Le prospettive della minaccia terroristica islamica in Europa
Nel 2016, circa il 75 per cento delle vittime del terrorismo islamico si registravano in Medio Oriente e Africa, poco meno di un quarto nel sud e sud-est asiatico, circa l’uno per cento in Europa e meno dello 0,5% nelle Americhe. Dati recenti che comunque ci raccontano come quello del terrorismo islamico sia un fenomeno d’importazione per l’Occidente. Il 2017 è stato testimone di un aumento di carneficine in Europa, rispetto all’anno precedente e probabilmente non sarà battuto dal 2018.
Rispetto al primo rapporto prodotto dall’Europol nel 2007 in relazione al clima e allo stato del terrorismo in Europa, molte cose sono cambiate.
In primis il ruolo che internet gioca nella radicalizzazione, e poi i terroristi che hanno iniziato a prediligere i congegni esplosivi improvvisati. Il panorama terroristico si è così ulteriormente diversificato e la minaccia è cresciuta.
Negli ultimi anni il Vecchio Continente ha assistito ad un aumento della frequenza degli attacchi jihadisti, ma, allo stesso tempo, ad una meno sofisticata preparazione ed esecuzione degli stessi. Eppure capaci di causare più morti e vittime. Gli ultimi rapporti raccontano che la firma sotto le varie stragi è di jihadisti radicalizzati una volta valicati i confini europei, e per la maggior parte si tratta di individui che non hanno mai viaggiato per unirsi a gruppi terroristi all’estero. Sempre più spesso le menti e gli attori degli attentati sono nati addirittura in Europa e non hanno collegamenti diretti con lo Stato islamico o qualsiasi altra organizzazione jihadista.
Nel 2017 sono stati sventati 205 attentati solo in Europa. Tra andati a segno o meno, solo nel Regno Unito ne sono stati contati 107; 54 in Francia; 16 in Spagna; 14 in Italia; 8 in Grecia; in Belgio e Germania 2; in Svezia e Finlandia 1. Sessantotto i morti e 844 i feriti.
A gennaio del 2018 il rapporto pubblicato dal Jane’s Terrorism and Insurgency Center (JTIC) provava, invece, a mettere in guardia circa i rischi del terrorismo in Europa per l’anno appena iniziato, ponendo l’accento su quanti erano andati a combattere in Iraq e Siria e s’apprestavano a ritornare. “In una prospettiva da qui ai prossimi cinque anni, i paesi europei dovranno affrontare un’elevata minaccia terroristica rappresentata da detenuti radicalizzati, combattenti stranieri di ritorno e altri rimpatriati che hanno legami diretti con quel che resta dello Stato islamico”, ha dichiarato Otso Iho , analista senior del JTIC.
Il rischio di detenuti islamici che stanno radicalizzando i colleghi nelle carceri, ve lo avevamo già denunciato, a più riprese, su queste pagine, ma quelli del JTIC tengono le antenne rizzate per i rilasci che ci saranno tra il 2019 e il 2023. Sulla base dei dati analizzati, infatti, un numero considerevole di detenuti terroristi saranno presto a piede libero.
Pertanto, oltre alla immediata minaccia alla sicurezza rappresentata dal ritorno dei combattenti stranieri, è molto probabile che emerga un ulteriore significativo rischio rappresentato dai radicalizzati che usciti di prigione si uniranno alle reti islamiste esistenti in territorio europeo.
“Il loro contributo e la loro leadership potrebbero consegnare, plausibilmente, ai gruppi che in passato avevano svolto un ruolo di supporto – finanziamento, facilitazione dei viaggi, diffusione della propaganda – compiti operativi: creare cellule, acquisire armi, fornire strutture e case sicure per la costruzione di esplosivi e reclutare militanti per gli attacchi in Europa”, ha dichiarato Iho.
Prima dell’attentato di Strasburgo, l’attività jihadista in Europa pareva dormiente, al punto che alcuni analisti già speculavano circa la riuscita missione di aver quasi debellato il terrorismo islamico. Ma il numero e la gravità degli attentati non sono sintomatici della veridicità dell’assioma, il “peggio è passato”. Tutt’altro.
I cosiddetti “attentati a bassa capacità”, gli ordigni esplosivi improvvisati (IED), gli attentati con veicoli presi in affitto o rubati, i furgoni, i crimini da coltello e, più in generale, le aggressioni con armi leggere, fanno da corollario ad un teorema che ci spiega come poco importa se il “Califfato” sia in forma o meno: il credo jihadista si è così tanto radicalizzato in Occidente che gli individui e le piccole cellule sono pronti a colpire senza alcun coordinamento con la cellula madre.
Il sedicente Stato Islamico è nato come tentativo di dare un riferimento gerarchico all’islam che non è solo una religione, ma un partito politico. L’islam è privo di un’autorità con cui negoziare a nome di tutta la comunità religiosa, pertanto i suoi discepoli agiscono anche liberamente in nome di un’ideale a cui sono stati educati fin da bambini.
