L’ Afghanistan verso il baratro
Nell’apparente disinteresse dei media la situazione in Afghanistan continua a degenerare in termini di sicurezza e stabilizzazione.
Il vicepresidente dell’Afghanistan, generale Abdul Rashid Dostum, è rimasto illeso dopo che il convoglio su cui viaggiava fra le province settentrionali di Balkh e di Zawzjan è stato attaccato ben due volte in agguati, rivendicati dai talebani, nei quali è rimasto ucciso uno degli uomini addetti alla sua sicurezza e altri due sono rimasti feriti.
Munir Ahmad Farhad, portavoce del governatore provinciale di Balkh, ha detto che i talebani hanno attaccato il convoglio di Dostum in due punti: prima nel distretto di Char Bolak e poi in quello di Faiz Abad nella serata di ieri. Il portavoce ha aggiunto che nei due agguati sono rimasti uccisi almeno quattro talebani e altri sette sono rimasti feriti. La rivendicazione è stata fatta dal portavoce dei miliziani jihadisti, Zabihullah Mujahid.
Sul piano politico pesa l’ennesimo rinvio delle elezioni presidenziali, previste per il 20 aprile e già rinviate una volta, sono state fatte slittare ora al 28 settembre. Lo ha annunciato il 20 marzo scorso la Commissione elettorale. Le elezioni legislative dello scorso ottobre sono state tenute con “molti problemi e ostacoli, è necessario attuare riforme in preparazione delle future elezioni”, ha dichiarato la Commissione elettorale indipendente. Il posticipo al “28 settembre” dovrebbe “permettere di attuare meglio la legge elettorale” e “assicurare la trasparenza e la registrazione degli elettori”.
Sul piano della sicurezza, in attesa di sviluppi concreti dai negoziati in corso tra USA e talebani (in cui sembra che gli insorti abbiano accettato di non offrire mai più basi ad al-Qaeda in cambio del ritiro dei militari americani e alleati) , la situazione è in continuo peggioramento.
Il 29 marzo almeno 15 gli agenti di polizia sono rimasti uccisi in un attacco dei talebani contro un check-point a Ghazni, il 22 marzo 26 soldati e 7 poliziotti sono morti in seguito ad un attacco dei talebani nella provincia meridionale di Helmand. L’ attacco, in cui sono rimasti feriti anche 31 soldati, ha avuto luogo nel distretto di Sangin ed è stato rivendicato dai talebani mentre il ministero della Difesa afghano si è rifiutato di rendere noto il bilancio delle vittime.
L’elevato numero di caduti e feriti (e di disertori) tra le forze di sicurezza afghane comporta un’usura dei reparti senza precedenti e le notizie sull’imminente ritiro di statunitensi e alleati certo non aiuta il morale delle truppe di Kabul.
Il 21 marzo due soldati americani (probabilmente appartenenti alle forze speciali) sono rimasti uccisi durante un’operazione non meglio precisata in Afghanistan dove dall’inizio dell’anno sono morti 4 militari statunitensi (circa 2.400 dall’inizio del conflitto oltre a un migliaio di alleati).
Il 17 marzo oltre un centinaio di soldati afghani hanno disertato e cercato di fuggire nel vicino Turkmenistan nel corso di una battaglia, che durava ormai da una settimana nel settore occidentale affidato al comando italiano dell’Operazione Nato Resolute Support.
Fonti locali, hanno reso noto che i disertori sono stati respinti alla frontiera e che il loro destino è per ora sconosciuto. Mohammad Naser Nazari, consigliere della provincia nord-occidentale di Badghis, che ha reso noto la vicenda, ha aggiunto che i talebani hanno postato sui social media foto di soldati da loro fatti prigionieri.
Un portavoce del governatorato di Badghis, Jamshin Shahabi, ha detto che durante la lunga battaglia almeno 16 soldati sono rimasti uccisi, benché l’esercito avesse chiesto l’appoggio aereo.
Contemporaneamente, nella vicina provincia di FaryabI i talebani hanno ucciso almeno 22soldati afghani in attacchi contro posti di blocco in cui altri 20 militari sono rimasti feriti.
Pochi giorni prima, il 12 marzo, una sparatoria feroce scoppiata tra soldati afghani e statunitensi nei pressi di un avamposto nel sud dell’Afganistan ha causato la morte di 5 militari di Kabul, il ferimento di molti altri e la distruzione della base in un raid aereo americano.
