I russi avanzano nel Donbass, dall’Occidente altre armi a Kiev
(aggiornato alle ore 23,50)
Mentre continua l’avanzata russa nel Donbass, favorita anche dal ripiegamento delle unità ucraine in alcuni settori in cui rischiano di restare isolate, prosegue la mobilitazione dei paesi della NATO per rifornire di armi le forze di Kiev.
Secondo uno studio della testata statunitense Forbes, la Russia controlla il 20,7% del territorio dell’Ucraina, cioè circa 125 mila chilometri quadrati: una superficie tripla rispetto al territorio controllato da Russia e milizie di Donetsk e Luhansk (Crimea e parte del Donbass) al 23 febbraio.,
“La Russia sta deliberatamente rallentando il ritmo delle operazioni speciali in Ucraina per consentire l’evacuazione ed evitare vittime civili affinchè i residenti lascino gli insediamenti circondati vengono creati corridoi umanitari” ha affermato ieri il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu.
Dichiarazione definita “una menzogna” dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per il quale Mosca non ha trovato nulla di meglio da inventare dopo “tre mesi di ricerca di spiegazioni” sul motivo per cui “non sono riusciti a spezzare l’Ucraina in tre giorni”.
Nel pomeriggio di oggi Andrei Marochko, ufficiale della Milizia popolare della Repubblica di Donetsk. ha annunciato di aver completato l’accerchiamento di Severodonetsk chiudendo l’accesso alla città anche da Sud con la conquista del ponte sull’unica strada che collega la guarnigione ucraina con le retrovie.
Il capo dell’amministrazione militare ucraina di Lugansk Sergiy Gaidai ha smentito che l’esercito russo avrebbe isolato la regione dal resto dell’Ucraina e bloccato l’autostrada Lysychansk-Bakhmut, secondo quanto riporta Ukrinform. “La regione di Lugansk non e’ isolata. La strada Lysychansk-Bakhmut non e’ bloccata. E’ disponibile l’accesso a Lysychansk e Severodonetsk.”
L’ambasciatore dell’autoproclamata Repubblica popolare di Luhansk in Russia, Rodion Miroshnik, aveva affermato questa mattina che le forze separatiste filo-russe della regione, insieme all’esercito russo e ai combattenti dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, avevano sfondato le difese ucraine nella regione di Luhansk.
“La difesa Ucraina sta crollando. È in corso un assalto attivo a Zolote. Le truppe stanno avanzando verso Maloryazantsevo. Parte dell’autostrada strategica Lysichansk-Artemovsk e’ sotto il pieno controllo del fuoco delle forze alleate. Ciò ha portato alla quasi completa impossibilità di rifornire le truppe ucraine a Severodonetsk e Lysichansk”, ha scritto su Telegram Miroshnik ripreso dal britannico The Guardian.
Notizie da confermare cui si aggiunge quella diffusa dal portavoce delle milizie della repubblica popolare di Luhansk, Ivan Filiponenko, che ha annunciato la “liberazione” del villaggio di Toshkovka, nella regione di Luhansk, pubblicando sui social il video delle operazioni militari.
Nelle ultime ore il leader della Repubblica Popolare di Donetsk (DPR), Denis Pushilin, aveva affermato che le forze congiunte russe/DPR stanno combattendo per prendere il pieno controllo della città di Lyman e ne hanno già conquistata metà, secondo indiscrezioni non confermate catturandovi 500 militari ucraini.
Lyman si trova 15 chilometri a nord est di Sloviansk, a ovest di Severodonetsk dove oltre 2 mila militari ucraini rischiano l’accerchiamento.
“Nella regione di Luhansk le forze russe attaccano in tutte le direzioni Severodonetsk e Hirske. I russi hanno portato una quantità enorme di mezzi e tengono in stato di allerta gli elicotteri e armi pesanti. La strada tra Lysychansk e Bakhmut si trova sotto continui attacchi e vi operano sabotatori nemici” ha riferito su Telegram Serhii Haidai, il governatore ucraino di Luhansk, che stima in quest’area siano schierati 25 gruppi tattici di battaglione russi.
La caduta di Lyman a nord e di Bakhmut a sud, investita dai russi dalla vicina Popasna, stringerebbe ulteriormente la tenaglia che minaccia di chiudere in una sacca le truppe ucraine schierate più a est.
Più a sud, secondo fonti russe, i contractors del Gruppo Wagner avrebbero preso Svetlodarsk, caposaldo delle difese ucraine tra le regioni di Donetsk e Luhansk da cui le truppe di Kiev si erano ritirate.
A Kherson, regione a nord della Crimea conquistata nelle prime fasi del conflitto, i separatisti filorussi chiedono a Mosca di installare una base militare nella regione. Lo riportano le agenzie russe, precisando che una decisione in merito non è stata ancora presa da Mosca.
