Nuovi tagli in vista per la Difesa italiana
“Abbiamo detto ai cittadini per anni che le spese per gli armamenti andavano ridotte e cominciamo a ridurle” ha dichiarato nei giorni scorsi il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico (nonchè leader del Movimento 5 Stelle) Luigi Di Maio.
In un’intervista a “Famiglia Cristiana” il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha invece sottolineato che “questo governo non ha speso un solo euro per l’acquisto di nuovi F-35.
Tutto quello che è stato fatto fino a ora è frutto delle decisioni di chi ci ha preceduto. Noi oggi stiamo valutando gli impatti occupazionali ed economici della riduzione del programma. Un ridimensionamento ci sarà sicuramente, con modalità e tempi che chiariremo in modo chiaro e preciso”.
Il dibattito sui tagli alla Difesa era entrato nel vivo nei giorni scorsi quando alcuni media avevano riferito (smentiti da M5S) screzi tra Di Maio e il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, per la decisione del vicepremier di azzerare il programma per la difesa aerea CAMM ER, il nuovo missile anglo-italiano realizzato da MBDA che dovrà rimpiazzare i vecchi sistemi antiaerei basati sul missile Aspide che hanno ormai raggiunto i limiti tecnici della loro vita operativa.
In attesa di conferme circa l’entità dei reali tagli al bilancio e dettagli sui programmi di acquisizione che verranno effettivamente ridotti o azzerati, alcuni elementi meritano di essere evidenziati.
La volontà di tagliare le spese militari risponde in termini politici a quanto programmato da M5S soprattutto se si parla dei cacciabombardieri F-35 il cui taglio potrebbe essere oggi ancor più giustificato dal fatto che il Pentagono ha bocciato l’aereo italiano T-346 proposto come nuovo addestratore delle forze aeree USA, a cui è stato preferito il velivolo offerto da Boeing/Saab.
La riduzione dei 90 F-35 previsti per Aviazione di Marina e Aeronautica andrebbe però vagliata anche alla luce delle intese politiche ed economiche tra il governo Conte e l’Amministrazione Trump, intese di valore strategico specie ora che l’esecutivo italiano si è posto in rotta di collisione con la Commissione Ue su più fronti, dalla manovra di bilancio al contrasto all’immigrazione illegale.
Inoltre non è chiaro se gli F-35 tagliati verrebbero rimpiazzati o meno con aerei “made in Italy” o “europei” quali gli M-346FA o ulteriori Typhoon. In termini finanziari la Difesa rischia di diventare il “bancomat” del governo a cui attingere per fare cassa a favore di altre voci di spesa della imminente messa a punto della Legge Finanziaria.
Non sarebbe certo la prima volta: il governo Renzi tra il 2014 e il 2015 tagliò i fondi per la Funzione Difesa da 14,6 miliardi a 13,2.
In questo senso le dichiarazioni di Di Maio potrebbero riguardare non tanto un taglio al Bilancio della Difesa (nel 2018 quasi 21 miliardi di euro di cui quasi 7 miliardi assorbiti da Carabinieri, Pensioni Ausiliarie e Funzioni Esterne lasciando solo 13,8 miliardi alla Funzione Difesa) ma una forte decurtazione dei fiondi che ogni anno il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) stanzia per sostenere l’acquisto di nuovi sistemi d’arma ed equipaggiamenti militari.
Fondi pari l’anno scorso a 3,1 miliardi, indispensabili a sostenere il rinnovamento dei mezzi militari considerato che dei fondi assegnati alla Funzione Difesa ben 10,1 miliardi sono stati quest’anno assorbiti dalla voce Personale, cioè dal pagamento degli stipendi.
Coi fondi MiSE vengono da anni finanziati molti programmi di acquisizione militare ma non i CAMM ER, finanziati invece con fondi di bilancio per un totale di 545 milioni di euro spalmati (95 per lo sviluppo dell’arma e 450 per la sua acquisizione), spalmati però tra il 2018 e il 2031: per intenderci si tratta di 13 milioni per quest’anno, 25 per il 2019 e altrettanti per il 2020.
