La Francia valuta l’impiego dei riservisti in conflitti ad alta intensità

“Devo informarvi che il ritorno allo scontro bellico è la conseguenza del degrado dell’ambiente internazionale e dell’impoverimento del mondo determinati da diversi fattori di instabilità”, aveva dichiarato il generale François Lecointre (nella foto sotto), Capo dello stato maggiore delle forze armate francesi , durante un’audizione parlamentare tenutasi a porte chiuse nel novembre 2019 ma i cui contenuti sono stati resi noti solo nel gennaio di quest’anno.

New armed forces chief of staff Gen. Francois Lecointre reviews the troops at the Istres air base, southern France, Thursday, July 20, 2017. (AP Photo/Claude Paris)

Una valutazione che sta prendendo piede in Francia al punto che il generale Thierry Burkhard, Capo di stato maggiore dell’Esercito (Armèe de Terre) la ha approfondita nel suo documento di “Visione strategica” presentato nel giugno scorso al parlamento.

Tra le 12 linee guida per preparare la Francia a una guerra ad elevata intensità c’è anche l’obiettivo di garantire alle forze terrestri una “massa maggiore” con un più ampio coinvolgimento dei riservisti operativi, non potendo più fare affidamento sulla coscrizione che in passato aveva fornito le forze di mobilitazione per la difesa territoriale o Difesa operativa del territorio (DOT).

Burkhard (nella foto sotto) ha ricordato che nel 1989, quando cadde il muro di Berlino, la Francia disponeva di un Esercito  composto da tre Corpi d’Armata, dalla Forza d’Azione Rapida per gli interventi lontano dal territorio nazionale e della DOT.

Dalla fine della Guerra Fredda e con il successivo abbandono della coscrizione il concetto di difesa operativa del territorio è caduto in disuso anche se, paradossalmente, la necessità di proteggere il territorio è stata sistematicamente enfatizzata negli ultimi anni non solo in Francia da documenti programmatici e Libri Bianchi.

Anzi, le minacce interne sono cresciute di numero e intensità come dimostrano gli impegni assunti dall’Esercito in operazioni come Sentinel in Francia e Strade Sicure in Italia.

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Dell’argomento si è occupato recentemente un articolo di Laurent Lagneau su OPEX 360 dal titolo “L’armée de Terre réfléchit aux rôles que pourraient tenir ses réservistes dans un conflit de haute intensité” in cui si sottolinea come l’esercito punti su una riserva operativa “massiccia e impegnata” per disporre di una “massa più manovrabile, più autonoma, meglio territorializzata”.

In questa visione strategica si specifica che i riservisti operativi dell’Esercito saranno maggiormente sollecitati per “il contributo terrestre alle missioni di protezione del territorio nazionale” mentre “per operare ad alta intensità, l’Esercito deve addestrarsi a livello brigata/divisione. Nel 2023 o 2024, organizzeremo una esercitazione a livello di divisione. In un conflitto ad alta intensità, abbiamo bisogno di una massa più ampia che potrebbe essere costituita dalla riserva operativa di livello 1 (RO1) e dalla riserva operativa di livello 2 (RO2)” ha detto il generale.

Per il generale “l’obiettivo a breve termine è quello di rinvigorire con i riservisti a supporto delle missioni dell’Esercito” ma occorre   “pensare al ruolo” che i riservisti saranno chiamati a “svolgere in un conflitto ad alta intensità”.

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Si possono immaginare diverse opzioni per questa riserva operativa, “o per impiegarla nelle missioni di messa in sicurezza del territorio, o per chiedergli di operare nella difesa operativa del territorio – che richiederebbe di addestrarlo a combattere contro un nemico infiltrato, paracadutisti ad esempio, o difendere punti sensibili – o essere parzialmente integrato nel supporto alle unità impegnate in combattimenti ad alta intensità”.

Aspetto che implicherebbe probabilmente la costituzione di batterie di artiglieria, squadroni di trasporto logistico, ricognizione e altre unità composte da riservisti”.

Nel suo intervento il generale Burkhard ha evidenziato che “nel nord-est della Siria, l’unità americana inviata a proteggere i pozzi petroliferi e i curdi apparteneva alla Guardia Nazionale: noi non siamo ancora arrivati a questo punto ma vale la pena pensarci”.

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L’impiego di unità riserviste in operazioni ad alta intensità impone che vengano addestrate ed equipaggiate come soldati in servizio permanente. Un tema che dovrà essere preso in considerazione nella prossima Legge di Programmazione Militare (LPM) poiché quella attuale (2019-2025) non lo prevede”, ha concluso la sua audizione il generale Burkhard sottolineando la necessità di una attenta riflessione in proposito.

Il dibattito in atto in Francia dovrebbe costituire uno stimolo di rilievo per affrontare gli stessi temi anche in Italia.

Da un lato perché il rischio di trovarci coinvolti in conflitti convenzionali è ben percepibile nella Penisola, a due passi da una Libia in cui l’Italia ha ormai perduto influenza e inserita in un Mediterraneo i cui le tensioni tra le Nazioni si misurano sempre di più mostrando bandiera con aerei, navi e reparti militari.

Dall’altro perché il tema di una riserva operativa in grado di mobilitare forze di completamento spendibili in contesti (anche di combattimento) sul territorio nazionale o all’estero dovrebbe risultare anche in Italia una priorità tenuto conto che gli effettivi in servizio attivo sono numericamente sempre più ridotti e di età media sempre più elevata.

Foto Ministero Difesa Francese

 

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