Il confronto tra Occidente, Russia e Cina si accentua in Africa

 

 

Con colpevole ritardo i Paesi occidentali, stati Uniti in testa, si sono ritrovati ad inseguire gli avvenimenti sul fronte africano piuttosto che prevenirli con congruo anticipo come del resto è avvenuto con il conflitto in atto russo-ucraino.

Quali conclusioni trarre e quali interventi potrebbero evitare un significativo ribaltamento di alleanze ed influenze dagli effetti potenzialmente devastanti non solo per l’occidente ma per gli stessi stati africani coinvolti?

Problematiche affrontate più volte su Analisi Difesa in tempi non sospetti, per cui in assenza di profondi cambiamenti nella condotta delle missioni internazionali, in una politica estera e di difesa più muscolare della Ue ( qualora fosse già rilevante e rispettata), di azioni concrete e coordinate da parte di stati alleati nei settori della sicurezza, della cooperazione allo sviluppo, dell’immigrazione, dell’occupazione giovanile, avevamo indicato come più che probabili i risvolti decisamente negativi emersi fragorosamente in tempi relativamente brevi.

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Instabilità sempre più diffusa nell’Africa sub sahariana e nel Corno d’Africa, influenze terroristiche, attacchi alle popolazioni e alla deboli istituzioni locali, migrazioni incontrollate in costante aumento, interventismo russo in espansione esponenziale dal 2019, colpi di Stato e richieste di assistenza alla Russia per la sicurezza in Paesi francofoni e in aree connesse tradizionalmente all’occidente, forte espansionismo turco, Cina saldamente prima potenza in Africa per investimenti e commercio.

 

Lezioni apprese

La stabilizzazione di Paesi africani a rischio auspicata da fallimentari e dispendiose missioni multidimensionali Onu e da missioni Ue di formazione militare, delle forze di sicurezza e dei giudici ha prodotto risultati praticamente inversi alle aspettative.

I costosi programmi e progetti di sviluppo Onu e Ue durati decenni i cui impatti economico-sociali e occupazionali, fatte salve le eccezioni, non devono aver lasciato tracce sostenibili, tangibili considerati il degrado e le agevoli infiltrazioni terroristiche fra i bisognosi e la gioventù disoccupata.

Lo sviluppo politico, democratico, economico-sociale auspicato non si è verificato, se non in rare circostanze, e comunque non consolidato da istituzioni più solide e durature.

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Non è stata favorita la crescita di nuove classi dirigenti africane e di una borghesia produttiva a sostegno di una gestione dello stato meno legata a fattori religiosi, etnici e tribali. Questi ultimi non potranno essere eliminati radicalmente, andranno sempre tenuti in grande considerazione tuttavia a fronte di centinaia di miliardi di aiuti assistenziali, allo sviluppo e ai bilanci dei vari Stati una separazione più marcata fra interessi dello Stato, benessere di tutta la popolazione e i fattori tradizionali si sarebbe potuta ottenere grazie ad una nuova classe dirigenziale meno compromessa.

Considerare in maniera riduttiva le realtà del terreno, ignorare quasi del tutto flessibilità operativa, adattamento alle nuove situazioni, perseverare con un approccio rigidamente burocratico procedurale, affidare le decisioni a burocrati con scarsa conoscenza dei luoghi, delle tradizioni e delle sensibilità locali si sono rivelati errori fondamentali che stiamo scontando e sconteremo per anni.

Una inversione di tendenza sostanziale è attesa da anni. Difficile intravedere spiragli positivi finché prevarranno retorica, approcci demagogici, incarichi importanti affidati a persone con scarse conoscenze delle culture e delle aree di cui dovrebbero essere punto di riferimento, scarso pragmatismo.

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Il fenomeno delle migrazioni illegali, dei traffici di esseri umani, delle traversate dirette in particolare verso le frontiere marittime e terrestri dell’Europa meridionale a distanza di anni continua a non essere governato né tantomeno gestito e coordinato dalla Ue.

Stati membri come Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta vengono clamorosamente penalizzati da decisioni e accordi faticosamente raggiunti basati sul principio della volontarietà degli Stati, pertanto destinati a fallire in partenza.