“Dovrebbe esserci una base militare della Federazione Russa nella regione di Kherson. La chiederemo, e l’intera popolazione è interessata”, ha detto il vicecapo dell’amministrazione creata dai russi, Kirill Stremousov. L’ultima parola, ha spiegato, “spetta al ministero della Difesa, che si coordinerà con noi”.
La dichiarazione sembra in realtà voler ribadire la volontà della nuova amministrazione della regione, dove da inizio maggio la moneta utilizzata è il rublo, a diventare parte integrante della Federazione Russa. Del resto la vicinanza di Kherson col fronte di Mikolayv rende oggi costante e massiccia la presenza militare di Mosca e anche in futuro è difficile ipotizzare che Mosca non intenda presidiare un’area che costituisce la “porta” della Crimea.
“La semplificazione della procedura per ottenere la cittadinanza russa per i residenti delle regioni di Zaporizhzhia e Kherson sancisce che i due territori non torneranno mai all’Ucraina”.
In tutte le aree occupate in modo stabile dalle forze russe e delle repubbliche di Donetsk (DPR) e Luhansk (LPR) diverse fonti documentano opere di bonifica degli ordigni esplosivi, sgombero macerie e ricostruzione.
Sulle spiagge di Mariupol il genio russo impiega anche i veicoli da sminamento robotizzati Uran-6 per far brillare le mine poste dalle truppe ucraine per contrastare un eventuale sbarco russo dal mare ( video). Il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, ha reso noto questa mattina che “nella città di Mariupol, liberata dai militanti ucraini, nella Repubblica popolare di Donetsk, sono stati completati lo sminamento e la smilitarizzazione del porto marittimo, che ha iniziato a funzionare regolarmente”.
Più a nord, nel settore di Kharkiv, dove i russi sono al contrattacco dopo l’avanzata ucraina della scorsa settimana, gli specialisti del genio pontieri hanno rimesso in funzione ul ponte ferroviario fatto esplodere precedentemente.
Medvedev boccia il piano di pace italiano
Il Donbass “ha finalmente deciso il suo destino” e “non tornerà mai all’Ucraina ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio di sicurezza di Mosca, Dmitry Medvedev, circa la proposta di pace italiana che propone l’autonomia del Donbass all’interno dello stato ucraino.
Medvedev valuta inoltre che la proposta della piena autonomia della Crimea all’interno dell’Ucraina sia un pretesto per una guerra a tutti gli effetti.
“Questa è assolutamente scortesia nei confronti della Russia, una minaccia alla sua integrità territoriale e un pretesto per iniziare una guerra a tutti gli effetti. Non c’è e non ci sarà mai una forza politica in Russia che accetterebbe anche di discutere il destino della Crimea. Sarebbe un tradimento nazionale”.
Da Kiev il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha dichiarato che “il ministro degli Esteri Luigi di Maio è un amico e quindi in linea di principio non ho niente contro qualcosa che viene proposto da un amico. Parlando politicamente voglio che capiate una cosa: noi diamo il benvenuto a ogni tipo di piano che non implichi la creazione di un’altra contact-line o che preveda concessioni ucraine sulla nostra sovranità. Siamo disposti a discutere di qualunque altra cosa”. Rispondendo a al Summit di Davos a una domanda sul piano di pace proposto dall’Italia, Kuleba ha aggiunto che “un piano che congeli la situazione attuale non verrà sostenuto dall’Ucraina”.
Del resto il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, intervenendo al World Economic Forum di Davos ha detto che “l’Ucraina deve vincere questa guerra. E l’aggressione di Putin deve essere un fallimento strategico. Faremo tutto il possibile per aiutare gli ucraini a prevalere e riprendere il futuro nelle loro mani”.
Al Forum però ha espresso un parere ben diverso Henry Kissinger, il 98enne ex segretario di Stato americano, per il quale l’Occidente non dovrebbe cercare di infliggere una sconfitta alla Russia e l’Ucraina dovrebbe rinunciare a qualche territorio per la pace. Secondo Kissinger il governo di Kiev deve “avviare negoziati prima che si creino rivolte e tensioni che non sarà facile superare”.
Kissinger ha ricordato come la Russia sia parte dell’Europa e che sarebbe un “errore fatale” dimenticare la posizione di forza che occupa nel Vecchio continente da secoli e che l’Occidente non deve perdere di vista il rapporto di lungo termine con Mosca, pena un’alleanza permanente e sempre più forte di quest’ultima con la Cina. “Spero che gli ucraini siano capaci di temperare l’eroismo che hanno mostrato con la saggezza”.
