Forze Armate o cooperativa sociale?

Le Forze Armate italiane possono ancora definirsi tali? La domanda non riguarda per una volta i fondi del bilancio per l’addestramento o l’acquisizione di nuovi armamenti ed equipaggiamenti ma la percezione che abbiamo e che si vuole dare di esse all’opinione pubblica.

Le polemiche legate quest’anno alle celebrazioni del 4 novembre si inseriscono in una fase di accesa contrapposizione politica, spesso strumentale e pretestuosa, contro l’attuale governo, ma sul tema delle forze armate e della ricorrenza dei 100 anni dalla vittoria nella Prima Guerra mondiale il dibattito si è focalizzato essenzialmente sulle immagini di tre video e di un manifesto.

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Partiamo da quest’ultimo (foto in apertura) voluto dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, destinato a lasciare perplesso chi ancora crede che le Forze Armate debbano essere soprattutto armate per combattere difendendo la Nazione, i suoi cittadini e i suoi interessi.

L’immagine promozionale di questo 4 novembre afferma invece che si tratta semplicemente di “Forze, armate di orgoglio e di umanità”.

E siccome le immagini dicono più di mille parole le 4 foto che illustrano il manifesto mostrano un carabiniere che abbraccia un bambino, un elicottero SAR dell’Aeronautica che recupera una persona soccorsa dopo una calamità naturale, un soldato dell’Esercito che aiuta una signora anziana e un soccorritore della marina che recupera un bambino in mare.

Tutte cose che i militari certo fanno ma che non rappresentano il “core business” delle Forze Armate, anche perché se non fossero davvero “armate” non si spiegherebbero le polemiche su quali e quanti armamenti tagliare nel prossimo bilancio difesa (F-35, missili CAMM-ER, ecc…).

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Il manifesto (rigorosamente interforze) sembra voglia convincerci che Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri sono in realtà succursali di Caritas, Emergency, Save the Children e Protezione Civile.

Un’operazione mediatica ingenua e superficiale pur in un’Italia che, con governi di ogni colore, non ha mai saputo accettare e presentare i suoi militari per quello che sono. Da quando venne coniata l’espressione “missioni di pace” fino alla più recente enfatizzazione del “dual use”, concetto in base al quale un mezzo o un equipaggiamento deve essere giustificato dal suo potenziale impiego in operazioni di soccorso e protezione civile.

Del resto il paradosso di questo 4 novembre che celebra con una disfatta mediatica il trionfo sui campi di battaglia di cento anni or sono è ben rappresentato dalla genesi del video che avrebbe dovuto ricordarlo.

L’anno scorso, su iniziativa di Andrea Armaro, portavoce del ministro della Difesa, Roberta Pinott, (nonchè coordinatore della comunicazione della Difesa) venne realizzato dal regista Paolo Ameli un video che mostrava le attività delle Forze Armate in modo diretto, talvolta crudo grazie a immagini ad effetto girate appositamente in vari contesti e durante esercitazioni in Sardegna.

Ameli è un regista di grande talento e matura professionalità, qualità che hanno contribuito a dar vita a un video di forte impatto emotivo e visivo: l’audio recita le partole della nota poesia “Soldato”, di George L Skypeck, mentre le immagini mostrano addirittura la guerra, con armi che sparano e persino feriti e caduti, omaggio ai 175 militari italiani che dalle missioni sono tornati in una bara avvolta nella bandiera e agli oltre 2 mila che sono rimasti feriti.

Un video intenso, giudicato troppo d’impatto dal ministro Pinotti e che restò congelato fino all’arrivo a Palazzo Baracchini di Elisabetta Trenta che ne ha elaborato una versione ristretta (da 68 a 30 secondi) e purgata dalle scene troppo “forti”.

Versione che viene però bocciata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vito Crimi, che ha la delega all’editoria, utile a reperire spazi per trasmettere il video sui canali Tv e radio della RAI ma che non si capisce quale autorità abbia per sindacare lo spot della Difesa.

Il video integrale filtra comunque sui canali social e quello edulcorato viene messo in rete (ma non in televisione) dallo Stato Maggiore della Difesa che ringrazia il ministro Trenta per questa concessione.

Cento anni dopo aver vinto la Grande Guerra, in Italia mostrare i soldati che sparano e combattono (anche se si tratta di simulazioni addestrative) sembra faccia paura a molti.

A celebrare il 4 novembre resta infine quest’ultimo spot del Ministero della Difesa, che evidentemente non richiede commenti.

Immagini: Difesa.it

@GianandreaGaian

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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