Sa’ar 6 e Reshef: l’evoluzione della flotta di superficie della Marina Israeliana
Israele ha storicamente privilegiato lo sviluppo di poderose capacità terrestre ed aere, scelta determinata dai contesti operativi nei quali ha dovuto combattere, fin dalla sua nascita nel 1948, per la propria sopravvivenza. Una condizione del tutto particolare, per molto tempo determinata anche dalle limitate capacità navali dei suoi avversari.
Dei 22 Capi di Stato Maggiore della Difesa Israeliani, ben 21 sono provenuti dalle fila dell’Esercito e uno dall’Aeronautica. Negli ultimi anni il quadro complessivo della situazione strategica è mutato sensibilmente costringendo Israele ad attribuire una crescente attenzione al potenziamento della componente navale soprattutto sulla base della crescita della minaccia rappresentata dall’Iran anche rispetto al suo programma nucleare e della necessità di mettere in sicurezza le risorse energetiche del Paese, aspetto che potrebbe aumentare il rischio di confronto con altre nazioni del Mediterraneo Orientale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la risposta offerta dalla Marina di Tel Aviv è rappresentata dai propri sottomarini. A oggi sono 6 i battelli in servizio; 3 dei quali molto recenti e dotati di sistemi AIP (Air Indipendent Propulsion) e prossimi a essere integrati da altri 3 sottomarini, ordinati per sostituirne un egual numero entrati in servizio ormai oltre 20 anni fa.
Benchè Israele non lo abbia mai confermato, è opinione diffusa che questi sottomarini costituiscano uno dei principali strumenti a disposizione dello Stato Ebraico ai fini di una “second strike capability” in caso di attacco nucleare di Teheran.
In pratica, i Dolphin dovrebbero essere in grado di lanciare SLCM (Submarine Launched Cruise Missile) dotati di testata nucleare.
Il secondo, ma più importante ai fini dell’evoluzione della flotta di superficie, fattore che ha innescato una significativa trasformazione della Marina Israeliana è costituito dalla nuova missione che le è stata assegnata a seguito della scoperta di importanti giacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale.
Tali giacimenti hanno infatti cambiato profondamente l’”equazione energetica” per Tel Aviv, garantendole un’ampia indipendenza in questo campo e aprendo anche notevoli opportunità sul fronte dell’export. Era quindi inevitabile che fin da subito in Israele ci si dovesse porre il problema di come fornire a tali risorse un’adeguata cornice di sicurezza; soprattutto in considerazione del fatto che oltre ai giacimenti in quanto tali (situati non nelle acque territoriali ma comunque pur sempre nella Zona Economica Esclusiva di Israele stesso), diverse altre infrastrutture collegate hanno bisogno di protezione. Un compito strategico che dunque non poteva non essere assegnato alle Forze di Difesa Israeliane e, più in particolare, al loro “braccio navale”.
Alla fine però, accanto a questi due “driver” principali, a favorire una nuova fase di sviluppo per la Marina è intervenuta anche la crescente instabilità nel Mediterraneo Orientale originata dal concatenarsi di una serie di elementi.
Come la costante tensione con la Striscia di Gaza governata da Hamas che ha finito con il coinvolgere nelle varie operazioni anche le forze navali, la necessità di garantire un maggiore controllo delle acque anche in funzione di contrasto al fenomeno del traffico di armi (a favore della stessa Hamas ma anche, in parte, di Hezbollah) e infine, l’esigenza di rispondere alla crisi Siriana con annessa penetrazione Iraniana nel Paese.
Un “cocktail” velenoso, reso ancora più pericoloso da un contesto generale caratterizzato da un evidente rafforzamento delle capacità navali nella regione. Tutti questi elementi sono quindi alla base del potenziamento e rinnovamento della linea di corvette/motomissilistiche della Marina Israeliana con i programmi Sa’ar 6 e, “Reshef”.
