Tripoli: l’assenza di vincitori rilancia il ruolo italiano?
L’impasse nei combattimenti tra l’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar e le milizie che difendono il premier voluto e riconosciuto dall’ONU, Fayez al Sarra potrebbe indicare una svolta in quella che è stara pomposamente definita la “battaglia per Tripoli”.
Un’impasse che potrebbe infatti lasciare nuovamente ampi margini alla politica e al negoziato. Haftar non ha sfondato il fronte, non è penetrato nel cuore della capitale libica e con ogni probabilità la defezione di alcune milizie tripoline su cui contava non si è verificata.
La visita del feldmaresciallo della Cirenaica al Cairo di oggi in cui ha discusso con il presidente Abdel Fattah al-Sisi, riferisce la TV egiziana di Stato, “gli sviluppi della situazione in Libia” potrebbe indicare una rivalutazione dell’intera campagna per prendere Tripoli
Al tempo stesso le milizie di Misurata e le altre che hanno difeso la città hanno ripreso Ain Zara, il sobborgo conteso a circa 15 chilometri a sudest dal centro di Tripoli, hanno colpito le linee di rifornimento nemiche ma non sono riuscite a respingere le forze del generale dai dintorni della città.
Il bilancio di 10 giorni di “battaglia” è del resto molto limitato, troppo per definire quella in corso a Tripoli una “guerra civile” come si so o affrettati molti ambienti che non vedono l’ora di sfruttare questo pretesto per far riaprire i porti italiani a nuove ondate di immigrati illegali.
121 morti e 561 feriti secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), meno secondo altre font, cui aggiungere oltre 10mila sfollati: numeri che sembrano indicare una “drole de guerre”, una serie di scaramucce in cui gli avversari hanno messo in campo più fumo che arrosto, ben attenti a non farsi troppo male a vicenda, persino con i bombardamenti aerei risoltisi da ambo le parti quasi sempre con qualche ordigno a caduta libera (non guidato da strumenti di precisione) sganciato sul nulla, spesso senza provocare danni o vittime.
Il vice Primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar, Mohamed bin Abdulrahman Al Thani (che domani sarà a Roma), ha dichiarato che in Libia è necessaria una soluzione politica, non militare: una valutazione condivisa ufficialmente da molti inclusa la Ue anche se Parigi due giorni or sono si è rifiutata di firmare una mozione europea che condannava l’offensiva dell’LNA confermando così le voci di un supporto segreto francese ad Haftar se non addirittura di un via libera all’attacco alla capitale.
Parigi nega ogni coinvolgimento con Haftar e un portavoce del ministero degli Esteri ha precisato che le priorità della Francia per la Libia sono “la cessazione delle ostilità e la ripresa del dialogo, come anche il sostegno alla mediazione delle Nazioni Unite per rilanciare il processo politico”.
“Personalmente, con altri colleghi stiamo cercando di puntare alla pace e al dialogo parlando con tutti. Qualcuno temo, per interessi economici e per egoismi nazionali, stia giocando alla guerra che è un gioco molto molto pericoloso” ha detto ieri il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, al Giornale radio Rai. “Mi sembra evidente che chi ha interesse a destabilizzare l’area e l’ha già fatto negli anni passati per interessi economici e non per i diritti umani sia chiaramente oltreconfine”, ha aggiunto.
Possibile che la Francia abbia davvero inviato una dozzina di consiglieri militari a Gharian, base logistica e comando delle operazioni dell’LNA a Tripoli ma potrebbe trattarsi di un supporto poco più che simbolico col quale la Francia ha voluto garantirsi, in caso di vittoria-lampo di Haftar, di poter salire subito sul carro del vincitore.
Finora gli scontri a Tripoli hanno dimostrato la scarsa influenza sugli eventi dell’Occidente e della stessa Russia (anch’essa sponsor di Haftar) poiché sul campo i protagonisti sono stati i due fronti arabo-islamici: Egitto, Emirati Arabi Uniti (supporto logistico affidato a contractors) e Arabia Saudita (quest’ultima più defilata e forse limitatasi a fornire solo supporto finanziario) al fianco di Haftar e l’asse Turchia-Qatar a sostegno dei Fratelli Musulmani, il movimento islamista cui si rifanno molte milizie a Tripoli e Misurata che sostengono al-Sarraj.
Il fallimento delle opzioni militari fa risalire le quotazioni soprattutto dell’Italia come “potenza” in grado di garantire il via libera a nuovi negoziati. Non solo perché Roma non si è sbilanciata tra i due contendenti e non ha “scheletri nell’armadio”, a differenza di Parigi.
Ma anche perchè, oltre ad aver ottimi rapporti con entrambi i leader rivali, l’Italia ha mantenuto aperta la sua ambasciata e a differenza di statunitensi (forze speciali USA sono in fase di rientro a Tripoli) ed europei non ha evacuato i suoi militari da Misurata e Tripoli dove sono impegnati in una missione sanitaria e una di supporto alla Guardia Costiera libica, mantenendo quindi un ruolo di affidabilità e amicizia nei confronti della Libia che resta ineguagliato.
L’annuncio che le Nazioni Unite hanno annullato il vertice tra le controparti libiche previsto la prossima settimana a Ghadames, potrebbe infatti aumentare i margini di manovra di Roma per tentare di riunire attorno a un tavolo i leader della nostra ex colonia.
Foto: AFP, Reuters, Twitter e AP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.