Gli Usa fuori dal Trattato INF: gli obiettivi di Trump
Forti critiche e perplessità ha suscitato in tutto il mondo la decisione ’annunciata da Donald Trump che gli Usa intendono uscire dal trattato INF che vieta di schierare in Europa missili balistici terrestri a medio raggio (500-5.500 chilometri di gittata) stipulato nel 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov.
L’intesa raggiunta alla fine della Guerra fredda portò allo smantellamento dei missili da crociera Tomahawk e balistici Pershing 2 (foto sotto) statunitensi ed SS 20 sovietici e soprattutto allo stop a una corsa al riarmo in quel segmento degli arsenali missilistici e nucleari che anticipò il ritiro sovietico dall’Afghanistan, il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’URSS.
Trump accusa i russi di non rispettare l’accordo a causa dei due battaglioni di missili da crociera Novator 9M729 (SSC-8) con raggio d’azione di 1.500 chilometri basati ai confini russi occidentali.
Mosca nega ma Barack Obama già nel 2014 aveva minacciato di uscire dal Trattato INF a causa dei test sui missili R-500 lamentando anche lo schieramento nell’enclave russa di Kaliningrad, incuneata tra la Polonia e le Repubbliche Baltiche, dei missili balistici Iskander con raggio d’azione limitato a 415 chilometri ma rapidamente estensibili.
Le due armi di Mosca, impiegabili dallo stesso veicolo-lanciatore, costituiscono però la risposta all’avvio della costruzione dello “scudo” antimissile che gli Usa hanno schierato in Polonia e Repubblica Ceca dotato di radar e missili avanzatissimi, ufficialmente per intercettare eventuali missili balistici lanciati dall’Iran.
Una motivazione che non ha mai convinto né il Cremlino né gli osservatori imparziali dal momento che i radar dello “scudo” sono in grado di esplorare in profondità lo spazio aereo russo.
La decisione di abbandonare il trattato INF annunciata da Trump sembra nascondere quindi motivazioni ben diverse. Del resto il Trattato bandiva solo i missili basati a terra e oggi armi simili sono ben presenti su molte navi da guerra e aerei da combattimento statunitensi e russi, come hanno dimostrato le esibizioni di forza degli ultimi anni dalla Libia alla Siria, allo Yemen.
Per Washington denunciare il trattato significa soprattutto premere per nuovi negoziati con Mosca da allargare però anche Pechino, vera potenza strategica emergente rispetto agli anni ’80, attualmente libera da vincoli nello sviluppare missili con capacità nucleare a breve, medio e lungo raggio.
Washington potrebbe schierare missili a medio raggio a Taiwan, in Corea del Sud, Giappone e nell’Europa Orientale minacciando Pechino e Mosca con armi che potrebbero raggiungere con una te3stata atomica il bersaglio in tempi di volo brevissimi.
La denuncia del Trattato INF scatenerebbe una nuova corsa al riarmo atomico e balistico simile a quella voluta da Reagan negli anni ’80, costringendo Russia e Cina a fare altrettanto per minare le loro economie costringendole a investire nella difesa più di quanto vorrebbero.
Al di là dei reiterati allarmismi a cui ci hanno abituato Casa Bianca, Pentagono e Nato, gli Usa spendono quest’anno per le forze armate oltre 700 miliardi di dollari (l’intera Nato circa mille) contro i 220 della Cina e i 70 della Russia
Ci sono poi aspetti non strettamente militari che Trump sembra voler perseguire con questa iniziativa nei confronti degli alleati europei.
Accentuare le tensioni con Mosca anche sul fronte missilistico-nucleare porterà a nuove pressioni Usa tese a indurre i partner europei a spendere di più per la difesa (almeno il 2% del PIL è la pretesa di Washington) acquistando soprattutto armi “made in USA” e ospitando sul proprio territorio nuovi missili americani come gli Euromissili degli anni ’80.
Non a caso Obama rinunciò a uscire dal tratto INF in seguito alle pressioni dell’Europa. Oggi tale operazione favorirebbe da un lato l’ulteriore export militare americano, sul quale Trump non fa mistero di puntare per riequilibrare la bilancia commerciale con molti Stati alleati.
Dall’altro la Casa Bianca spinge per una escalation della tensione con la Russia per compattare un’Europa sempre più lontana (come dimostrano anche le polemiche sul fronte delle sanzioni dell’Iran) rilanciando la protezione offerta dall’ombrello atomico-missilistico americano per scongiurare il rischio che si affermi uno strumento difensivo pienamente europeo a guida franco-tedesca.
Foto AP, Xinhua e US DoD
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.