La genesi del programma Sa’ar 6
La storia del programma che ha portato alla costruzione di queste corvette per la Marina Israeliana muove i suoi primi passi nel 2002, quando a Tel Aviv si cominciò a ragionare su come sostituire le unità classe Sa’ar 4 o Reshef, che all’epoca erano già state quasi tutte ritirate dal servizio.
Questa fase embrionale di pianificazione fu però quasi subito interrotta e spostata in avanti nel tempo; a pesare erano i dissidi sulla definizione delle caratteristiche a fronte della volontà di realizzare comunque piattaforme più grandi/capaci delle Sa’ar 4 e, di conseguenza, degli elevati costi associati.
Nell’aprile 2006 la questione riemerse, quasi a sorpresa quando dagli Stati Uniti giunse la notizia dell’assegnazione di un contratto a Lockheed Martin per uno studio di fattibilità, volto a comprendere come potrebbero essere integrati sulle Littoral Combat Ship della classe Freedom diversi sistemi richiesti espressamente da Israele.
Nel novembre 2003 l’assegnazione di un ulteriore contratto alla stessa azienda statunitense per una piattaforma definita LCS-I (Israel) evidenziò uno studio finalizzato a comprendere fattibilità e costi legati all’integrazione di sistemi/apparati di origine americana e israeliana.
Più o meno contemporaneamente, Tel Aviv approvò il piano pluriennale di investimenti per le proprie Forze Armate, all’interno del quale ancora una volta viene inserito l’acquisto di 2 nuove unità navali senza che però porre tale programma tra le priorità.
Nel 2008 Israele sottopose una Request for Proposal (RFP) agli USA, affinché questi ultimi elaborassero una proposta completa per le LCS-I e nel giro di pochi mesi la Defense Security Cooperation Agency DSCA) annunciò la possibile fornitura di un totale di 4 navi e di numerosi servizi accessori.
Le piattaforme proposte sarebbero state piuttosto differenti da quelle “originali” (costruite come noto nei cantieri USA di Fincantieri); nel dettaglio, erano previsti i lanciatori verticali (VLS) Mk.41 per missili SM-2 Standard e/o RIM-162 Evolved Sea Sparrow Missile (ESSM), missili antinave Harpoon, sistemi di difesa di punto CIWS (Close-In Weapon System) Phalanx, 2 lanciasiluri tripli Mk-32, sistemi di comunicazione/scambio dati, il sistema COMBATSS-21, il radar AN/SPY-1F(V) e altro ancora.
Il tutto integrato comunque da sistemi Israeliani; altri VLS per i missili Barak, sistemi di guerra elettronica e di comunicazione, contromisure, eccetera.
Fregate dunque con caratteristiche/capacità di assoluto rilievo per una Marina come quella Israeliana con un costo dell’intero pacchetto proposto già in quel momento stimato in oltre 1,9 miliardi di dollari.
Decisamente troppo per le disponibilità finanziarie di Tel Aviv, pur considerando la possibilità di attingere ai “generosi” aiuti militari di Washington.
Seguì dunque uno stallo che perdurò fino all’estate 2009, quando emerse con chiarezza l’intenzione di abbandonare il progetto, dato che ormai i costi avevano raggiunto gli oltre 600 milioni di dollari per unità.
L’annuncio della scoperta dei grandi giacimenti di gas nei Mediterraneo alimentò il dibattito sulle nuove esigenze di sicurezza marittima con l’emergere di diverse ipotesi. Si parlò di una versione modificata e allargata delle corvette Sa’ar 5 ma l’ipotesi più interessante riguardò un primo approccio con Thyssen Krupp Marine System (TKMS), incentrato sulla possibile scelta di corvette del tipo MEKO A-100, adattate alle esigenze Israeliane, o, in alternativa, l’allora nascente progetto CSL (Combat Ship Littoral).
Ciò nonostante non venne assunta nessuna decisione fimo al 2014 quando l’allora Ministro della Difesa Ehud Barak decise di avviare una competizione internazionale destinata alla fornitura di 4 nuove unità, con immediate manifestazioni di interesse da diversi Paesi.
