Advantage at Sea: molto più di una strategia marittima
di Francesco Zampieri – CESMAR *
Nel dicembre 2020, il Naval Service degli Stati Uniti – ovvero l’insieme delle forze militari americane che operano sul mare e dal mare, ovvero US Navy, Marine Corps e Coast Guard – hanno pubblicato la nuovissima Advantage at Sea, che sostituisce la precedente A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower, risalente al 2015, ovvero ad un’era geologica fa, politicamente parlando.
Il nuovo documento prende le mosse dalla constatazione che, da allora, il mondo è cambiato profondamente, con la comparsa di potenze (globali o regionali) che si adoperano per «minare l’ordine internazionale esistente», sfruttando i propri progressi tecnologici, una minacciosa modernizzazione del proprio strumento militare e un insidiosissimo mix di capacità militari e paramilitari, il tutto per impadronirsi del controllo dei mari e delle loro risorse naturali. Si tratta di una sfida che vede, in prima linea, la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa, ma anche la Repubblica Democratica di Corea, la Repubblica Islamica dell’Iran e violente organizzazioni estremistiche.
Le minacce marittime globali
Se gli ultimi tre attori sembrano più orientati ad interdire gli spazi marittimi più prossimi al proprio mainland, Russia e Cina paiono invece decisamente più credibili nella sfida lanciata alla supremazia marittima statunitense. Per i prossimi decenni, questa sfida si manifesterà attraverso una “competizione continuativa”, che potrà andare dalla cooperazione al conflitto. In gioco, c’è e ci sarà sempre di più il controllo dei mari, attraverso il quale gli Stati Uniti esercitano la propria supremazia mondiale, per mezzo di una forza militare che è in grado di assemblarsi, sostenersi e proiettarsi ovunque sul mare e dal mare.
In particolare, a preoccupare i vertici del Naval Service americano sono le accresciute capacità navali della Cina, oggi rappresentate da una Marina in continua espansione, cui però vanno aggiunte le forze della Guardia Costiera e della Milizia Marittima, longa manus di Pechino per attuali e future (ma non troppo lontane) forme di ibridizzazione della guerra marittima; complemento di queste capacità di proiezione, la più grande forza missilistica al mondo, incentrata su vettori balistici, missili cruise manovrabili e missili ipersonici, tutti strumenti che concorrono alla creazione di credibili bolle per l’Anti-Access/Area Denial (A2/AD) ovvero la versione marittima della “Grande Muraglia”.
Strumento principe delle capacità marittime globali di Pechino è la Marina da guerra, che in soli vent’anni ha più che triplicato la consistenza della propria forza da battaglia, introducendo in servizio nuove unità di superficie, subacquee, da assalto anfibio, logistiche e, financo, naviglio rompighiaccio, chiara testimonianza, quest’ultima tipologia di naviglio, della grande attenzione con cui, anche a Pechino, si guarda alla possibile prossima apertura delle rotte artiche.
Con un occhio alle lezioni di Mahan sull’importanza della “riserva marittima”, il documento statunitense non dimentica di citare come la capacità della cantieristica cinese sia impressionante: la Repubblica Popolare, già oggi, dispone non solo di un numero di cantieri navali per le costruzioni militari che eccede le capacità statunitensi in termini di dimensioni e numeri, ma può contare altresì su cantieri dediti alle costruzioni mercantili che, rapidamente, possono essere convertiti alla produzione bellica. Inoltre, a differenza delle Forze Navali statunitensi – comunque schierate per il 60% della loro consistenza nel Pacifico – quelle di Pechino operano concentrate strategicamente nel Pacifico occidentale, allo scopo di conseguire un’egemonia regionale.
Ciò, però, non impedisce alla Cina di dispiegare i propri mezzi ben oltre le “acque di casa”, impiegando la Belt One Road Initiative, quale strumento di surrettizia penetrazione strategica – con la costruzione di infrastrutture e basi logistiche oltremare – nelle regioni polari, nell’Oceano Indiano, nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico.