L’attentato del 2015 di Charlie Hebdo a Parigi ha rappresentato un nuovo 11 settembre per l’Europa, portandola ad una nuova realtà del terrorismo. Un terrorismo ibrido. Da quel momento sono seguiti attentati su piccola scala a Bruxelles, Berlino, Barcellona, Londra, ancora Francia, diluendo la paura e la minaccia islamica in episodi più o meno ravvicinati, ma aumentando la tensione. Senza un attentato considerato anche dall’intelligence “di rilievo” – perché non ha causato più di 10 morti dall’estate del 2017 – il terrorismo islamico ha abbandonato le prime pagine e persino le menti dei cittadini europei. Diminuendo rispetto allo scorso anno, è quasi sembrato che l’Europa avesse vinto contro la minaccia dello Stato islamico.
Ma non è così. Mettendo da parte i limiti che le forze dell’ordine francesi hanno manifestato con l’attentato di Strasburgo, è un errore comune pensare di misurare la minaccia terroristica in base al numero di attentati effettuati. Per comprendere la portata e la natura della minaccia bisogna anche considerare i complotti sventati dall’antiterrorismo.
Finora nel 2018, l’Europa ha dovuto affrontare almeno 12 trame terroristiche jihadiste ben documentate. Sei di queste hanno portato ad attentati. E risultano anche altre 11 trame che sono ancora troppo poco documentate per poter essere analizzate. Si tratta di un calo complessivo di circa il 50 percento rispetto allo scorso anno. Ma come i numeri e l’Europol certificano, non significa che la minaccia stia scemando.
Anzitutto, la diminuzione segue un picco drammatico nel 2017, con il maggior numero di complotti e attentati jihadisti negli ultimi 25 anni. Rispetto a qualsiasi anno prima del 2015, il numero di aree ad alto rischio in Europa sono ancora tante, e nonostante le massicce spese dei governi europei per ridimensionare il terrorismo.
L’attività degli attentatori radicalizzati e di potenziali aggressori, nel 2018, dimostra che l’islam è deciso ad attaccare i propri nemici in Europa in qualsiasi modo possibile. La maggior parte dei perpetratori sono legati direttamente all’Isis o ne sono sostenitori attivi. Molti altri hanno legami con estremisti nazionali e combattenti stranieri, e di solito si servono delle varie piattaforme online per rimanere in contatto con le reti jihadiste.
Nel 2018 abbiamo assistito ad attentati guidati da uomini solitari armati, poliziotti bersagliati, convertiti all’islam che hanno aggredito poliziotti mentre erano in libertà vigilata, trame terroristiche che hanno coinvolto veicoli e coltelli, auto contro i pedoni – fortunatamente senza successo – a Oxford Street a Londra e contro la pista di pattinaggio a Karlsruhe, in Germania.
E persino l’arresto di sette sostenitori dello Stato islamico nei Paesi Bassi che stavano complottando per attaccare un evento pubblico con fucili d’assalto e bombe a mano. E avevano anche pianificato di far esplodere un’autobomba altrove.
Ma se l’antiterrorismo in Europa sta indebolendo la capacità di alcune reti, risulta ancora inefficace contro le reti di radicalizzati dentro i confini dell’Unione.
E secondo alcuni analisti inglesi, come i primi attentati nel Vecchio Continente hanno avuto come movente “l’invasione dell’Iraq nel 2003”, la scomparsa quasi totale dello Stato Islamico causata dalla coalizione anti-Isis, causerà nel medio e breve termine ulteriori ritorsioni. Alla base dello strano paradosso ci sarebbe la ragione della nascita di nuove reti, “persino più forti”, dicono.
Il potenziale sarebbe giustificato dall’esodo di 5.000 combattenti stranieri europei in Siria che presto potrebbero gettare le basi per una futura mobilitazione. “Soprattutto, la lotta straniera ha prodotto un gruppo di persone che potrebbero diventare imprenditori di reti e cellule future”.
Sarebbe stato meglio far crescere e operare indisturbato lo Stato islamico?
In realtà gli studi sul jihadismo europeo hanno dimostrato che l’esistenza o meno del Califfato poco importa. Sono i gruppi come “Sharia4”, in un modus operandi pensato da al-Qaeda e estraneo a Daesh, che hanno iniziato a lavorare alla radicalizzazione dell’Europa, ponendo tra le varie basi, le carceri, quelle che anno dopo anno, da prima del 2014, hanno iniziato a riempirsi di jihadisti. Provando, poi, anche a legare insieme imam, fedeli e jihadisti già formati e continuare a fare proselitismo allo scopo di islamizzare l’Occidente.
Uno degli ultimi rapporti definisce che il numero di estremisti islamici “ufficiali” in Germania è pari a 25.000, di cui 2.240 sono considerati jihadisti. Secondo l’UE, il Regno Unito ospita 25.000 estremisti islamici, di cui 3.000 sono considerati una minaccia e 500 sono sotto stretta sorveglianza. In Francia, dove circa 1.400 sono partiti per diventare combattenti jihadisti in Siria e Iraq, la situazione è almeno altrettanto preoccupante. Più di 20.000 persone sono i radicali violenti e 4.000 di loro sono considerati pericolosi e monitorati da vicino. Tutti dati aggiornati agli ultimi mesi.
I jihadisti in Europa si sono dimostrati notevolmente resilienti. Anche se le nuove e più severe misure anti-terrorismo sembrano aver indebolito la capacità dello Stato islamico al momento, sarebbe un pio desiderio dichiarare fino in fondo vinta la guerra al terrorismo.
Foto: AFP, Reuters, Ministero Difesa Francese, Esercito Italiano e Ansa
Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli
Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.