F-16 egiziani e tanker degli Emirati per i raid su Tripoli?

Per due volte negli ultimi sette giorni, Egitto ed Emirati Arabi hanno segretamente unito le loro forze aeree per condurre raid  contro le milizie islamiche libiche del fronte “Fajr Libya” che raggruppa salafiti, Fratelli Musulmani  e milizie di Misurata impegnate nell’Operazione “Alba” per  conquistare Tripoli. Lo hanno affermato, riferisce il New York Times, quattro alti funzionari americani, aggiungendo che gli Stati Uniti sono stati colti di sorpresa dall’iniziativa e che le autorità egiziane hanno anche smentito a diplomatici Usa di aver condotto i raid. Secondo alcune fonti, gli Usa sono assolutamente contrari a incursioni aeree e in generale a interventi militari esterni nella crisi libica poiché ritengono  che potrebbero esacerbare ulteriormente gli animi e gettare benzina sul fuoco.

“Riteniamo che la cosa non sia assolutamente produttiva”, ha affermato uno degli alti funzionari citati in forma anonima dal Nyt (giornale che valuta come la crisi libica stia aprendo la strada a una lunga guerra civile), aggiungendo che secondo altre fonti il governo del Qatar ha già fornito armi alle forze islamiche in Libia e pertanto i nuovi raid aerei rappresentano una sorta di svolta da una guerra per procura verso una coinvolgimento diretto dell’Egitto con il sostegno militare e finanziario di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Un’intesa che sarebbe stata definita durante la recente visita del presidente egiziano di Abdel Fattah al-Sisi a Riad. Secondo le fonti del New York Times, l’Egitto avrebbe fornito le basi per il lancio dei raid, mentre gli Emirati avrebbero fornito piloti, aerei e il rifornimento in volo necessario per raggiungere Tripoli dalle basi egiziane. Le ipotesi tecnicamente più credibili sono però che gli F-16 egiziani (con piloti egiziani) abbiano potuto contare sul rifornimento in volo dei tanker (aerei per il rifornimento in volo)  emiratini Airbus A330 MRTT, tre dei quali sono stati ordinati nel 2007 da Abu Dhabi e consegnati tra il febbraio e l’agosto dell’scorso. Oppure che l’operazione sia stata interamente effettuata da tanker e aerei degli Emirati decollati da basi aeree egiziane.

Il generale Khalifa Haftar, che a maggio lanciò l’Operazione Dignità alla testa di un fronte anti islamista oggi in serie difficoltà sul campo di battaglia,  ha rivendicato le incursioni aeree sull’aeroporto di Tripoli effettuate da un Sukhoi-24 ma è poco credibile perché i Sukhoi 24 libici non risultano più operativi da tre anni e i malconci Mig 21 e 23 non sono in grado di volare di notte e  non dispongono di bombe guidate.
L’aeroporto di Tripoli è inservibile per i danni subiti in oltre un mese di  battaglia ma i servizi segreti algerini hanno lanciato l’allarme per il rischio che aerei civili possano essere utilizzati dai jihadisti per attentati come quelli dell’11 settembre 2001.

L’Egitto ha ufficialmente denunciato “con fermezza ogni tentativo di implicare il Paese negli affari interni della Libia” bollando come “menzogne” le illazioni su un ruolo del Cairo nei raid aerei su postazioni dei miliziani a Tripoli. Lo ha affermato ieri  un comunicato del ministero degli Esteri. Diverse quindi le ipotesi in campo. O le rivelazioni dei funzionari citati dal New York Times sono vere, oppure a Washington c’è chi vuole esporre l’Egitto nel conflitto libico forse per scongiurarne un intervento armato su vasta scala più volte ventilato e che sarebbe teso a spazzare via i qaedisti di Ansar al-Sharia e le milizie legate ai Fratelli Musulmani.

Il Paese è spaccato in due con la presenza persino di due “parlamenti” e due “governi”. Il vecchio parlamento a maggioranza islamista, che si auto rinnovò il mandato di un anno a dispetto delle elezioni del giugno scorso, ha riunito a Tripoli 70 deputati che ieri hanno eletto premier il professore universitario Omar al-Hassi.
Il nuovo paramento nato dalle ultime elezioni con una salda maggioranza laica e moderata riconosce il governo ad interim di Abdullah al-Thani, ha nominato invece ieri il nuovo capo delle forze armate, il colonnello Abdel Razzak Nadhuri, che nel 2011 passò con il suo battaglione con i ribelli. Riconosciuto dalla comunità internazionale, questo Parlamento non ha però nessuna influenza sul Paese anche perché si riunisce a Tobruk, a 1.600 chilometri da Tripoli ma a soli 150 dall’Egitto dove i deputati potrebbero dover fuggire se le forze qaediste continueranno ad avanzare.

Ansar Al-Sharia ha proclamato l’Emirato in Cirenaica lanciando ieri un appello all’unità delle milizie islamiste nel tentativo di cementare sul piano militare l’intesa politica già esistente con le milizie di Misurata e i Fratelli Musulmani mentre fonti d’intelligence sostengono che i qaedisti ricevano aiuti in armi e combattenti dal Qartr e dai gruppi jihadsiti siriani. L’avanzata dei qaedisti, che controllano anche Derna, ha raggiunto Beida, a metà strada tra Bengasi e Tobruk, dove ieri razzi hanno colpito l’aeroporto di Labraq.

Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha sottolineato come il caos nel Paese sia “una diretta conseguenza dell’irresponsabile interferenza degli Usa e dei suoi alleati della Nato nel conflitto interno libico (del 2011) per rovesciare il regime di (Muammar) Gheddafi e per imporre una (sedicente) ‘democratizzazione’ del Paese. I libici ne stanno pagando il prezzo ancora oggi con migliaia di morti”.

Lavrov ha ricordato come la Russia ancora oggi si penta amaramente di essersi astenuta e di non aver invece opposto il veto alla risoluzione 1711 dell’Onu, che aprì ‘surrettiziamente’ la strada ai raid aerei Usa e Nato. Oggi, la situazione da “cattiva è peggiorata ulteriormente con la totale situazione di impasse che vede due parlamenti, due premier e due governi ‘in carica’…ed ora il destino della Libia resta appeso all’esito degli scontri tra diverse tribù, alcune che sostengono gli estremisti islamici” ha concluso Lavrov.

Foto: Reuters, AP, AFP

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