Il rapporto annuale dell’Osservatorio sulle mine

Le vittime delle mine terrestri e degli ordigni affini continuano ad essere un numero elevato, 7.200 nel 2017, di cui 2.716 colpite da ordigni improvvisati, cioè le mine artigianali impiegate da diversi movimenti insurrezionali in molte aree di crisi e di guerra.

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Secondo il rapporto annuale dell’Osservatorio sulle mine, reso noto dalle Nazioni Unite, il drammatico bilancio vede le vittime distribuite in 49 Paesi, inclusi quelli in cui i conflitti sono terminati ma restano vaste aree ancora minate (in Angola, Mozambico, Birmania, Colombia, Azerbaigian o il confine tra Etiopia ed Eritrea) anche se la maggioranza si registrano in Afghanistan (1.093) e in Siria (887).

Il rapporto rivela che le vittime di questi ordigni sono per l’87 per cento civili e di questi il 47% è costituito da bambini: nel 2017 secondo il rapporto sono stati 2.452 i minori uccisi da mine o ordigni improvvisati interrati.

In crescita di 220 milioni di dollari gli investimenti sullo sminamento delle aree da bonificare saliti nel 2017 a 779 milioni.

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Il rapporto si basa evidentemente su dati incompleti, valutati molto al di sotto di quelli reali tenendo conto delle difficoltà a raccogliere informazioni nelle zone di guerra o in aree isolate. Il rapporto sottolinea inoltre come il numero delle vittime di ordigni anti-uomo resti elevato per il terzo anno consecutivo: in ribasso rispetto alle 9.437 del 2016 ma in rialzo rispetto alle 6.967 del 2015.

Nonostante una campagna mediatica, sostenuta dalle monarchie sunnite del Golfo e dall’Occidente, che mira accusare il regime di Bashar Assad per crimini di guerra e uccisioni indiscriminate di civili nel conflitto siriano, l’Osservatorio sulle mine non è stato in grado di confermare l’utilizzo di mine antiuomo da parte delle forze governative siriane nel 2017.

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Un dato che conferma come siano oggi soprattutto i movimenti insurrezionali a impiegare ordigni antiuomo, industriali o artigianali, e in particolare lo facciamo le milizie jihadiste solitamente ben poco preoccupate della sorte dei civili dal momento che la popolazione è quasi sempre considerata un bersaglio delle loro azioni di guerriglia o terroristiche o in ogni caso un elemento sacrificabile.

Neppure gli errori nei bombardamenti aerei statunitensi in Afghanistan, americani o russi in Siria, avrebbero provocato un così elevato numero di vittime come quelle registrate dagli ordigni anti uomo utilizzati dai ribelli per ostacolare l’accessio ai centri abitati delle forze governative o rendere più difficili i transiti dei convogli lungo arterie stradali.

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Il rapporto infatti sottolinea come gruppi di insorti abbiano sicuramente fatto ricorso a questi ordigni in Afghanistan, Colombia, Birmania, Nigeria, Pakistan, Tailandia e Yemen.

Da un lato alcuni paesi continuano a produrre ed esportare mine antiuomo anche perchè non hanno firmato la convenzione di Ottawa che le mette al bando paesi produttori di mine (e spesso privi di scrupoli in tema di export militare) come Usa, Russia, Cina, Corea del Nord, Yemen, Arabia Saudita, Azerbaigian, Egitto, Cuba, India, Emirati Arabi Uniti, Iran, Pakistan, Siria e Iran.

Dall’altro appare evidente come nessuna convenzione possa impedire la realizzazione su vasta scala di ordigni improvvisati e artigianali, costruiti con esplosivo di tipo civile o recuperato dai proiettili di artiglieria, divenuti una delle principali armi dei gruppi eversivi e insurrezionali.

Gruppi armati che, a differenza degli eserciti regolari, non effettuano un’attenta mappatura delle aree minate rendendo quasi impossibile una bonifica scrupolosa.

Foto G. Gaiani e LaPresse

 

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