La crisi ucraina,l’Europa e la Nato

La Russia storica è stata amputata, come effetto di una Guerra Fredda persa non sul campo di battaglia e neanche su quello delle ideologie, di metà della propria popolazione e un terzo del proprio territorio. Ha subito la più grave mutilazione geopolitica di qualsiasi altra potenza perdente del XX Secolo, senza che il suo spirito e il suo apparato marziale fosse messo veramente alla prova, per non parlare di essere sconfitto sul campo. E’ il soft power occidentale, soprattutto statunitense, che l’ha messa in ginocchio, dopo una corsa agli armamenti con il rivale americano che l’aveva sfiancata. Ma per i fieri guerrieri che in duecento anni hanno permesso all’Europa di espandersi fino ai bordi della Cina,  si tratta di un esito inammissibile, difficilmente metabolizzabile, come un cosacco messo in fuga da una женщина inviperita e con una scopa in mano.

Se non vogliamo che fra pochi anni salti fuori da quelle longitudini un Hitlersky redivivo sarà bene trattare la questione ucraina con la massima lungimiranza geopolitica, oltre che con il massimo buon senso, tenendo presente che l’Ucraina è stata la culla della nazione russa ed è parte della Rodina dal 1654. Ci sarebbe forse da chiedersi dove sono realmente, nella complessa questione ucraino-russa, i veri interessi dell’Occidente in generale e dell’Europa in particolare, e se la rigida posizione assunta in questi mesi dal vertice della UE – per non parlare di quello della Nato –  li soddisfi al meglio.

A costo di apparire sordi alle istanze libertarie dei poveri ucraini e di esprimersi una volta tanto a favore dei doveri e non dei diritti, non potrebbe essere il caso di stare al gioco russo e consentire a Putin di ricostituire lo storico impero dei suoi avi, o almeno una sua versione accettabile e ridimensionata rispetto alla ipertrofia sovietica, ma abbastanza consistente da rinforzare la barriera storica fra Europa e Asia?

Se l’Europa vuole che vi sia un qualche diaframma fra lei e la Cina, tre volte più popolosa e molto più vitale, non pare appropriato fare di tutto per indebolire chi si offre volontario per tale ruolo. Soprattutto se lo stesso rischia una devastante crisi identitaria in caso di rifiuto e ha in tasca rivoltelle atomiche con le quali suicidarsi o suicidare. Anche perché i torti e le ragioni sono meno evidenti di quanto non appaia a un’analisi superficiale.

Il  valore aggiunto strategico di una Russa amica o nemica non si trova nella maggiore o minore demografia, sempre depressa comunque – e neanche negli idrocarburi, che si trovano anche altrove – ma nei famosi missili intercontinentali che riescono a vanificare qualsiasi scudo spaziale, circostanza recentemente sottolineata da Putin, non a caso. Missili che aggiungerebbero ai tanti mal di testa degli strateghi occidentali una potente sindrome nucleare d’altri tempi. Un altro valore aggiunto risiede nella citata funzione di barriera russa fra l’Occidente liberal-democratico – e un po’ abdicante in grinta e capacità di soffrire e combattere – e il resto del mondo, almeno a est e a sud est. Quello stesso resto del mondo che ritiene di avere un certo numero di conti da regolare con esso ed è sommamente impaziente a farlo.

Inoltre, gli interessi concreti delle grandi potenze nell’area non sono soltanto russi, tutt’altro. Tutti ne hanno, anche se non lo confessano apertamente come fanno i russi. La realtà è che probabilmente sia gli Stati Uniti che l’Europa (Germania e Polonia, soprattutto) hanno fatto nello scorso decennio diversi pensierini sull’Ucraina, come estrema ed appetitosa area di influenza ad est – da contrapporre magari a una Russia che si percepiva comunque troppo grossa e diversa per essere cooptata nella Nato o nella UE – nonché considerevole mercato aperto e fonte di derrate agricole.

Si trattava pur sempre del granaio degli zar e dei primi segretari del Partito, fra i quali uno dei più rimarchevoli, Nikita Kruscev, era per l’appunto ucraino.
La legittimità storica di una tale operazione non è peregrina, in quanto si fonda sul fatto che mentre l’Ucraina orientale è profondamente russa e ortodossa, quella occidentale è stata soggetta dal XVI secolo allo Stato polacco lituano prima e all’impero asburgico poi e si è permeata della influenza tedesco-ebraica di stampo mitteleuropeo come Praga, Cracovia o la stessa Vienna.

La legittimità geopolitica invece appare alquanto dubbia, se non si è disposti a portare l’iniziativa alle estreme conseguenze e rischiare una guerra civile di modello jugoslavo (nata su motivazioni analoghe) e una spaccatura dell’Ucraina sulle sue matrici storiche e religiose. Potrebbe scaturirne un sisma del quale il mondo non ha certo bisogno, al confronto del quale la vicenda balcanica, l’ultimo sussulto europeo, sembrerebbe un modellino in scala. E’ bene ricordare, nel caso qualcuno lo abbia dimenticato, che l’otto per cento della popolazione ucraina è musulmana e che il Caucaso si trova nei paraggi, poco a sud est.

Tutto quello che abbiamo detto non è oggi politicamente e mediaticamente corretto, in Europa e più in generale nel  mondo Atlantico. Le ragioni e gli argomenti sono così declamati e ripetuti  che non vale la pena ripeterli. E’ opportuno sottolineare che essi sono del tutto legittimi, sul piano formale, geopolitico e anche storico.