Lo scrive il New York Times. Secondo quanto riferito da ufficiali afghani, la sparatoria è scoppiata per motivi imprecisati, quando dalla base sono stati esplosi colpi contro un convoglio misto di forze Usa e afghane. Dopo ore di battaglia gli statunitensi hanno ordinato un raid aereo sulla Satarman Base, che è stata “distrutta”.
Notizie che confermano le tensioni tra afghani e alleati e le continue infiltrazioni talebane tra le forze governative.
A inizio marzo decine di militanti talebani, incluso uno dei loro comandanti, sono stati uccisi durante una serie di operazioni condotte anche con raid aerei dalla Forze speciali afghane. I raid hanno interessato le province di Kundu, Logar, Ghaznie Wardak.
In una di questa sarebbero stati uccisi almeno 25 talebani e distrutto un deposito di armi. E’ poi di13 miliziani uccisi il bilancio di un attacco nel distretto di Charkh, nella provincia di Logar. Contemporaneamente, un raid aereo ha colpito i distretti di Andar e Jagahtoo colpendo due talebani, tra cui un comandante locale.
Negli stessi giorni 23 soldati afghani sono stati uccisi in un attacco rivendicato dai Talebani che hanno cercato di impadronirsi di una base militare nel sud del Paese. Altri 16 soldati sono rimasti feriti nell’ attacco contro la base di Shorab, nella provincia di Helmand. Nei combattimenti, secondo l’ufficio del governatore della provincia, sono rimasti uccisi anche 20 talebani.
Infine è emerso che Il defunto leader dei Talebani afghani, il Mullah Mohammed Omar, a cui per anni le forze americane hanno dato la caccia arrivando a porre una taglia da10 milioni di dollari sulla sua testa, si sarebbe nascosto per lungo tempo in una località a non più di cinque chilometri da una base militare Usa nel sud dell’Afghanistan.
Lo sostiene in un nuovo libro la giornalista e scrittrice olandese Bette Dam. Nel libro, intitolato “A caccia di un nemico”, si sostiene che il leggendario capo dei Talebani con un occhio solo non si sarebbe mai nascosto in Pakistan, come ritenuto dalle autorità americane e afghane. E come anche oggi ha ribadito il governo di Kabul, respingendo la ricostruzione presentata nel volume: “Abbiamo prove sufficienti per dire che il Mullah Omar ha vissuto ed è morto in Pakistan, punto!” ha affermato Haroon Chakhansuri, portavoce del presidente afghano Ashraf Ghani.
Secondo l’ipotesi più accreditata fino ad oggi, il mullah Omar, in fuga da quando nel 2001 l’attacco anglo-americano rovesciò il regime dei Talebani a Kabul, sarebbe morto in un ospedale di Karachi nell’ aprile del 2013 per una malattia.
Bette Dam, basandosi su un lavoro d’ inchiesta durato cinque anni, afferma invece che l’ex leader talebano si nascose dapprima a Qalat, capoluogo della provincia di Zabul. Qui gli americani cominciarono nel 2004 a costruire la base di Lagman, circa tre chilometri dal suo nascondiglio. Omar si trasferì allora nel distretto di Shinkay, dove poco dopo gli americani avviarono, a cinque chilometri di distanza, la costruzione della base Wolverine, per le truppe Usa e quelle di alleati della Nato.
Negli anni più caldi della guerra tale installazione arrivò ad ospitare oltre mille soldati, ma Omar, sempre secondo la ricostruzione del libro, non ritenne necessario spostarsi. La giornalista olandese ha consultato diverse fonti di prima mano, tra cui Jabbar Omari, un uomo che diventò la guardia del corpo di Omar dall’inizio della latitanza. Attualmente Omari sarebbe prigioniero dei servizi d’ intelligence afghani. Il mullah Omar non fu in grado di dirigere i Talebani dal suo nascondiglio, ma si ritiene che fu lui ad approvare l’apertura di un ufficio di rappresentanza in Qatar, dove ormai da tempo sono in corso negoziati fra Talebani e Stati Uniti per cercare una soluzione che ponga fine ai 17 anni di guerra.
Foto Reuters, AFP, Isaf, Ministero Difesa Afghano e Op. Resolute Support
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