Haftar a Tripoli punta alla vittoria o a negoziare da una posizione di forza?
Non ha avuto esiti positivi la richiesta del Consiglio di sicurezza dell’Onu alle forze del generale Khalifa Haftar di fermare l’avanzata verso la captale.
Da mercoledì scorso l’Esercito Nazionale Libico (LNA) guidato dal feldmaresciallo che controlla la Cirenaica e ha conquistato in febbraio il meridione libico ha lanciato un’offensiva in Tripolitania con l’obiettivo dichiarato di “liberare Tripoli dal terrorismo”.
Offensiva che è continuata nelle ultime 24 ore con alterne vicende. Le avanguardie di Haftar sono state respinte venerdì a sud di Tripoli e ieri hanno subito attacchi aerei da parte dei Mig decollati da Misurata.
L’aviazione di Haftar ha invece decretato una “no-fly zone” su tutto l’ovest del paese: “qualsiasi aereo militare in questa regione sarà considerato un obbiettivo nemico e l’aeroporto da cui è decollato sarà bombardato”, afferma su Facebook il portavoce dell’LNA, Ahmed Mismari.
I jet di Misurata, che per ora sostengono il governo di Tripoli di Fatez al-Sarraj e sono tradizionali avversari di Haftar, cercano di colpire le truppe di Haftar e le loro retrovie logistiche-anche se molti analisti attribuiscono alle forze di Haftar una superiorità aerea garantita non solo dai vecchi Mig 21, Mig 23 e Mirage F1 che facevano parte dell’aeronautica di Gheddafi ma anche di elicotteri e aerei da attacco al suolo gestiti da contractors al soldo degli Emirati Arabi uniti, grandi sponsor militari di Haftar.
Sul campo di battaglia si sono registrati scontri tra LNA e le milizie islamiste che difendono Tripoli all’aeroporto Mitiga e ad Ain Zara, ad appena 12 chilometri a sud-est dal centro.
L’LNA rivendica inoltre di aver assunto il controllo della “Porta 27”, a ovest di Tripoli.
Ex generale di Gheddafi caduto in disgrazia dopo la disfatta subita in Ciad nel 1986, Khalifa Haftar è tornato protagonista dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti e in seguito alla guerra che vide l’Occidente sostenere i rivoltosi che abbatterono Gheddafi e il suo regime.
Il generale trae la sua forza politica e militare dal supporto ricevuto in questi anni da Francia, Russia e soprattutto Egitto ed Emirati Arabi Uniti, che vedono in lui il feroce avversario di ogni forma di islamismo (dall’IS ad al-Qaeda, dai salafiti ai Fratelli Musulmani) e gode del consenso dei militari e di una crescente porzione di popolazione libica.
Nominato Feldmaresciallo dal governo di Tobruk dopo la liberazione di Bengasi dalle milizie jihadiste, Haftar non può certo essere paragonato a Erwin Rommel, che tra Libia ed Egitto mostrò le sue migliori qualità belliche.
Per liberare Bengasi i suoi militari dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) hanno dovuto combattere due anni, molti mesi per cacciare i jihadisti dalla più piccola Derna e oggi in pochi credono possa occupare Tripoli con un blitz.
La capitale è ben difesa da diverse milizie incluse le potenti forze di Misurata (un tempo molto ostili ad Haftar e oggi più aperte al confronto) e altre per lo più di ispirazione salafita o vicine alla Fratellanza Musulmana che godono del supporto di Turchia e Qatar, acerrimi nemici degli sponsor emiratini ed egiziani di Haftar.
Milizie spesso in contrasto tra loro, che non hanno mai permesso al premier di Tripoli nominato dall’Onu, Fayez al-Sarraj, di avere il pieno controllo della Tripolitania ma che si sono recentemente rinsaldate tra loro per fermare Haftar varando l’operazione “Uadi Doum 2”: un nome che ha il sapore della beffa per il generale perchè a Uadi Doum, in Ciad, le truppe libiche da lui guidate vennero sgominate da francesi e ciadiani nel febbraio 1986.
Difficile in questo contesto ritenere che Haftar possa entrare trionfalmente a Tripoli nei prossimi giorni, anche se tra gennaio e febbraio una campagna lampo nel sud desertico (sostenuta secondo indiscrezioni da 300 contractors russi) ha permesso in poche settimane alle sue truppe appoggiate da milizie tribali locali di stabilizzare il Fezzan e di assumere il controllo dei confini con Niger e Ciad, attraversati anche dai traffici di armi, droga e immigrati illegali.
Sul fronte di Tripoli la situazione militare è però più complessa (a meno di clamorose defezioni da le milizie tripoline) e i nemici di Haftar molto più forti: più probabile quindi che il generale punti invece ad avvicinarsi alla capitale per negoziare da una posizione di forza ai colloqui per la stabilizzazione della Libia previsti a Gadames e mediati dalle Nazioni Unite.
Il generale del resto gode del supporto dei militari libici orfani dell’esercito di Gheddafi, sia ovviamente di quelli che combattono nell’LNA ma anche di molti che sono schierati col governo di Tripoli, come sembra confermare anche la notizia del rifiuto di alcuni piloti delle forze aeree fedeli ad al-Sarraj di impiegare i loro Mig contro le truppe di Haftar.
Il fallimento dei movimenti politici e tribali che rovesciarono Gheddafi, dimostratisi incapaci in otto anni di stabilizzare il paese, ha rafforzato nei militari la convinzione di rappresentare l’unica speranza per il futuro della Libia. Un approccio che non indica necessariamente la volontà di tornare al regime anche se Haftar ha espresso il suo sostegno alla candidatura di Saif al Islam Gheddafi, figlio del Colonnello, alle elezioni presidenziali.
Anche la popolazione della Tripolitania, stremata da otto anni di instabilità, impoverimento e frazionamento del paese, frutti dell’inconcludente gestione dei rivoluzionari del 2011, guarda con speranza ad Haftar.
La situazione nella Cirenaica sotto il suo controllo è tranquilla, dalle sue coste non salpano barconi o gommoni diretti in Italia e anche nel desertico Fezzan, che ha spesso denunciato di sentirsi trascurato da Tripoli e da al-Sarraj, le popolazioni locali guardano con speranza al recente arrivo dell’LNA.
Per l’Italia, da sempre in equilibrio tra le necessarie aperture ad Haftar e l’impellenza di sostenere pragmaticamente al-Sarraj, una vittoria del generale non rappresenta necessariamente una minaccia.
In Tripolitania sono in gioco i nostri prioritari interessi nazionali, a Melitha c’è il terminal del gasdotto Green Stream dell’ENI e dalle coste della regione i trafficanti continuano a far salpare barconi e gommoni, ma Haftar è il più acerrimo nemico di jihadisti e trafficanti, ha da tempo rinunciato a posizioni anti-italiane e non è ipotizzabile che la “nuova Libia” possa nascere senza una stretta cooperazione con Roma.
Anche per questa ragione appare strumentale e un po’ patetica l’interpretazione dell’attuale crisi libici elaborata dagli “immigrazionisti” che non si avventurano in analisi politiche e strategiche ma vedono nella battaglia per Tripoli l’ennesimo pretesto per chiedere a gran voce la riapertura dei porti italiani agli immigrati illegali.
Fieramente ostili agli interessi nazionali, sono oggi costretti a tifare per Haftar nella speranza che il caos determinato dalla sua offensiva consenta di riaprire il lucroso business che in questi anni ha arricchito i trafficanti tanto quanto le organizzazioni dedite a soccorsi e accoglienza.
Foto: AFP, REuters, AGI e al Jazeera
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.