La Russia, invece, sta puntando sullo sviluppo di avanzati sistemi missilistici e armamenti nucleari, assegnando priorità ai sottomarini d’attacco e lanciamissili, alle fregate missilistiche, ai bombardieri e a robuste capacità di difesa antiaerea: anche in questo caso, l’obiettivo finale è quello di aumentare le possibilità di interdizione degli spazi aero-marittimi (aerial and sea denial), senza trascurare la lotta cyber ed ibrida.
Appare evidente poi come la Russia in primis, ma anche la Cina cerchino di interdire i movimenti e l’operatività delle forze aeronavali statunitensi con tutti i mezzi a loro disposizione, anche costruendo rapidamente postazioni difensive nei territori che dovessero acquisire. Si sono già viste anticipazioni di questo tipo in Siria, in Ucraina o nelle isole del Mar Cinese Meridionale, dove Mosca e Pechino hanno rafforzato le difese di quelle postazioni strategiche e dove hanno messo in funzione credibili strumenti di interdizione; l’idea è di rendere estremamente costosa per l’eventuale avversario (gli Stati Uniti) la riconquista di quelle aree.
Le altre minacce che il Naval Service deve prepararsi ad affrontare sono quelle che possono essere arrecate dalle organizzazioni terroristiche o criminali, responsabili di utilizzare il mare per destabilizzare gli Stati o per compiervi illeciti di varia natura – ma soprattutto interessati a depredarne le sue risorse (alimentari, energetiche e minerarie) – senza dimenticare che il climate change pone altre sfide “sistemiche” che, ove non gestite per tempo e con intelligenza, potrebbero addirittura mutare il volto del pianeta e la sua geografia marittima.
Quale impiego per il Naval Service?
Di fronte ad una gamma di minacce tanto articolate e ad avversari così “opportunisti”, la nuova strategia marittima americana ripensa ai concetti di deterrenza e presenza avanzata, declinandoli in un’accezione più “multilaterale” – cioè chiamando a coorte gli alleati europei e asiatici, a seconda del teatro operativo – ed insistendo sull’importanza di mantenere la superiorità tecnologica, allo scopo di disporre di forze combattenti sufficientemente credibili, in grado di esercitare deterrenza contro qualsiasi iniziativa del nemico, di reagire ad eventuali aggressioni e, ancor più importante, di prevenire “colpi di mano” – di fatto, l’occupazione di posizioni strategiche da parte di Cina e Russia – che possano alterare la bilancia strategico-militare.
In concreto, ciò implica una nuova enfasi sul sea control, peraltro un’attenzione che la strategia marittima americana aveva già manifestato in precedenti documenti del 2015 (A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower) e del 2017 (Surface Force Strategy. Return to Sea Control).
Il sea control viene però declinato in chiave “offensiva”, sin dal tempo di pace – peraltro, una distinzione quella tra pace e guerra, definitivamente scomparsa e sostituita dal concetto di competition continuum – ovvero come capacità di interdire l’uso del mare all’avversario e come soluzione imprescindibile per proteggere i collegamenti con gli alleati; in caso di conflitto aperto, il sea control diventa ancora più importante per garantire il sostegno agli alleati e per disporre di quella libertà di manovra che consente agli Stati Uniti di dispiegare tutta la propria potenza militare.
Elementi fondamentali ed imprescindibili per tutto questo sono forze navali moderne, agili, flessibili e altamente proiettabili, basate su nuove tipologie di piattaforme, nuove tecnologie ma anche un nuovo modo di pensare e una capacità di azione multi-dominio e su ampia scala, declinate nel “mantra” delle operazioni navali distribuite.