Consentire alla Russia di riprendersi manu militari – pardon “proteggere”- i territori persi dopo il cataclisma eltsiniano, e relative popolazioni russofone, significa riaprire il vaso di Pandora  di tutte le partition del secolo XX, dalla Prima Guerra Mondiale in poi. Ipotesi impraticabile perché devastante. La Crimea è stata un’eccezione. Conferma una regola che deve essere ribadita per tutti, repubbliche baltiche,  ‘Stan centroasiatici e, appunto, Ucraina compresi.  Il Cremlino deve farsene una ragione.
Tuttavia qui non si parla di ragione ma di “pancia”, di visceri, di emotività spinta all’eccesso da un eccesso di adrenalina collettiva, che in Russia e anche in Ucraina si traducono, grazie alla democrazia forzatamente importata dall’Occidente (senza forse rendersi conto delle conseguenze), in consenso politico e quindi in “potere”. Spesso assoluto, date le consuetudini e le tradizioni locali. Sullo specifico, sono gli occidentali a doversene farsene una ragione. E’ il mood profondo della Rodina che impone a Putin e ai suoi il loro comportamento. Se non facessero quello che fanno sarebbero spazzati via da un’onda popolare di sdegno e sostituiti da un qualsiasi epigono slavo del citato Adolfo, un Lemonov, tanto per fare un nome.

E quindi, che fare? Tenere i nervi saldi, innanzitutto, e la barra bene al centro o comunque nel modo più acconcio per evitare secche e scogli affioranti, che abbondano (anzi ci sono solo quelli). Ognuno faccia la sua parte ma tenga la briglia corta alle proprie fazioni. Non sembra essere in circolazione – per ora – nessun leader carismatico/paranoico che tende a forzare gli eventi perché ha la sensazione che morirà presto e vuole

vedere la sua opera messianica conclusa prima di lasciare questa valle di lacrime. Lo stesso Putin è un capo del tutto normale, ancorchè molto dotato, decisionista e patriottico come non si vedeva da tempo (commuoversi fino alle lacrime ascoltando l’inno nazionale del proprio paese, come ha fatto recentemente in Mongolia,  non è cosa comune, oggi).

La soluzione ottimale per tutti coloro che ragionano con la testa sembra essere, come hanno messo in luce i più sagaci politologi in circolazione, da Kissinger a Nye a Romano,   quella di una “finlandizzazione” dell’Ucraina tutta, che conceda ai suoi abitanti i vantaggi economici di una contiguità porosa con l’Occidente e contemporaneamente plachi per quanto possibile le ansie pansalve e patriottiche della Grande Madre Russa (finchè le medesime saranno attive; tutte le ideologie prima o poi si attenuano), riducendone la paranoia intrinseca.

Da parte occidentale andrebbe riconosciuto una volta per tutte che la Nato, ovvero il mondo atlantico dominato dalla Famiglia dei Popoli di Lingua Inglese – e da quelle parti molto influenzato da tedeschi, polacchi e nordici-  si arresterà ai confini attuali dell’Ucraina, mentre con la UE ci potranno essere accordi specifici per includere popolazioni frontaliere ucraine nei protocolli intereuropei, come già accade. I russi dovrebbero contraccambiare con un impegno solenne a riconoscere come inviolabili le frontiere occidentali della Rodina post 1992, rinunciando al recupero corpo e beni dei russi irredenti, come peraltro è successo alla totalità degli imperi sconfitti nell’era moderna (e non solo a loro).

I protagonisti ufficiali di un negoziato che dovrebbe tendere agli obiettivi sottolineati dovrebbero essere essenzialmente tre: il Cremlino, la Nato (che potrebbe rappresentare i decisivi Stati Uniti d’America, in particolare quelli post obamiami che verranno fuori già dal previsto esito delle imminenti elezioni di mid term, probabilmente più muscolari di quelli degli ultimi sei anni) e l’Unione Europea.

Inizialmente sarebbero sulla scena essenzialmente i primi due, quando a dominare e a prevalere sarà (è) soprattutto il braccio di ferro militare (o paramilitare, à la russe, come usa ora); in seguito, dopo l’auspicabile solido armistizio strategico che dovrebbe seguire il cozzo delle armature – non necessariamente delle armi -, potrà entrare in gioco anche l’Unione Europea, con le sue ragioni e le sue ragionerie.

Non occorre sottolineare che ora la UE  non ha nessuna valenza sul piano di un serio sforzo unitario di difesa che non sia il solo procurement militare, e neanche tutto: sempre più i programmi di armamento europei sono bi/multilaterali, fra singole nazioni, senza passare per le istituzioni europee create ad hoc. Anche la scelta di figure incolori per la carica di Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza, dopo il promettente inizio della gestione Solana (troppo promettente, forse) dimostra quale sia il ruolo che per adesso  è stato conferito all’Europa strategica.
Tutto questo si riferisce  particolarmente al cruciale teatro operativo  europeo, dove, come dicono gli americani, gli uomini si distinguono bene dai ragazzi, e “quando il gioco si fa duro – e ora si è fatto certamente duro, speriamo non peggiori – i duri scendono in campo”. L’Europa militare può andare bene per Frontex Due, Artemis, l’antipirateria, il peacekeeping in Africa e Timor est (e la Mogherini, ci sia concesso), ma coi russi e il loro poderoso apparato strategico ci vuole un’altra credibilità, oggi rappresentata dalla sola Nato – soprattutto perché è il dispositivo militare statunitense a costituirne l’ossatura, il sistema nervoso e quello muscolare.

Foto: Reuters, Ministero Difesa ucraino, Cremlino, NATO,

Ufficiale di Marina in spirito ma in congedo, ha fatto il funzionario Nato e il dirigente presso aziende attive nel settore difesa. Scrive da quasi un quarantennio su argomenti navali, militari, strategici e geopolitici per pubblicazioni specializzate e non. Vive a Roma.

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