La vicenda del CAMM ER potrebbe quindi anticipare lo scenario peggiore ipotizzati dagli ambienti militari e industriali in cui la forte riduzione dei fiondi MiSE verrebbe accompagnata dal taglio delle risorse assegnate al Bilancio Difesa.
Poiché è necessario pagare gli stipendi e il ministro Trenta ha fatto del trattamento del personale la sua bandiera (incluso il progetto di sindacalizzazione dei militari), i tagli colpirebbero inevitabilmente le voci del bilancio assegnate all’acquisizione nuovi equipaggiamenti (Investimenti, quest’anno pari a 2,3 miliardi) e a manutenzione di mezzi e infrastrutture, addestramento e carburante (Esercizio, pari nel 2018 a 1,42 miliardi).
Col rischio concreto di accelerare il processo di paralisi dello strumento militare che potrebbe venire favorito anche dalla rivisitazione al ribasso delle missioni militari oltremare, di cui devono essere finanziati anche gòli ultimi tre mesi di quest’anno poichè lo stanziamento di poco meno di un miliardo attuato dal governo Gentiloni e approvato in gennaio dal Parlamento copre solo i primi nove mesi del 2018.
A questa voce, finanziata dal Ministero dell’Economia e Finanze (MEF) sono stati attribuiti negli ultimi esercizi fimanziari circa 1,5 miliardi annui includendovi anche i fondi per la Cooperazione allo sviluppo.
Non è ancora chiara l’entità della riduzione degli impegni militari all’estero, poco più che simbolica nell’ultimo trimestre di quest’anno ma decisamente più marcata nel 2019 secondo quanto preannunciato nei giorni scorsi.
Di certo però il taglio delle operazioni oltremare ridimensionerà sensibilmente anche i fondi per l’approntamento dei reparti destinati ad essere impiegati all’estero, inclusi in tale bilancio e che hanno consentito in questi anni di ristrettezze a molti reparti di addestrarsi all’impiego operativo nonostante la mancanza di fondi adeguati a questo scopo alla voce Esercizio degli stanziamenti assegnati nel Bilancio alla Funzione Difesa.
Un contesto che richiederà chiarimenti anche sul piano politico tenendo conto che, con i tagli ventilati, l’Italia si confermerebbe la “cenerentola” d’Europa e della Nato nella percentuale del PIL assegnata alla Difesa, che potrebbe scendere dall’attuale 1,1 al di sotto della soglia dell’1%.
Proprio mentre la Francia (che però da sempre può sforare il rapporto deficit/Pil in una misura che la Ue non consente all’Italia) porterà nel 2019 la sua spesa militare vicina ai 40 miliardi.
Un contesto difficile non solo per le forze armate italiane ma anche per l’industria che sta facendo fronte al delicato momento serrando i ranghi delle sue aziende più rilevanti come dimostra l’intesa annunciata ieri tra Leonardo e Fincantieri nel settore navale.
Il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo (M5S – nella foto a lato), ha definito recentemente “doveroso per l’Italia entrare subito nel programma Tempest”, il nuovo caccia britannico di sesta generazione presentato nel giugno scorso al Salone aerospaziale di Farnborough il cui sviluppo coinvolge anche Leonardo.
Un’adesione che richiederebbe però immediati stanziamenti finanziari non tagli: difficile infatti accreditarsi come partner affidabile di Londra su un programma così a lungo termine come il Tempest se non si riesce neppure a mantenere gli impegni assunti sul meno costoso missile CAMM ER.
L’altro sottosegretario alla Difesa, il leghista Raffaele Volpi (nella foto a sinistra), ha invece ricordato che “trattare le spese militari come uno spreco di risorse non ha senso.
Ogni ipotesi di previsione di tagli ai programmi di investimento e di ammodernamento potrebbe generare impatti sull’occupazione ed ulteriori oneri sociali a carico dei contribuenti” spiegando che “il comparto industriale dell’aerospazio e difesa fattura più di 14 miliardi di euro all’anno, corrispondenti allo 0,8% del nostro Pil” e impiega “oltre 44mila persone, che salgono a più di 110mila se si considerano anche indotto ed altri impatti indiretti. Le aziende, inoltre, pagano tasse allo Stato per non meno di 4,5 miliardi.
Foto: Difesa.it, Brigata Paracadutisti Folgore e Ansa
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.