Proprio qui si trova il secondo pilastro di questa strategia: l’integrazione ancora più stretta di tutte le componenti del Naval Service, chiamate a sincronizzare le rispettive e peculiari capacità, potenzialità, ruolo, investimenti ed autorità, così da moltiplicare la tradizionale influenza del potere marittimo e generare una forza ancora più letale. Cosa significhi tutto questo è presto detto: in una logica di operazioni all domains, il Naval Service dovrà essere ancora più efficiente in tutte le tipologie di operazioni che si svolgono in “ambiente marittimo”: ciò dovrà avvenire in verticale, dai fondali dei mari fino alla dimensione spaziale, e in orizzontale, dall’alto mare fino all’entroterra; la multidimensionalità delle operazioni marittime farà sì che “teatro” delle operazioni multi domain siano naturalmente anche l’ambiente informatico, cibernetico e lo spettro elettromagnetico.
L’integrazione tra le diverse forze del Naval Service dovrà essere profonda e razionale: la Coast Guard sarà il riferimento per le operazioni di maritime security ma nell’ambito di un coordinamento ancora più forte con la Navy e con lo USMC.
Questi ultimi due services saranno ancora più integrati, allo scopo di espandere le capacità di sea control e sea denial. Detto in altri termini e coerentemente con quanto esposto nella nuova strategia dello USMC, il sea control e il sea denial non saranno più esercitati solo dalla Navy, ma anche dai Marines e questi ultimi non saranno più un duplicato delle forze di terra, ma una vera e propria forza d’assalto anfibio, in grado di attuare operazioni di guerra marittima, anfibia e terrestre. Basta leggere i documenti Distributed Maritime Operations, Littoral Operations in a Contested Environment ed Expeditionary Advanced Base Operations per rintracciare il lucido e coerente disegno che ha condotto gli strateghi americani all’elaborazione di questi principi.
Il Naval Service non è “l’arma assoluta” degli Stati Uniti, bensì una parte fondamentale di forze e capacità più articolate, da quelle militari nazionali e degli alleati o partner fino a quelle di altre agenzie; il Naval Service è parte di uno sforzo più ampio di tutta la repubblica americana, uno sforzo che include anche le capacità della marina mercantile, delle infrastrutture portuali e della cantieristica, come si confà ad una vera strategia marittima nazionale.
Nell’ottica del competition continuum, il Naval Service è chiamato ad operare in tre diverse, ma collegate, possibili situazioni: nella competizione giornaliera, in caso di crisi e in aperto conflitto. Nella prima di queste condizioni, le forze navali – in primis, la Coast Guard e la Navy – sono chiamate ad assolvere a missioni di maritime security e law enforcement, che non prevedono solo una protezione degli interessi marittimi globali e una reazione agli illeciti, ma anche una continua attività di scoperta e documentazione di tutte quelle violazioni alle leggi internazionali di cui – si sottolinea chiaramente – si macchiano continuamente Cina e Russia, nonché di protezione delle risorse artiche.
In tempo di crisi, il Naval Service deve essere in grado di esprimere una risposta flessibile e di gestire l’escalation, impiegando gli assetti migliori (Navy e Marines) per dimostrare una credibile prontezza al combattimento, deterrenza e capacità di difesa, ma anche per stemperare le tensioni, ricorrendo pure a forme di paragunboat diplomacy, una tipologia di azioni navali sempre più praticata anche dalla Coast Guard.
In caso di confronto aperto, il Naval Service – integrato in uno strumento militare che comprenda anche Army, Air Force e Space Force e, possibilmente, gli alleati – provvederà a negare al nemico di conseguire i propri obiettivi e, soprattutto, a distruggerne le forze.
È in questo ambito che troveranno la massima applicazione i concetti di Distributed Maritime Operations, Littoral Operations in a Contested Environment ed Expeditionary Advanced Base Operations. Chiave di volta sarà la capacità di generare e massimizzare il fuoco da una pluralità di sorgenti – sea based e land-based – impiegando piattaforme navali, sistemi d’arma, sensori integrati e connessi, in grado di fornire una completa picture dello spazio di battaglia e di rendere impossibile un’analoga azione al nemico. La distribuzione e l’elevata manovrabilità delle forze in tutti i domini permetteranno di generare incertezza nel nemico e di assicurare un effetto sorpresa.