La gara venne però cancellata pochi mesi dopo dal Primo Ministro Benyamin Netanyahu con il ritorno trattativa diretta che privilegiava il rapporto con TKMS anche in virtù dei rapporti già consolidati fra il gruppo cantieristico tedesco e la Marina Israeliana nel campo dei sottomarini.
La trattativa finanziaria sembrò giungere a soluzione nell’ottobre del 2014 ma solo l’11 maggio 2015 si giunse alla firma del contratto tra il ministero della Difesa e TKMS per la costruzione di 4 corvette.
Aspetti industriali del programma Sa’ar 6
Il costo complessivo di questo programma è a oggi, ancora impossibile da quantificare perché da una parte i costi del contratto siglato con TKMS sono di 430 milioni di euro, 115 dei quali sostenuti dalla Germania stessa. Occorre però considerare che tale somma comprende solo i costi delle piattaforme in quanto tali; queste ultime infatti sono consegnate dai cantieri Tedeschi praticamente “nude” tanto che, una volta arrivate in Israele, sono poi oggetto dell’installazione di tutti sistemi (sensori, armamenti, ecc.) per oltre il 90% di costruzione israeliana.
Per questa parte di lavori non è stato reso noto il costo anche se alcune stime riferiscono che la spesa complessiva per l’intero programma sia intorno ai 2 miliardi di dollari totali se non superiore.
E’ peraltro da osservare che ben presto la stessa TKMS ha provveduto a coinvolgere un altro gruppo cantieristico tedesco e cioè German Naval Yards Kiel (GNYK) di Kiel dove sono state costruite tutte le unità.
Per quanto riguarda le tempistiche del programma stesso, le notizie sono scarse e frammentarie. Le uniche informazioni sufficientemente precise riguardano l’unità capoclasse, la INS (Israeli Navy Ship) Magen.
Per quanto noto, il taglio della prima lamiera si è avuto nel febbraio del 2018 e in appena 15 mesi l’unità è stata poi costruita per essere varata nel maggio del 2019; nel marzo del 2020 sono iniziate le prove in mare e, infine, l’unità in questione è stata trasferita nel cantiere Israeli Shipyards ad Haifa.
Ufficialmente si parla di raggiungimento della capacità operativa nell’arco di un anno e mezzo circa, dunque nei primi mesi del 2022. Per quanto riguarda le altre unità della classe e cioè INS Oz, INS, Atzmaut e INS Nitzachon, tutte sono state consegnate nel corso del 2021, la prima a maggio e le altre a luglio.
A grandi linee, si può ragionevolmente pensare al 2024 per il completamento del programma, con tutte e 4 le corvette pienamente operative mentre un contratto decennale assegna agli Israel Shipyards il supporto decennale delle Sa’ar 6 che include la commessa per un bacino galleggiante che sarà utilizzato proprio per agevolare le attività di manutenzione di tutte le unità in dotazione; in particolare, proprio quelle di maggiori dimensioni e cioè, oltre alle Sa’ar 6, anche i sottomarini della classe Dolphin.
Le corvette Sa’ar6 sono state disegnate per una vita utile di 30 anni, assicurando al contempo oltre 2.000 ore di moto l’anno.
La piattaforma
Il compito prioritario di queste 4 corvette è rappresentato dall’esigenza di assicurare un’adeguata protezione alle infrastrutture off-shore collegate ai giacimenti di gas nel Mediterraneo, definite nel 2018 “obiettivi legittimi” dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nei cui arsenali vi sono razzi e missili che potrebbero venire impiegati contro bersagli in mare.
In termini di caratteristiche generali le corvette sono derivate dalle unità classe K130 costruite per la Deutsche Marine, a loro volta inspirate al modello MEKO A-100 di TKMS.
Una derivazione che però, almeno a livello “estetico”, diventa perfino difficile da percepire; questo perché è soprattutto il blocco delle sovrastrutture a risultare profondamente cambiato. A partire dalla perdita della peculiare configurazione a X adottata su tutte le unità di TKMS, idonea a diminuire la segnatura radar. Questo non vuol dire che anche sulle Sa’ar 6 non si sia prestata attenzione al tema della riduzione delle emissioni, elettromagnetiche e termiche, ma solo che sono state adottate altre soluzioni.