Più armi a Kiev
Quella in atto nella regione del Donbass è “la più grande offensiva sul suolo europeo dalla seconda guerra mondiale”, ha detto ieri il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. Kuleba ha esortato gli alleati dell’Ucraina ad accelerare la fornitura di armi e munizioni al paese, in particolare i sistemi di lancio di razzi multipli (MLRS), l’artiglieria a lungo raggio e i veicoli corazzati per il trasporto di personale (APC). “L’offensiva russa nel Donbas è una battaglia spietata”, ha detto Kuleba su Twitter, aggiungendo che è troppo presto per concludere che l’Ucraina ha già tutte le armi di cui ha bisogno.
Di questo obice trainato da 155 mm gli Stati Uniti hanno deciso di inviare altri 18 esemplari superando quindi i 100 esemplari consegnati, con convogli di autocarri civili con a bordo obici M777 avvistati al confine tra Polonia e Ucraina.
mentre il Canada ha offerto 20.000 munizioni compatibili con le armi Nato già consegnate a Kiev, inclusi gli M-777 Howitzer. Il ministro della Difesa Anita Anand ha sottolineato che le munizioni rientrano nel nuovo pacchetto di aiuti da 500 milioni di dollari approvato da Ottawa per Kiev.
Il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha ringraziato il 23 maggio i 20 paesi che hanno accettato di fornire ulteriori aiuti militari all’Ucraina, tra i quali Italia, Grecia, Norvegia, Polonia e Danimarca che includono mezzi corazzati, artiglieria e batterie missilistiche costiere di missili antinave Harpoon Block II ceduti dalle forze armate danesi e che verranno dislocati nella zona di Odessa per contrastare la Flotta russa del Mar Nero.
L’annuncio della consegna di tali armi potrebbe indicare che gli ucraini stanno esaurendo le scorte di missili antinave Neptun la cui produzione potrebbe essere stata sospesa dopo i bombardamenti russi degli stabilimenti dell’apparato industrial-militare ucraino.
La Nuova Zelanda dispiegherà 30 istruttori in aggiunta ai 66 già presenti nel Regno Unito per supportare l’addestramento delle forze armate ucraine in territorio britannico, come ha riferito il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern. “I soldati rimarranno di stanza nel Regno Unito fino alla fine di luglio – ha detto Ardern – e addestreranno i soldati ucraini all’impiego dei “Light Gun” L119, obici da 105 mm di cui un numero imprecisato è stato ceduto a Kiev.
Secondo fonti di stampa polacche Varsavia avrebbe consegnato all’Ucraina quasi l’intera riserva di pezzi di ricambio e armi per gli aerei da combattimento MiG-29, mentre il Portogallo fornirà 250 milioni di euro di aiuti finanziari all’Ucraina come ha reso noto il premier portoghese Antonio Costa.
Più lento l’afflusso dei mezzi corazzati tedeschi. Berlino fornirà dalla metà di luglio i primi 15 semoventi corazzati antiaerei Gepard dei 50 promessi all’Ucraina, dopo aver addestrato il personale ucraino e consegnato 60 mila munizioni per i cannoni KDA da 35 mm.
Rifornimenti complessi
Benchè Kiev non diffonda informazioni circa le perdite subite in quasi tre mesi di guerra, la reiterata e disperata richiesta agli alleati occidentali di equipaggiamenti di ogni tipo rivela che ormai gli interi arsenali ucraini sono stati distrutti o catturati dai russi in battaglia oppure colpiti nelle retrovie dai missili balistici e da crociera lanciati da rampe terrestri, aerei e navi russi.
Carri armati, pezzi d’artiglieria e mezzi blindati o cingolati sono facilmente rilevabili dalla ricognizione aerea e satellitare russa che colpisce ogni notte basi, depositi e infrastrutture militari in cui vengono concentrati gli aiuti militari occidentali il cui invio in prima linea è reso sempre più arduo dalla sistematica distruzione dei ponti e delle linee ferroviarie ucraine.
Il 21 maggio Mosca aveva reso noto di aver distrutto con missili Kalibr nella regione di Zhytomyr un “grande carico” di forniture “di Stati Uniti e Paesi europei” per Kiev dopo l’invasione russa del Paese.
Il 23 maggio i russi hanno annunciato di aver effettuato attacchi aerei su un deposito di armi nella regione orientale del Donbass, utilizzato per immagazzinare proiettili per gli obici M777 statunitensi di cui alcuni esemplari sono stati ripresi a bordo di rimorchi di autocarri civili mentre si dirigevano al confine tra Polonia e Ucraina.
Le vie di accesso dei rifornimenti militari sono concentrate attraverso i confini polacchi e slovacchi. L’aeroporto di Rzeszów–Jasionka e il porto di Danzica sono diventati l’hub più importante per le navi e i voli cargo effettuati dagli aerei da velivoli da trasporto militare statunitensi C-17, europei A-400M e C-130 e dai giganteschi Antonov 124 ucraini che fanno la spola con le nazioni che mettono a disposizione armi e mezzi.