Il sea control garantirà la massima libertà d’azione alle forze nazionali ed alleate, mentre il sea denial bloccherà le iniziative del nemico: essi verranno conseguiti ed esercitati attraverso il controllo delle linee di comunicazione ma, soprattutto, attraverso la distruzione delle forze avversarie o mediante il loro contenimento in determinate aree, impedendo loro di uscire dai porti e assicurandosi il dominio sui choke point. I velivoli della Navy, dei Marines e dell’Air Force dovranno conquistare ed esercitare una continua ed efficace air dominance (Qui, Navy e marines abbisognano dell’aiuto dell’Air Force, soprattutto in termini di aereo-rifornitori e Awacs) mentre i bombardieri elimineranno le sorgenti di fuoco nemiche.
I Marines contribuiranno al domain awareness e negheranno al nemico l’utilizzo di postazioni chiave, impadronendosene o neutralizzandole, mentre al contempo realizzeranno altrettante postazioni avanzate per il rifornimento di carburante ed armi a favore delle forze amiche. Assetti rapidamente dispiegabili della Coast Guard aumenteranno le capacità operative in teatro, mentre le capacità cyber e spaziali supporteranno tutte queste azioni. Contemporaneamente, sfruttando un sistema comune di comando e controllo, gli alleati ed i partner dovranno contribuire alle operazioni combat o a quelle di supporto o sostengo logistico.
All’interno dello spazio di battaglia si svolgeranno operazioni ad altissima intensità bellica: sottomarini d’attacco, aerei di quinta generazione, forze navali con grande capacità di proiezione di potenza a terra, mezzi unmanned e raid anfibi scateneranno devastanti attacchi contro il grosso delle forze nemiche; contemporaneamente, le forze attaccanti dovranno essere in grado di difendersi dai contrattacchi avversari mediante il ricorso ad un’efficace guerra elettromagnetica, alla manovra e a robusti sistemi difensivi.
I Marines saranno indispensabili per la frantumazione delle “bolle” difensive dell’avversario e per contribuire a generare attacchi multipli e pluridirezionali, appoggiando l’azione di gruppi navali di superficie, strike aerei e quelli condotti da mezzi unmanned; l’impiego di sistemi a lungo raggio e di missili ipersonici fornirà capacità di attacco globale contro i bersagli a terra, ovunque essi siano.
Per fare in modo che tutto quanto è stato descritto diventi realtà, sarà necessario che il Naval Service operi come un insieme integrato di capacità, una caratteristica che potrà essere conseguita solo armonizzandone le componenti sin dalla definizione della strategia operativa, dal procurement dei mezzi e dall’addestramento degli uomini e delle donne che saranno chiamati a salvaguardare la libertà dei mari nei prossimi decenni.
L’attenzione che Advatage at Sea riserva alla collaborazione con gli alleati pone le Marine di questi ultimi nella drammatica condizione di dover scegliere se essere vere forze combat o, piuttosto, un surrogato delle stesse. Per partecipare ad operazioni militari di alta gamma, sarà necessario abbandonare una postura da “diversamente attivi” e assumerne una decisamente più aggressiva: insomma, la differenza tra “Marina da cocktail” e Marina da guerra.
Foto US DoD
*Docente a contratto di Geopolitica e di Strategia Marittima, Francesco Zampieri collabora con l’Università Ca’ Foscari, con l’Università La Sapienza e con l’Università di Milano-Bicocca; collabora altresì con il Centro Studi Marittimi (CeSMar)
. È autore del recente volume Elementi di Strategia Marittima (Roma 2020) dedicato ai temi della strategia e della guerra marittime, di Navalismo e pensiero marittimo nell’Europa di fine ‘800, di Marinai con le stellette. Storia sociale della Regia Marina nell’Italia liberale (1861-1914), di 1975 la Marina rinasce.
La Legge Navale del 1975. Oltre a queste opere monografiche, ha contribuito alla stesura di volumi collettanei italiani e stranieri sui temi della storia e della strategia navale ed è stato relatore al McMullen Naval History Symposium organizzato dalla US Naval Academy.
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