Da un punto di vista dimensionale, le Sa’ar 6 presentano una lunghezza di 90 metri, una larghezza di poco meno di 13,3 e un’immersione di 3,4. Il dislocamento a pieno carico è stimato in 1.900/2.000 tonnellate.
Una certa (e anche sensibile) differenza tra le diverse fonti di informazione si registra sul fronte dell’apparato propulsivo: inizialmente era stato infatti ipotizzato che esso ricalcasse fedelmente quello adottato sulle K130, cioè configurazione CODAD (Combined Diesel and Diesel) a sua volta incentrata su 2 diesel MTU 20V 1163 TB93 da 7.400 Kw ciascuno.
Più recentemente invece sono emerse indicazioni su una scelta diversa: a fronte del mantenimento della configurazione CODAD, i motori di propulsione diventerebbero 4 del tipo 16V 4000 M93L da 3.440 Kw ciascuno sempre della MTU. Questi sarebbero disposti in coppia su ciascuno degli assi e collegati a eliche a passo variabile.
Frammentarie e discordanti anche le informazioni sul quadro delle prestazioni: la velocità massima dovrebbe essere di 26 nodi mentre l’autonomia è indicata in circa 4.000 miglia alla velocità di crociera di 15 nodi.
Discorso analogo sulla consistenza dell’equipaggio: dapprima genericamente indicato in 70 unità ma che sulla base di nuove informazioni dovrebbe essere più precisamente composto da 80 persone, 70 delle quali come equipaggio vero e proprio e i restanti 10 come reparto di volo imbarcato.
Sebbene poi tale aspetto necessiti di ulteriori conferme, dovrebbero essere comunque disponibili un’altra ventina di “posti letto” per l’imbarco di personale aggiuntivo come forze speciali o altri assetti.
Nell’ambito poi della descrizione tecnica dei sistemi installati a bordo, è da sottolineare che anche questa sconta una certa mancanza di informazioni. Tanto per fare un esempio, non è dato sapere che Combat Management System (CMS) sarà installato; l’ipotesi più probabile è che si tratti del ENTCS prodotto dalla Elbit.
Il sensore principale delle Sa’ar 6 è il radar EL/M-2248 MF-STAR Active Electronically Scanned Array (AESA), operante in banda S prodotto da IAI Elta. Per descrivere questo sensore, di fatto sarebbe sufficiente spiegare cosa rappresenti l’acronimo MF-STAR: Multi-Function Surveillance, Track And Guidance Radar.
Dotato di 4 facce fisse in grado di garantire una copertura di 360°, questo radar è capace di scoprire e tracciare centinaia di bersagli aerei e di superficie, “illuminare” i primi a favore di missili antiaerei destinati al loro ingaggio, oltre a fornire supporto al fuoco di artiglieria.
Sulle Sa’ar 6, l’MF-Star è installato nella sua versione più piccola (con antenne cioè di dimensione ridotte), che ha il relativo svantaggio di avere una capacità di scoperta di “soli” 250 chilometri.
Fermo restando che le caratteristiche fondamentali (comprese la resistenza alle ECM, la bassa probabilità di intercettazione dei segnali emessi e l’adattabilità agli scenari “littoral”) lo rendono comunque uno dei migliori e più avanzati apparati della sua categoria.
Esaurito questo passaggio, tutto il resto si fa più “confuso”. Per esempio, si ipotizza la presenza di 2 radar di navigazione e per le operazioni con gli elicotteri, quasi sicuramente di origine commerciale. Sarà inoltre presente un apparato IRST (InfraRed Search and Track) a lungo raggio e 3 sensori elettro-ottici. Il tutto però (almeno fino a oggi) di tipo sconosciuto.
Analoga incertezza si registra in fatto di sistemi di difesa “soft kill”, intesi come contromisure, guerra elettronica, eccetera.
