Gabrielli rilancia l’allarme “foreign fighters” per i flussi migratori Balcanici

Il flusso di migranti lungo la rotta dei Balcani è ripreso ed è probabile che tra chi tenta di raggiungere l’Europa possano nascondersi i combattenti in fuga da Siria ed Iraq dopo la sconfitta sul terreno dello Stato Islamico. Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha rilanciato il 17 maggio l’allarme sui foreign fighters per ribadire quando sia fondamentale per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa stessa la cooperazione con le forze di polizia di quei paesi.

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L’occasione l’ha offertala sesta edizione del “Foro di Roma”, la riunione con i capi delle polizie di Albania, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia, Moldova, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia e Ungheria e alla quale hanno partecipato i rappresentanti di diverse agenzie di sicurezza europee: Europol, Interpol, Frontex e Selec.

Che i Balcani siano infatti da decenni un punto di passaggio per combattenti islamici ma anche un luogo dove coltivare integralismi e radicalismi, non è un segreto per nessuno visto che, come ricorda l’ultimo rapporto della Fondazione Icsa, sin dall’inizio del conflitto nell’ex Jugoslavia i mujaheddin afghani videro nella Bosnia “la possibilità di aprire un nuovo teatro operativo dopo la chiusura di quello afghano e un’occasione di diffusione del loro credo e del jihad alle porte dell’Europa”.

Roma, 3 lug. (askanews) - Sono oltre 36mila, tra morti e feriti, le vittime del terrorismo in Iraq nel 2014. Il bialncio di sangue, ad un anno dalla nascita dello Stato Islamico (Isis) autoproclamatosi il 29 giugno 2014, lo ha reso noto con un rapporto il ministero dei Diritti dell'Uomo iracheno. Oltre i morti e i feriti, il ministero ha censito anche altri danni provocati dalla furia distruttrice degli uomini del Califfato come la distruzione di ben 201 moschee e della fuga di circa mezzo milione di famiglie dalle province controllate dai Jihadisti: Ninive, al Anbar e Salhuddine. "Il numero dei morti nel corso dell'anno scorso in tutte le province irachene ad eccezzione di Ninive, Salhuddine e al Anabr (quelle controllate dall'Isis, ndr) e la regione autonoma del Kurdistan è stato di 4722 persone uccise mentre quelle ferite sono state in 28.525", ha detto il ministero iracheno in un comunicato diffuso oggi. Pesante anche il bilancio delle vittime tra gli uomini dei media. Secondo i dati del ministero, dal 2013 al 2014 sono stati uccisi 406 giornalisti, "14 dei quali trucidati nel 2014". Tributo di sangue anche tra i magistrati che nel corso dell'anno appena passato hanno perso "sei giudici uccisi dai terroristi". Nel rapporto del ministro viene censito anche il numero dei luoghi di culto musulmani distrutti dagli islamisti del Califfato; secondo i dati della Sovraintendenza sunnita dalla nascita dell'Isis a giugno ad oggi nelle zone controllate dagli uomini del Califfo Abu bakr al Baghdadi "sono stati colpiti 201 moschee". Ed infine stando ai dati del ministero della Migrazione, "nel 2014 sono state 493.990 le famiglie che sono fuggite dalle proprie province" a causa della violenza.

Così a partire dal 1992 arrivarono a Sarajevo combattenti di ogni provenienza uniti dall’esperienza afghana, armi e cospicui finanziamenti da varie ong islamiche. Lo stesso Bin Laden, allora sconosciuto, fu visto più volte nella capitale bosniaca.

“Quei fondi, quegli arsenali, quei contatti sviluppati nei primi anni novanta – dicono ancora gli analisti – posero le basi del successivo sviluppo dell’attuale minaccia nei Balcani” che “rappresentano una base d’appoggio per il terrorismo di stampo jihadista”. Sia quello nato nelle comunità da tempo islamizzate sia quello “di ritorno”.

Da queste valutazioni emerge la necessità, ribadita dal capo della Polizia, di monitorare i flussi con la massima attenzione: “a fronte di un significativo decremento dei flussi nel Mediterraneo – ha detto Gabrielli- abbiano registrato una ripresa sulla rotta balcanica, anche se non ai livelli del 2015. E questo fenomeno, commesso alla caduta dell’Isis, rappresenta un motivo di preoccupazione per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa perché “è possibile, e in alcuni casi probabile, un afflusso di foreign fighters”.

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La cooperazione con quei paesi è quindi fondamentale, non solo per la lotta al terrorismo ma anche per contrastare le organizzazioni che si occupano della tratta di esseri umani e i rapporti tra organizzazioni criminali locali e le mafie italiane.

“La vera sfida della cooperazione – conferma il vicecapo della polizia e direttore della Criminalpol, Vittorio Rizzi- è rappresentata dal dialogo tra le piattaforme informative e dall’interoperabilità delle banche dati, che colleghino le informazioni in modo intelligente ed automatico, rendendo immediatamente fruibili all’operatore di polizia quegli elementi selezionati effettivamente necessari per bloccare la minaccia”.

E un esempio di questa cooperazione sono anche le pattuglie miste, sul confine sloveno come su quello croato, che verranno intensificate.

(con fonte Ansa)

Foto: Polizia di Stato e Stato Islamico

 

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