La bomba ad orologeria dei jihadisti a piede libero

Da Nuova Bussola Quotidiana del 13 luglio

Djamel Beghal, 52 anni, è a fine pena e il 5 agosto lascerà il carcere di Vezin, a Rennes, Francia. Ma difficilmente resterà a Parigi. Sua moglie e i loro quattro figli vivono in una bella casa a Leicester. È là che Beghal ha costruito la sua carriera di jihadista in incognito tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000.

Nel suo periodo inglese ha viaggiato spesso verso l’Afghanistan per ricevere ordini direttamente dall’allora capo di Al-Qaeda, Osama Bin Laden. Sia l’intelligence britannica che quella francese lo hanno riconosciuto come uno dei principali reclutatori di Al-Qaeda in Europa.

Beghal aveva pianificato di far saltare in aria l’ambasciata americana di Parigi, ma senza successo. Nel dicembre 2013 è stato condannato a dieci anni per aver organizzato il tentativo di fuga dal carcere di un leader del gruppo islamico armato algerino. Ma probabilmente il miglior colpo della sua vita lo ha fatto durante la sua permanenza al Fleury-Megori, il carcere di alta sicurezza di Parigi. Dietro la sbarre ha fatto da mentore a Cherif Kouachi. Gli ha illustrato i trucchi del mestiere e da buon maestro ha messo in condizione l’allievo di superarlo: Kouachi, insieme a suo fratello, è stato tra i kamikaze dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo nel gennaio del 2015.

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E se il governo britannico ha vietato a Beghal, che ha un passaporto algerino, di rientrare nel Paese, i suoi avvocati hanno già ottenuto dalla Corte europea di non farlo rientrare in Algeria “perché là la sua vita sarà in grave pericolo”.

Ma di storie come quella di Beghal ce ne sono tantissime, d’altronde il nostro jihadista è tra i 450 prigionieri radicalizzati che lasceranno le carceri francesi entro la fine del 2019. Tra di loro sono ben 50 i terroristi islamici acclarati.

Il ministro della Giustizia francese, Nicole Belloubet, ha recentemente ammesso che il Paese dovrà trovare il modo di fronteggiare ad una emergenza particolarmente grave, anche in virtù del fatto che presto le sbarre della galera saranno un ricordo per tutti i criminali che, durante la loro pena, ne hanno approfittato per radicalizzarsi.

Il procuratore dell’antiterrorismo francese, François Molins, è dell’idea che il rientro in società di queste persone significa un rischio enorme perché nessuno di loro pare, o ha dimostrato, di essere pentito della sua vita precedente. La situazione è figlia di una mal concepita idea del terrorismo islamico che, prima del 2016 – spiega Molins –, era ancora sottovalutato e agli imputati toccavano condanne molto più leggere, rispetto a quelle che si è iniziato ad adottare per quanti si sono poi trasferiti in Iraq e Siria per unirsi allo Stato islamico.

Detto ciò, il fatto che terroristi pericolosi, e potenzialmente recidivi, a piede libero, di nuovo e dopo soggiorni carcerari brevi, non fa che acuire la “minaccia endogena” già lampante in una Francia che solo nel 2017 ha accolto 100.000 immigrati dall’Africa sub-sahariana e dal nord Africa.

Renfort vigipirate

Il ministro della giustizia ha promesso un’azione efficace capace di arginare il problema, eppure è opportuno ricordare che il diciannovenne jihadista che nel 2016 ha tagliato la gola a padre Jacques Hamel, a Saint-Étienne-du-Rouvray, era sotto sorveglianza ed era monitorato con un braccialetto elettronico alla caviglia. Qual è il criterio con cui vengono concessi permessi carcerari per il reinserimento sociale?

A gennaio di quest’anno, comunque, la signora Nicole Belloubet dichiarava, con l’aplomb tutto francese, che il suo Paese sarebbe prontamente intervenuto se un jihadista francese fosse stato condannato a morte in Siria o in Iraq. “Lo stato francese”, ha detto, “interverrebbe, negoziando con l’altro Stato in questione”.

Secondo i dati rilasciati dal governo, circa 1.700 musulmani francesi si sono uniti all’Isis in Iraq e in Siria dal 2014. Almeno 278 sono morti e 302 sono tornati in Francia, tra cui 66 donne e 58 minori. Degli altri le tracce sono confuse. Ad oggi, comunque, a preoccupare, e non poco, i funzionari francesi è la particolare miscela esplosiva che verrebbe a crearsi tra i musulmani radicalizzati in carcere e presto liberi, i jihadisti di ritorno, proprio in Francia, dalla Siria e dall’Iraq e le bande musulmane che tengono in ostaggio interi quartieri.

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Le “zone vietate” – le no-go-zone – francesi sono le aree controllate dai salafiti, il cui accesso è vietato particolarmente alle donne bianche. È là che presto un importante flusso di armi verrà. Kalashnikov che dai vari spacciatori di droga adesso finiranno nelle mani di islamici che intendono controllare meglio un territorio che sentono di loro proprietà.

A maggio fece piuttosto scalpore il video, diventato poi virale, di una banda di uomini vestiti in nero con in braccio i consueti kalashnikov contro un’altra banda e la polizia. Era uno dei sobborghi di Marsiglia, capace di darci un’idea chiara dell’aria che tira da quelle parti.

Le ultime fonti reperibili risalgono al 2012 e raccontano di circa sette milioni di armi illegali in circolazione, quante ce ne saranno ora a casa di Macron? Il censimento delle zone controllate esclusivamente dai musulmani risulta praticamente impossibile, ma quel che è certo è che in Francia ci sono oltre cinque milioni di musulmani. Di questi il 10% circa è legato al mondo salafita.

Se il 10% in questione, e quindi mezzo milione di persone, entrasse in contatto e finisse con l’allearsi con i jihadisti di nuovo liberi nel Paese, nessuno sarà più in grado di combattere un pericolo del genere.

Foto: Ministero della Difesa Francese

Vignetta: Ben Garrison (garrgraphics.com)

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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