Anzi, per essere più precisi, in fatto di contromisure nei confronti dei missili antinave in realtà si dà per certa la presenza del Deseaver Mk-4 Naval Decoy Control & Launching System (DLCS) della Elbit incentrato su 3 (forse 4) lanciarazzi in grado di lanciare diversi di inganni (chaff e decoy RF e IR), più un sistema di controllo del lancio.
La fornitura della suite dedicata alla “Electronic Warfare” (a sua volta declinata in ECM e ESM, Electronic Counter e Support Measures) dovrebbe essere stata assegnata ancora alla Elbit anche se non sono state fornite informazione sul sistema scelto.
Si ipotizza l’installazione della suite integrata Aqua Marine. Peraltro facilmente integrabile con l’apparato COMINT/RF (Communication Intelligence/Direction Finder) NATACS 2000 ancora della Elbit.
Per la suite di sistemi di comunicazione (interni ed esterni anche SATCOM) e scambio dei dati tattici è stato invece scelto il sistema SeaCom di Rafael.
Come per ogni nave moderna, anche le Sa’ar 6 dispongono di un Integrated Platform Management System (IPMS) per il controllo della piattaforma (nella fattispecie, della L3 MAPPS) e di un Integrated Bridge per la condotta dell’unità stessa. Dato saliente più volte sottolineato da fonti Israeliane, la grande attenzione dedicata a tutti gli aspetti legati alla cyber security.
L’armamento
Complessivamente parlando, il quadro dei sistemi d’arma imbarcati sulle Sa’ar 6 è ormai abbastanza preciso. Sul fronte delle artiglierie è infatti certa la presenza di un pezzo da 76/62 mm SuperRapido di Leonardo, che sarà quindi utilizzato sia per scopi difensivi ma anche offensivi, considerato che la stessa Marina Israeliana utilizza spesso i propri 76 mm nei bombardamenti contro obbiettivi terrestri.
Oltre al SuperRapido, sulle unità della classe Magen saranno installate 2 RWS (Remote Weapon Station) Typhoon della Rafael ciascuna delle quali equipaggiata con un pezzo da 25 mm e destinate a fornire una difesa ravvicinata contro minacce quali imbarcazioni veloci ma anche USV e UAV (Unmanned Surface e Aerial Vehicle). Qualche esitazione invece si registra nella dotazione missilistica di queste unità.
L’unico elemento certo è la presenza di 4 moduli con 10 celle di lancio verticali (per un totale dunque di 40 VLS) del sistema C-Dome, versione navalizzata del noto sistema Iron-Dome destinata al contrasto di razzi e proiettili di artiglieria/mortaio (ma anche missili e UAV), facente sempre e comunque ricorso al missile intercettore Tamir.
Quale ulteriore elemento per la difesa delle Sa’ar 6, il missile Barak 8/MX, rispetto al quale si registra una diversità di indicazioni. Secondo alcune fonti sarebbero infatti 4 i moduli di lanciatori verticali a 8 celle ciascuno installati per un totale di 32 VLS, con altrettanti missili. Secondo altre (più probabili) il numero sarebbe invece limitato a 16, sia pure con una possibile predisposizione al raddoppio.
Frutto della collaborazione tra Israele e India, questo missile a medio-lungo raggio è in grado di offrire una difesa efficace contro un’ampia gamma di minacce provenienti dall’aria (velivoli, missili antinave, UAV….).
Ormai chiara appare anche la “fotografia” legata ai missili antinave che saranno installati su queste corvette: mentre inizialmente tutte le fonti davano infatti per certa la presenza di 4 lanciatori quadrupli per gli Harpoon, nel corso del tempo tale ipotesi ha invece perso consistenza.
Il tutto a favore della soluzione nazionale rappresentata del nuovo missile Gabriel 5 della IAI destinato a diventare la dotazione standard della Israeli Navy.
Ultima iterazione di una fortunata serie di ordigni antinave, il Gabriel 5 (al netto delle non molte informazioni disponibili) di fatto si presenta come il naturale sostituto dell’Harpoon, impiegabile dunque principalmente per il contrasto di bersagli navali ma anche con capacità “land attack”.
