L’iniziativa (francese) europea d’intervento

I Ministri della Difesa di nove Paesi europei (Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Spagna), a margine del Consiglio dell’Unione Europea per gli Affari Esteri del 25 giugno 2018, hanno firmato a Lussemburgo una lettera d’intenti per avviare la “Iniziativa Europea di Intervento” (Iniziative Européenne d’Intervention – IEI), all’esterno della cornice istituzionale dell’Unione Europea.

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Il progetto, fortemente voluto dal Presidente francese Macron (che evidenziò l’esigenza per la prima volta d in occasione del suo discorso alla Sorbona il 26 settembre 2017, presentandola come “un’opportunità di rilancio dell’integrazione europea e di sviluppo del concetto di sovranità europea”), si pone l’obiettivo di conseguire una capacità operativa congiunta – con risposte rapide ed efficaci – in tutto lo spettro degli scenari di crisi, da quelli ad alta intensità a quelli umanitari, che potrebbero avere ripercussioni per la sicurezza dell’Europa. L’adesione è volontaria da parte di ogni Nazione e aperta anche a Paesi extra UE.

Secondo il Ministero della Difesa francese dovrebbe consentire di rafforzare i legami tra le Forze Armate degli Stati aderenti per agevolare il processo di formazione di una “vera” cultura della difesa comune, in grado di sopperire alle lacune emerse nei precedenti interventi europei, promuovere la credibilità militare dell’Europa, rinforzandone l’autonomia strategica, e contribuire ad una migliore ripartizione degli oneri.

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Il progetto, che dovrebbe servire a snellire i tempi e i processi decisionali, prevede una maggiore collaborazione tra gli Stati firmatari, a partire dall’ambito politico, con la pianificazione di strategie comuni, l’aumento degli scambi d’informazioni e la condotta di esercitazioni congiunte.

I meccanismi decisionali saranno regolati da un approccio intergovernativo: la decisione rimarrà nelle mani dei singoli governi nazionali. Ogni Paese potrà valutare caso per caso a quale intervento prendere parte secondo le proprie capacità e le proprie valutazioni strategiche. L’uso della forza militare, infatti, rimane una responsabilità esclusivamente nazionale.

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La Francia, che ha assunto il ruolo di Lead Nation (Nazione dotata di capacità, competenza, influenza per coordinare e sostenere le unità messe a disposizione da altri Paesi in un’operazione militare all’interno di una coalizione internazionale. La stessa Nazione deve provvedere ad assicurare gli assetti di base per supportare funzionalmente e logisticamente le forze alleate), costituirà a Parigi un Segretariato Permanente composto principalmente da proprio personale e da Ufficiali di collegamento degli altri Stati aderenti.

La cooperazione tra i nove Paesi riguarderà quattro settori d’azione: la pianificazione strategica congiunta, gli scenari d’impiego, le lezioni apprese e la condivisione delle dottrine, l’appoggio/supporto alle operazioni.

L’Italia, come è noto, dopo aver espresso un certo interesse con il precedente governo Gentiloni, ha deciso al momento di non aderire al progetto in attesa che lo stesso assuma contorni più definiti. Rimane comunque l’auspico da parte francese, almeno ufficialmente, che il nostro Paese superi le diffidenze iniziali e scelga di prenderne parte.

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L’iniziativa nata a Lussemburgo ha ovviamente originato critiche e polemiche in ambito UE, in quanto è stata valutata come un ulteriore tentativo del Presidente Macron di assumere la leadership a livello europeo con la creazione di un’altra struttura che si sovrappone a quelle già esistenti nel settore della Sicurezza e della Difesa.

L’Alleanza Atlantica, al contrario, che non aveva giudicato positivamente la PESCO ( PErmanent Structured Cooperation, firmata da 25 Paesi dell’UE nel dicembre 2017). ha accolto favorevolmente la decisione, tramite il Segretario Generale Jens Stoltenberg, affermando che contribuirebbe a modernizzare le forze armate europee e renderle più rapide da mobilitare.

L’Iniziative Européenne d’Intervention si presta comunque a diverse interpretazioni.

Il progetto, innanzitutto, è stato percepito come una conferma nel ricercare soluzioni operative all’esterno della difesa comunitaria, tenuto conto delle difficoltà nel trovare una visione unitaria in fatto di “azione esterna”, in un contesto di profondi divisioni e contrasti, da parte dei Stati membri dell’UE, come lo conferma la questione dell’immigrazione.

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La presenza di Regno Unito e Danimarca (che con Malta non ha aderito alla PESCO) inducono a ritenere che la struttura sia molto meno legata all’Unione Europea.

La IEI può essere considerata la naturale evoluzione della cooperazione militare bilaterale avviata tra Francia e Regno Unito nel 2010, nel contesto degli accordi assunti con i Trattati di Lancaster House (Treaties between the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the French Republic for Defence and Security Co-operation London, 2 November 2010) , che ha visto la creazione di una capacità congiunta di proiezione denominata Combined Joint Expeditionary Force (CJEF). La CJEF, integrata nelle componenti aeree, navali e terrestri, ha avuto la piena validazione nel 2016 ed è aperta al contribuito di altre Nazioni (all’esercitazione di validazione della componente terrestre “Rochambeau 2014”, tenutasi a Mourmelon (Francia), erano presenti militari di 15 Paesi).

