La “Direttiva Salvini” sulle frontiere marittime
Al solito ci sono troppe coincidenze: il 19 marzo è stata resa nota la Direttiva del ministro dell’Interno sulla sorveglianza delle frontiere marittime in concomitanza con il caso Mare Ionio, proprio alla vigilia del voto al Senato sul caso Diciotti.
Insomma, una tempesta mediatica che non giova né alla chiarezza del quadro di situazione dell’azione dello Stato in mare né alla sicurezza dei migranti costretti ad assistere all’immagine di un Paese che rinnega continuamente sé stesso.
Eppure, la Direttiva non dice nulla di nuovo rispetto al corpo normativo già applicabile, ma, al limite lo rende più attuale.
In effetti la Direttiva sembra rivolgersi unicamente alle navi delle Ong quando afferma che “vanno necessariamente cristallizzate e sanzionate quelle condotte esplicitamente dirette alla violazione della normativa internazionale in materia di soccorso e della normativa nazionale ed europea in materia di immigrazione, perpetrate in modo continuativo e metodico”.
Tuttavia, la platea di destinatari è più ampia in quanto riguarda tutti i mercantili coinvolti nello svolgimento, di loro iniziativa (cioè, senza essere coordinati da un Centro di SAR nazionale) in attività di soccorso. Esplicito è, al riguardo, il richiamo al fatto che “Né le coste italiane risultino essere gli unici, possibili luoghi di approdo in caso di eventi di soccorso, considerato che sia i porti libici, tunisini e maltesi possono offrire adeguata assistenza logistica e sanitaria, essendo peraltro più vicini in termini di miglia marine, laddove la sicurezza della navigazione imporrebbe – in linea di principio – la ricerca di un luogo di sbarco prossimo alle coordinate marine d’intervento”.
Da questo punto di vista – mentre va notato che per la prima volta in un documento ministeriale si afferma che i mercantili potrebbero sbarcare le persone soccorse in Tunisia, Malta o anche in Libia – ci sarebbe da aspettarsi che ad emanare linee guida in materia sia l’amministrazione competente per il SAR, cioè il Ministero dei Trasporti che è il referente del Corpo delle Capitanerie-Guardia Costiera.
Tuttavia, una spiegazione di questa anomalia può trovarsi. Nella Direttiva, come non accadeva da tempo, si cita il DM 19 giugno 2003 il quale stabilisce un dispositivo integrato di vigilanza, prevenzione e contrasto articolato su Marina, Finanza e Capitanerie ma facente capo al Ministero dell’Interno sulla base della Legge Fini-Bossi del 2002. In sostanza, il SAR (che pur rientra nelle competenze esclusive dei Trasporti) se relativo ad eventi che coinvolgono i migranti, assume una valenza di ordine e sicurezza pubblica sul mare.
La tutela dell’integrità territoriale italiana e delle nostre frontiere marittime costituisce l’obiettivo da raggiungere. Il che giustifica la trattazione unitaria di SAR e ordine pubblico in un unico documento, anche se sarebbe forse stato necessario un esplicito riferimento al coordinamento con i Trasporti.
Circa il profilo giuridico quindi la Direttiva richiama i principi del diritto del mare e della normativa italiana di controllo dell’immigrazione irregolare, lasciando ovviamente aperta la porta a provvedimenti di sbarco, caso per caso, delle persone soccorse.
Il documento afferma che il modus operandi dei mercantili e Ong consistenti nel “soccorso di migranti irregolari in acque di responsabilità non italiane e nel successivo deliberato trasferimento dei medesimi migranti, nonostante il Comando delle Capitanerie di Porto italiano non avesse coordinato l’evento e, quindi, in violazione delle leggi vigenti in materia di immigrazione, ha determinato negli anni 2016, 2017 e 2018 l’arrivo di migliaia di migranti irregolari sul territorio nazionale”.
Ricordiamo che erano stati i precedenti governi italiani – fino a quando si decise di rafforzare le capacità libiche di soccorso – a scegliere di coordinare tutte le operazioni SAR avanti a Libia e Malta accettando che le persone soccorse venissero sempre trasportate nella Penisola.
Il tavolo tecnico ha invece oggi evidenziato due violazioni della legge ed è proprio su questo presupposto che Salvini chiede l’arresto del comandante e del capomissione.
“La Mare Jonio ha disobbedito per ben due volte all’ordine della Guardia di finanza di spegnere i motori. Il mare non era mosso e non c’era pericolo di affondamento. La Mare Jonio era più vicina alla Libia e Tunisia, ma ha fatto rotta verso l’Italia sottoponendo gli immigrati ad un viaggio più lungo. La nave non ha avvisato Malta. Ha disobbedito alle indicazioni della guardia costiera libica. Un comportamento che dimostra il chiaro intento di voler portare in Italia immigrati clandestini”.
Foto Mediterranea e Ansa
Fabio CaffioVedi tutti gli articoli
Ammiraglio in congedo, docente a contratto di "Introduzione geopolitica e diritto internazionale del mare" presso l'Università di Bari. E' autore del "Glossario di Diritto del Mare", RM, 2020 disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Documents/supplementi/Glossario_di_diritto_del_mare_2020.pdf