In una fase successiva si è poi appurato che i lanciatori quadrupli saranno due.
Dubbi poi sulla presenza di quelli che sembrano essere 2 lanciatori che potrebbero essere o per “loitering munitions” (settore nel quale Israele è all’avanguardia) o per missili del tipo MLS-NLOS, ciascuno dei quali dotati di 8 Spike NLOS.
Il quadro dei sistemi d’arma installati si conclude con i 2 impianti trinati di tubi lanciasiluri che impiegano i Mk. 54 Lightweight Torpedo, in funzione di contrasto nei confronti di sottomarini.
Le Sa’ar 6 dispongono di un hangar e di un ponte di volo dimensionati per accogliere un elicottero medio, unico assetto disponibile per l’eventuale rilevamento di sottomarini. Per quanto noto fino a oggi infatti, queste corvette non disporranno di alcun sonar, proseguendo dunque nella singolare (e discutibile) “tradizione” della Marina Israeliana di ben poca attenzione al settore dell’ASW.
A ogni modo, sulle Magen saranno impiegati gli SH-60F ex-US Navy; acquistati da Israele al fine di sostituire anche gli AS565 Panther oggi in servizio. A conferma poi di una certa flessibilità operativa si dà per scontato che il ponte di volo stesso sarà omologato per accogliere altri elicotteri, in particolare gli UH-60 e perfino gli AH64 Apache dell’Aeronautica Israeliana.
Le future corvette classe Reshef
Ora, se già il quadro complessivo delle caratteristiche/capacità delle Sa’ar 6 si presenta lacunoso, per quanto riguarda le future unità a oggi note come “(new) Reshef” questa caratteristica risulta addirittura amplificata, peraltro in maniera comprensibile, dato che si sta parlando di un progetto che sta ancora muovendo i primi passi.
È infatti nel novembre del 2019 che arriva la notizia della firma di un contratto da parte del Ministero della Difesa Israeliano sempre alla Israeli Shipyards per la progettazione di una nuova classe di corvette che nell’agosto del 2021 raggiunge un nuovo accordo per l’avvio della “detailed design phase”; di fatto, l’ultimo passo prima dell’avvio della costruzione.
Significativa l’enfasi posta in occasione di questo passaggio sulle missioni che saranno assegnate a queste future unità: la protezione della ZEE Israeliana e, ancora una volta, delle infrastrutture legate all’estrazione/distribuzione del gas nelle acque territoriali di Tel Aviv.
Ovviamente poi, l’obiettivo di questo programma è quello di arrivare alla sostituzione delle unità classe Sa’ar 4,5 o classe Hetz, simili ma non troppo, come vedremo a breve.
Perché per quanto le notizie siano scarse, qualche elemento sembra già emergere.
Queste nuove piattaforme sono infatti basate sulle S-72 già “in catalogo” (e che tra l’altro è oggetto di interesse da parte della Marina Greca) ma tutto lascia intendere che saranno apportate modifiche estese.
Il primo dato che si può dare per acquisito è che rispetto al progetto originale delle S-72 si registra un aumento delle dimensioni rispetto ai 72 metri di lunghezza (per 10,2 di larghezza) e dislocamento di 800 tonnellate. Queste nuove unità dovrebbero infatti raggiungere gli 80 metri di lunghezza circa e un dislocamento intorno alle 1.000 tonnellate mentre la larghezza dovrebbe essere di 11 metri e il pescaggio di 3.
E qui è da evidenziare la netta crescita rispetto alle Sa’ar 4.5 con i loro 62 metri di lunghezza circa e le neanche 500 tonnellate di dislocamento.
Sempre con riferimento alle caratteristiche della piattaforma, a oggi non è dato sapere se sarà mantenuto l’apparato propulsivo previsto sulle S-72, composto da 2 diesel MTU 16V 1163 M94 della potenza di 5.920 Kw ciascuno e da motori elettrici utilizzati per le andature di crociera.
Per far fronte al maggior dislocamento e a un quadro prestazionale più performante, una possibile alternativa potrebbe essere rappresentata da 4 16V 4000 M93L da 3.440 Kw ciascuno.
