Marò: 900 inutili (e costosi) giorni in India
Tre governi, tante chiacchiere e nessun risultato. Difficile sintetizzare con parole diverse la vicenda dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone la cui “saga” può essere ben rappresentata anche in termini numerici ricordando che a inizio agosto i due militari italiani avranno totalizzato 900 giorni di “prigionia” in India.
Anche se trattenuti nel Paese asiatico all’esterno di un carcere e vivono presso l’ambasciata a Nuova Delhi la loro può essere considerata la più lunga “prigionia” di militari italiani dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una situazione assurda e inaccettabile dal momento che l’Italia non è in guerra con l’India e che rappresenta, nei fatti, oltre che simbolicamente, il minimo storico di cedibilità raggiunto dal nostro Paese.
Potrebbe essere una coincidenza (per chi crede ancora alle coincidenze) ma non è forse un caso che nessuno dei tre governi italiani (Monti, Letta e ora Renzi) che hanno gestito la vicenda dei marò è stato espressione del voto popolare e non sono riusciti né a riportare a casa i due militari con l’inganno (arma più che lecita in “guerra” e di fronte ai soprusi indiani) né a far valere il principio riconosciuto in tutto il mondo che un militare può essere giudicato solo dal suo Paese in base al principio dell’immunità funzionale.
Neppure l’India, che aspira al ruolo di grande potenza e vuole essere un punto di riferimento in Asia, ha fatto bella figura. In due anni non è riuscita a processare Latorre e Girone né ad esprimere nei loro confronti dei capi d’accusa a conferma di come prove e testimonianze contro i loro per la morte di due pescatori del Kerala siano state artefatte in modo così cialtronesco e improvvisato da non poter reggere neppure in un tribunale indiano.
Ciò nonostante i recenti sviluppi della vicenda non sembrano indicare soluzioni in tempi rapidi mentre cresce il rischio che Latorre e Girone vengano dimenticati da politica e media specie ora che la gran parte degli organi d’informazione ha assunto un atteggiamento prono nei confronti di Matteo Renzi e del suo governo.
Un andazzo confermato anche dalla scarsa eco avuta dalla relazione presentata dal Cocer Marina (organo di rappresentanza militare) in Commissione Difesa della Camera il 17 luglio.
“L’Italia ha purtroppo dato al mondo intero l’immagine di un Paese che opera in campo internazionale in modo improvvisato, incapace di difendere i propri diritti anche perché vincolato da logiche che ci vedono soccombenti nei confronti di Paesi di elevato interesse economico-commerciale”. Parole dure quelle del Cocer che spiegano lo scarso e inconcludente sforzo di Roma perché “Massimiliano Latorre e Salvatore Girone erano in servizio per conto dello Stato, in acque internazionali e per questa doppia ragione la loro immunità funzionale deve essere riconosciuta e difesa”.
Secondo l’organismo di rappresentanza “occorre fare un cambio di passo nell’interesse dei fucilieri e dell’Italia. La mancanza di un cenno su questa vicenda da parte del Presidente del Consiglio, in occasione dell’avvio del semestre europeo a guida italiana, è apparso agli occhi dei delegati un segnale di scarsa volontà da parte del Governo nell’affrontare con la determinazione che il caso richiede la difficile situazione”.
Toni insolitamente duri che secondo alcune fonti confermerebbero le crescenti difficoltà psicologiche accusate da Latorre e Girone dopo due anni e mezzo di incertezze, pressioni mediatiche e soprattutto di consapevolezza di non costituire una priorità per il loro Paese. Il governo Renzi prosegue infatti sulla strada dell’ambiguità nella gestione della crisi con l’India. Ufficialmente l’esecutivo ha annunciato il ricorso a ricorso internazionale ma nei fatti questa procedura non è stata ancora attuata cercando un ennesimo accordo con Nuova Delhi e con il governo nazionalista indiano insediatosi in primavera e guidato da Narendra Modi.
Roma non è riuscita a riportare a casa i due militari ma in compenso ha pagato agli indiani fior di quattrini. Dopo gli indennizzi del governo Monti per morti e danni che non furono provocati da Latorre e Girone (la loro innocenza è un dato di fatto in assenza di condanne e persino di incriminazioni) sono state saldate parcelle d’oro agli avvocati dei più prestigiosi studi legali indiani che in due anni e mezzo non sono riusciti né a far scagionare né a far liberare in attesa di processo Girone e Latorre.
A questi luminari del foro i contribuenti italiani hanno liquidato 5 milioni di dollari pari a oltre 3,5 milioni di euro sborsati dai Ministeri di Interni e Difesa.
Avvocati indiani che ci hanno preso in giro non solo perché si sono fatti pagare “a ora di lavoro” e non “a risultato” ma perché hanno sempre dimostrato di essere più sensibili alle pressioni politiche del loro Pese che alla causa dei loro clienti.
Lo studio Titus & Co di Nuova Delhi schierò ben 9 legali senza ottenere un granché, il noto avvocato Harish Salve annunciò nel marzo 2013, quando Roma sembrava voler trattenere Latorre e Girone, che avrebbe lasciato l’incarico per protesta. Anche lui ha incassato la sua ricca parcella come l’avvocato Mukul Rohatgi (nella foto a sinistra), che non ha ottenuto neppure il rientro in Italia dei marò in attesa di incriminazione ma che deve avere qualche conflitto d’interessi in questa vicenda considerato che il nuovo governo indiano lo ha nominato procuratore generale.
A completare la presa in giro Rohatgi, che si è fatto carriera politica e conto in banca grazie ai marò, ha fatto sapere in un’intervista che non rappresenterà il governo indiano “nel caso dei marines italiani a causa del conflitto d’interessi”.
Una parte del gruzzolo è andata anche al dallo studio legale di Sir Daniel Behtlehem, baronetto inglese esperto in arbitrato internazionale, che coordina un team di 3 avvocati inglesi e 5 italiani esperti che dovrebbero internazionalizzare la vicenda giudiziaria attraverso un meccanismo che dovrebbe prendere il via con uno “scambio di vedute” con il governo di Delhi che però non ha neppure risposto a ben tre richieste italiane.
“Se l’India continua ad opporsi rivolgiamoci al Tribunale del mare di Amburgo” suggerisce da tempo la professoressa Angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale alla LUISS di Roma che sulla rivista online dell’università ha pubblicato una relazione che spiega nei dettagli la strada da seguire. In 90 giorni il presidente del tribunale del mare di Amburgo può superare gli ostacoli posti dall’India e “con una procedura d’urgenza” i fucilieri di Marina potrebbero venir affidati ad uno Stato o istituzione terza, come la Nato o l’Unione europea e tornare quindi liberi. Si tratta di una procedura prevista per risolvere le dispute secondo l’Unclos, la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Insomma, dopo 900 giorni si ricomincia da zero.
da La Nuova Bussola Quotidiana
Foto: Ansa, Lapresse, The Economic Times
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.