L’aspetto più complesso nell’operazione tesa a rifornire gli arsenali di Kiev è rappresentato dall’attraversamento del confine ucraino di armamenti e mezzi di dimensioni tali da rendere difficile occultarli su treni ma anche su autocarri civili con rimorchio il cui carico viene coperto da teloni per celarne il contenuto.
Per trasferire i lanciamissili portatili in Ucraina sembra siano stati impiegati furgoni civili così come oggi sembra che per carri armati e cannoni si utilizzino camion e treni cercando poi di nasconderli in garage o depositi sotterranei anche presso strutture civili. I russi, che in Ucraina sembrano disporre di un efficiente servizio di intelligence, hanno più volte dichiarato di aver colpito nei raid missilistici notturni centri commerciali utilizzati dalle forze ucraine per ammassarvi armi, munizioni e mezzi forniti dagli alleati occidentali.
L’impiego di mezzi e infrastrutture civili li trasforma in obiettivi militari legittimi ma consente alla propaganda di Kiev di denunciare come crimini i bombardamenti del nemico su obiettivi civili.
Il successo nella sfida intorno alle forniture militari occidentali all’Ucraina dipende quindi da diverse variabili: la quantità di armi messe a disposizione, la velocità con cui vengono fornite, la rapidità con cui è possibile addestrare gli ucraini a impiegarle, la capacità di metterle al riparo dai raid russi e la possibilità di farle affluire al fronte del Donbass dove le truppe ucraine perdono ogni giorno terreno sotto l’incalzare dell’offensiva russa.
Verso un maggiore coinvolgimento anglo-americano?
Il generale Mark Milley, capo dello Stato maggiore congiunto delle Forze armate Usa, ha aggiunto che sono in corso discussioni in merito ai nuovi requisiti di addestramento delle truppe ucraine e all’eventuale schieramento di militari statunitensi in territorio ucraino.
Indiscrezioni circolate nei giorni scorsi sulla stampa Usa affermano che il dipartimento della Difesa Usa sta discutendo l’invio di militari delle forze speciali in Ucraina a protezione dell’ambasciata statunitense a Kiev.
Tuttavia lo stesso Milley (nella foto sotto) il 23 maggio aveva affermato che al momento non tale schieramento non era in programma e che un’eventuale decisione al riguardo spetterebbe unicamente al presidente Joe Biden. “Il dipartimento della Difesa – ha proseguito Milley – sta sviluppando linee d’azione rispetto all’Ucraina ma al segretario alla Difesa, Lloyd Austin, non è stata ancora presentata alcuna opzione per schierare le forze statunitensi nel Paese.
Il quotidiano Wall Street Journala aveva riferito il 22 maggio, che l’amministrazione USA sta valutando il ricorso alle forze speciali per garantire una maggiore sicurezza della sede diplomatica nella capitale dell’Ucraina.
Fonti anonime citate dal quotidiano precisarono che l’eventuale invio di militari statunitensi a Kiev avrebbe la sola funzione di garantire la sicurezza dell’ambasciata ma è davvero arduo credere che team di forze speciali possano venire impiegati per la protezione perimetrale o areale di un’ambasciata, compito solitamente affidato al Corpo dei Marines.
Non si può escludere che in eventuale incarico in ambasciata possa costituire una copertura per un ruolo più diretto nell’addestramento o nel supporto alle forze speciali di Kiev.
Da Londra invece è giunta la smentita del programma di inviare unità della Royal Navy nel Mar Nero per scortare i mercantili con a bordo il grano dal porto ucraino di Odessa, bloccato dalla flotta russa. Lo ha riferito un portavoce del governo britannico, citato dai media, dopo che il Times ha riportato che il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha affermato di aver parlato con la sua controparte britannica, Liz Truss, della creazione di un “corridoio di protezione” dal porto di Odessa grazie a una coalizione di volenterosi.
“Il deprecabile blocco di Odessa da parte di Putin impedisce che il cibo arrivi alle persone che ne hanno bisogno. Continueremo a lavorare intensamente con i partner internazionali per trovare il modo di riprendere l’esportazione di grano dall’Ucraina. Tuttavia, non ci sono attualmente piani per schierare navi da guerra britanniche nel Mar Nero”, ha affermato il portavoce del governo.
Questa mattina Mosca ha annunciato per oggi l’apertura di un “corridoio umanitario” per l’uscita delle navi straniere dal porto di Mariupol nel Mar Nero, secondo quanto riporta l’agenzia russa Interfax che cita il capo del Centro di controllo della difesa nazionale russa.
(con fonti TASS, AFP, Agenzia Nova, Adnkronos e Telegram)
Foto: Ministero Difesa Ucraino, Ministero Difesa Russo TASS, US DoD, Twitter e Telegram
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.