Non è chiaro se in questa configurazione alternativa sarebbe mantenuto lo schema ibrido, anche se appare improbabile, dato che le esigenze di autonomia per la Marina Israeliana per questo tipo di piattaforme non dovrebbero essere particolarmente premianti.
Per la configurazione ibrida, che garantisce una maggiore efficienza complessiva, il dato dell’autonomia stessa viene indicato in circa 3.000 miglia a una andatura di crociera compresa fra i 12 e i 15 nodi): nel passaggio a quella basata su 4 motori diesel il valore dovrebbe scendere intorno alle 2.500 miglia. Sostanzialmente immutato dovrebbe rimanere poi il dato della velocità massima, indicata genericamente su valori superiori ai 30 nodi.
L’equipaggio si stima che possa essere composto da 50 uomini, con la disponibilità di spazi per poterne ospitare altri 20 (Forze Speciali, team di abbordaggio, o altro ancora) con un’autonomia operativa che può raggiungere i 21 giorni.
Una prima (e sommaria) analisi dei sistemi d’arma che saranno imbarcati finisce con il dipendere esclusivamente dalle CGI (Computer Generated Image) rilasciate da Israeli Shipyards benchè anche fra queste esistano delle discrepanze.
Al di là da differenze nella loro disposizione, proprio a livello di sistemi d’arma si può dare per acquisita la presenza di un cannone di medio calibro (presumibilmente, il “solito” 76/62 Super Rapido), 2 lanciatori quadrupli per missili antinave (i Gabriel V) e 2 cannoni di piccolo calibro in postazione a controllo remoto (cioè le Typhoon con armi da 25 mm).
Sempre dalle immagini, nella zona centro-poppiera si distinguono 2 blocchi di lanciatori verticali. Per ora, è confermata solo la presenza del sistema C-Dome ma non si può escludere l’imbarco dei Barak 8. Anche per queste unità si intuisce la presenza di 2 ulteriori lanciatori; ancora una volta, rimane però il dubbio sul tipo/utilizzo (“loitering munitions” oppure Spike NLOS).
Un altro aspetto interessante emerge dalla configurazione della zona di poppa: nella versione di partenza S-72 essa è una piattaforma di atterraggio per elicotteri mentre sulle “Reshef” è già stato anticipato che diventerà una zona riconfigurabile.
Di fatto, dovrebbero trovarvi posto equipaggiamenti diversi: da imbarcazioni veloci per le Forze Speciali a UAV/USV/UUV da impiegare per diverse missioni, fino a (ipoteticamente) una sorta di modulo ASW come quello già disponibile per le Sa’ar 4.5, incentrato indicativamente su un Variable Depth Sonar (VDS) e tubi lanciasiluri.
Una scelta che avrebbe un forte senso operativo, dato che la Marina Israeliana praticamente non dispone di particolari capacità in questo campo: una lacuna grave, soprattutto in un’epoca di proliferazione di moderne piattaforme subacquee in tutto il Mediterraneo. A completamento, la solita ricca dotazione di contromisure secondo la consolidata tradizione Israeliana, che fa molto affidamento su sistemi “hard” e “soft-kill”.
A livello di sensori, si ipotizza la presenza del radar della IAI-Elta ELM-2258 Advanced Lightweight Phased Array (ALPHA), che ovviamente sarà completato da altri sensori.
Per quanto riguarda i numeri, si ipotizza un ordine per un primo “batch” di 3÷5 unità; mentre l’obbiettivo finale è rappresentato da 8 navi, per sostituire con un rapporto 1:1 le altrettante Sa’ar 4.5.
A quel punto, il processo di ammodernamento e rinnovamento della flotta di superficie della Marina Israeliana del prossimo futuro si potrebbe dire pressoché completato tenendo conto per il futuro della probabile esigenza di sostituire le 3 corvette della classe Sa’ar 5.
Foto: Israel News, Twitter, Naval News, Israel Shipyards, Marina Israeliana e Times of Israel
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.