delle minacce ricevute da coloro che erano stati appena salvati.
La Guardia Costiera italiana ha inviato così il pattugliatore Diciotti che ha prelevato i migranti illegali per sbarcarli a Trapani individuando i due (solo due?) facinorosi che avevano minacciato l’equipaggio italiano della Vos Thalassa, che lavora in quelle acque a supporto delle piattaforme petrolifere della Total.
I migranti si sono ribellati e hanno minacciato di sequestrare l’equipaggio perchè non volevano tornare in Libia ha confermato all’agenzia di stampa AGI la Guardia costiera libica.
“I migranti sarebbero stati avvicinati alle coste libiche per essere consegnati a noi”, ha spiegato il contrammiraglio Ayoub Qassem, portavoce della Guardia costiera libica. “I migranti hanno però minacciato l’equipaggio perchè non volevano in alcun modo tornare verso la Libia” ha aggiunto.
“La Guardia costiera ha inviato anche una propria motovedetta per accompagnare il rimorchiatore verso la costa ma non c’è stato nulla da fare: le persone a bordo hanno continuato a protestare e a minacciare l’equipaggio, costringendo il rimorchiatore a dirigersi verso nord”, conferma il contrammiraglio.
“Non abbiamo voluto fare nulla che potesse far degenerare ulteriormente la situazione. La nostra priorità era garantire l’incolumità dell’equipaggio e di tutte le altre persone”, ha aggiunto Qassem, che ora teme che questo possa essere solo il primo di una serie di episodi di “ribellione da parte dei migranti”.
La vicenda impone di precisare alcuni aspetti, anche di carattere linguistico. Nella storia della marineria non si è mai visto un gruppo di naufraghi minacciare chi li ha soccorsi, quindi sarebbe giusto chiamarli pirati, nome legittimo per chi attacca, minaccia e dirotta navi ed equipaggi.
Corretto intervenire con una “robusta” nave militare italiana per togliere dai guai l’equipaggio della Vos Thalassa ma la Diciotti avrebbe dovuto tenere sotto custodia i “clandestini-pirati” fino al loro sbarco, ma in Libia, non in Italia.
Secondo la Guardia Costiera dei 67 a bordo solo 2 (un sudanese e un ghanese) sarebbero quelli che hanno minacciato quella che però i libici chiamano “rivolta”. Possibile che solo in due abbiano obbligato i 12 marnai della Vis Thalassa a cambiare rotta?
Qualche perplessità suscita anche il ruolo del rimorchiatore, già impiegato in passato per soccorrere migranti illegali e curiosamente appartenente allo stesso armatore olandese, Vroon, che negli anni scorsi affittò due sue navi, la VOS Prudence e la Vos Hestia rispettivamente alle ong Medici Senza Frontiere e Save the Children che le impiegarono per raccogliere clandestini e sbarcarli esclusivamente in Italia.
Meglio quindi fare chiarezza su tutta la vicenda anche perché di farabutti e criminali da Asia e Africa negli ultimi anni ne abbiamo accolti fin troppi inclusi spacciatori, papponi, assassini, ladri, “cannibali”, foreign fighters jihadisti e persino stregoni voodoo!
Fonti del Viminale precisano che a bordo della Diciotti ci sono 4 algerini, un bengalese, un ciadiano, 2 egiziani, un ghanase, 10 libici, 4 marocchini, 1 nepalese, 23 pakistani, 7 palestinesi, 12 sudanesi e 1 yemenita. Forse solo quest’ultimo potrebbe avere diritto all’asilo ammesso che provenga da una zona di guerra dello Yemen.
Certo i clandestini sanno bene che se respinti in Libia non finiranno in “lager” ma in centri d’accoglienza in attesa del rimpatrio. Del resto nessuno li ha obbligati a partire e moltissimi africani vanno anche oggi in Libia non per raggiungere l’Europa ma lavorare in quel paese nonostante le sue difficoltà.
L’anno scorso un rapporto dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni rese noto che dei 375 mila migranti africani censiti in Libia solo un terzo puntava a raggiungere l’Europa mentre gli altri cercavano lavoro nella stessa Libia da dove era più facile ed economico tornare a casa.
Piuttosto è evidente che nessuno di coloro che puntano venire in Europa vuole tornare a casa, rimpatriato da un volo dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, dopo aver speso migliaia di euro (un capitale in Africa e in alcune zone dell’Asia) e in alcuni casi aver rischiato la vita nel deserto e in mare.
Se ha ragione il contrammiraglio Qassem di “clandestini-pirati” ne vedremo presto ancora: una ragione in più per espellere immediatamente i 67 sbarcati dalla Diciotti, per vietare l’intervento di navi civili nelle acque di competenza libica e per ordinare alle navi militari italiane e Ue di consegnare i clandestini a Tripoli dove le agenzie dell’Onu provvederanno al loro rimpatrio.
Ieri la Guardia costiera libica ha ricevuto nella base di Abu Sittah (Tripoli) un gruppo di tecnici del Guardia di Finanza italiana nell”ambito del programma di mantenimento delle unità’ navali libiche fornite dall’Italia.
I tecnici italiani dovranno verificare le condizioni di 8 imbarcazioni libiche: quattro motovedette classe “Bigliani” lunghe 28 metri, una delle quali necessita di riparazioni, oltre a un altro natante di 38 metri e tre unità da 16 metri in attesa della consegna di 12 nuove unità: 2 classe Corrubbia ex Guardia di Finanza da 27 metri e 10 Classe 500 da 10 metri ex Guardia Costiera.
Del resto è evidente (Analisi Difesa lo sottolinea ormai da 5 anni) che solo chiudendo i porti a tutti i clandestini e dimostrando che la chiusura è totale cesseranno i traffici illeciti e con essi le morti in mare.
Certo (ma ce ne faremo una ragione) avrebbe fine anche il business dei soccorsi e dell’accoglienza che tanti miliardi ha fatto incassare in questi anni a molti di coloro che oggi promuovono marce e digiuni per ragioni umanitarie.
Foto: Ansa, Guardia Costiera Libica, CNN e AFP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.