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Essa appare un tentativo per accelerare i tempi di reazione europei a situazioni di crisi evitando, come avviene anche per la NATO, di essere vincolati dall’assumere ogni decisione all’unanimità (i tempi di decisione nell’Unione sono ancora troppo lunghi in confronto all’urgenza che può derivare da una situazione critica in un Paese considerato importante per la nostra sicurezza”, ha dichiarato la Ministro delle Forze Armate francesi, Florence Parly.

“L’Europe de la défense nécessite une culture stratégique commune”, Le Figaro 24 juin 2018), e risulta un modo di rispondere al “non impiego” dei Battle Groups dell’UE costituiti nel 2005 per motivi geopolitici, di valutazioni politiche interne e di bilancio, e che dalla loro costituzione avrebbero potuto essere impiegati, con un preavviso di 10 giorni e per un periodo di 30-120 giorni, in occasione delle elezioni in Congo (2006), nel Congo-Kivu (2006), in Sudan (2010), in Libia (2011), in Mali (2013) e in Centrafrica (2013).

Il progetto, non condizionato dal consensus, dovrebbe così consentire il coinvolgimento di più Nazioni, evitando interventi di un solo Paese come è avvenuto per la Francia, che dal 2012 è impegnata pesantemente nel Sahel (Mali, Chad, Niger, Costa d’Avorio e Burkina Faso) con le operazioni di controterrorismo “Serval” e “Barkhane”.

Non a caso sono presenti nell’ambito dell’Operazione “Barkhane” assetti di 5 dei 9 Paesi aderenti all’IEI, oltre alla Francia, quali:

  • Spagna: 1 x C 130 per il trasporto tattico-strategico basato a Dakar (Senegal) e 1 x CN 295 per il trasporto tattico basato a Libreville (Gabon);
  • Regno Unito: 3 x Elicotteri Chinook basati a Gao (Mali);
  • Germania: 2 x C 160 DE basati a Niamey (Niger);
  • Belgio: 1 x C 130 in sostegno temporaneo distaccato dalla missione MINUSMA;
  • Estonia: un reparto 50 uomini per la protezione della base di Gao.

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L’IEI rappresenta, almeno sulla carta, un salto di qualità nelle intenzioni di alcuni Paesi europei d’impegnarsi in missioni anche di alta intensità operativa, senza attendere la “luce verde” di tutti i membri dell’EU e/o senza sollecitare il mandato “ombrello” delle Nazioni Unite (talvolta utilizzato come alibi).

Ciò nella consapevolezza che anche una missione di peacekeeping o non combat di assistenza non esclude a priori la possibilità di subire perdite (nel 2017 i contingenti dell’ONU hanno subito la perdita di 56 Caschi Blu nella condotta della loro missione), per una considerazione di natura squisitamente logica: affinché una missione possa definirsi non combat occorrerebbe che anche coloro i quali si oppongono con la violenza alla stabilizzazione della situazione ne condividano le finalità.

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Sul piano prettamente politico, un’iniziativa di tal fatta, ove trovasse piena e concreta adesione, specie da parte degli Stati europei più “significativi” e di peso preponderante, rischierebbe di precludere qualsiasi sviluppo che finalizzi il processo di creazione della Difesa Europea e, in questo momento storico, il passo sarebbe politicamente intelligibile come una volontà nazionale di allontanarsi ancora di più dall’UE.

È una questione di scelte, ma come appare evidente, le implicazioni sono ben più gravi di una semplice adesione militare ad un progetto che certamente potrebbe essere snello ed efficiente.

Il benestare della NATO (influenzata senza dubbio dalla posizione USA) è sintomatico: dedicare risorse europee (sempre poche e mal distribuite) ad iniziative del genere allontana la realizzazione del progetto di Difesa UE, che potrebbe essere l’unico capace di minare la completezza e la durevolezza (e quindi dell’efficacia) della NATO stessa.

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Sul piano militare, l’iniziativa presenta tutte le premesse per funzionare, al pari di altre, in atto o “tramontate” (EUROFOR, EUROCORP, EUROMARFOR, ecc.) e appare come la reazione conseguente all’immobilismo burocratico dell’UE che, in questo campo come in tanti altri (ad eccezione di quello finanziario), è lenta e asservita ad interessi non sempre della comunità degli Stati membri.

L’appartenenza di tutti i Paesi aderenti alla IEI alla NATO, inoltre, non crea problemi di interoperabilità in quanto da tempo utilizzano le stesse procedure dottrinali e modalità d’impiego, rodate dalle operazioni in Afghanistan e Iraq e da circa 70 anni di esercitazioni comuni.

Occorre tuttavia precisare un fondamentale aspetto: chi valuta le priorità e chi decide il momento d’intervenire e in quali aree di crisi e con quale dispositivo?

La Francia, quale Lead Nation avrebbe la prerogativa della “prima mossa” nei confronti di chi aderisce e le altre Nazioni se vogliono seguono le sue condizioni?

Da queste poche considerazioni s’intuisce che il vantaggio tecnico-militare rischia d’infrangersi alla prima verifica di natura “politico-decisionale-strategica”!

Foto Ministero Difesa Francese

 

Giorgio BattistiVedi tutti gli articoli

Generale di Corpo d'Armata (Aus.), Ufficiale di Artiglieria da Montagna, ha espletato incarichi di comando nelle Brigate Alpine Taurinense, Tridentina e Julia ed ha ricoperto diversi incarichi allo Stato Maggiore dell'Esercito. Ha comandato il Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA), l'Ispettorato delle Infrastrutture e il Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell'Esercito. Ha partecipato alle operazioni in Somalia (1993), in Bosnia (1997) e in Afghanistan per quattro turni. Ha terminato il servizio attivo nell'ottobre 2016.

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