Con il passare del tempo, la perdurante instabilità libica recentemente aggravatasi, l’ascesa inarrestabile di Russia e Turchia, e relativi sponsor, sulla scena libica, sub sahariana e Corno d’Africa, la perdita di influenze della Ue, della Francia, dell’Italia in Libia e Somalia, è emersa una pericolosa realtà difficilmente contestabile: le migrazioni illegali non sono esclusivamente un fenomeno umanitario, economico, climatico, strutturale, bensì, in misura crescente, uno strumento strategico per indebolire la Ue, in particolare gli Stati membri meridionali creando fratture e divisioni nelle alleanze occidentali.

La guerra tra Russia e Ucraina accentuerà probabilmente il fenomeno unitamente all’espansionismo turco alleato ambiguo dell’occidente nella Nato e al tempo stesso sponsor dei Fratelli musulmani e, all’occorrenza, di gruppi terroristici in Medioriente e Africa.

Il depauperamento delle forze giovanili dai villaggi africani, dalle aree agricole e periferiche per migrare ha causato e causa danni ingenti alle stesse economie tradizionali sconvolgendo altresì equilibri sociali e famigliari consolidati.

A fronte dell’inazione Ue, dell’incapacità di una burocrazia tecnocratica nel rispondere pragmaticamente sul campo alle nuove sfide, diversi Paesi Membri Ue, Francia, Spagna, Grecia, Danimarca, meno l’Italia, contrastano ormai individualmente l’immigrazione illegale marittima e terrestre adottando misure di tutela in linea con la difesa delle frontiere, degli interessi nazionali più che con le indicazioni Ue.

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La crisi energetica, la ricerca di nuove fonti, la diversificazione degli approvvigionamenti di gas e petrolio hanno provocato un’attività operativa senza precedenti nel Mediterraneo. Difficilmente ci si potrà sottrarre ad azioni di presenza e contrasto, non di aggressione beninteso, più marcate a difesa degli interessi nazionali siano essi economici che di tutela delle frontiere marittime e terrestri.

Discorso più che mai di attualità per il nostro Paese alla luce delle misure adottate da tempo dai nostri vicini e partner, del fallimento dei cosiddetti accordi di Malta e dell’incremento insostenibile di sbarchi e migranti illegali.

Abbiamo cercato di sintetizzare in maniera non esaustiva le problematiche riesplose nell’ultimo biennio acuitesi dalla guerra russo ucraina, dalle accresciute tensioni Cina, Taiwan, Usa al fine di portare l’attenzione sugli sviluppi nel Mediterraneo allargato, in Africa dove azioni e campagne antioccidentali non possono ormai ritenersi episodi isolati o conseguenze di errori commessi nel passato recente.

 

Approccio inadeguato

Interventi a mera difesa di equilibri instabili o iniziative multilaterali, di gruppi di alleati e bilaterali per ripristinare il ruolo occidentale, difendere i confini, contrastare adeguatamente le minacce esterne, aiutare concretamente lo sviluppo socio economico africano?

Fra le tante problematiche internazionali dell’ultimo biennio, le sfide sempre più complesse da affrontare, crisi regionali, guerre nel cuore dell’Europa e guerre asimmetriche in Africa, lotta al terrorismo e guerre di influenze in Paesi chiave dove si cerca di rimpiazzare, allontanare in maniera duratura la vicinanza occidentale, si è almeno giunti ad una maggior chiarezza sulle cose da fare o non fare.  In breve, accettare supinamente di essere rimpiazzati nelle aree di influenza storiche e sfidati anche fra i nostri confini o semplicemente adattarsi alle manovre aggressive altrui contrastandone adeguatamente azioni e intenti?

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Ci si è forse accorti in Europa, con burocratico ritardo, che la retorica, la demagogia, il politicamente corretto sempre e in qualsiasi frangente non costituiscano esattamente i parametri usati e compresi da chi, al contrario, desidera caos, decadenza e indebolimento del campo occidentale.

Recuperare il terreno perduto, riconquistare la fiducia di governi e popolazioni che hanno permesso senza particolari remore l’accesso da primi attori a nuovi partner ingombranti quali Russia, Turchia, Qatar e finanziatori vari delle sette terroristiche non sarà semplice, tuttavia perseverare negli errori di valutazione rischia nel breve e medio termine di creare seri problemi alla sicurezza, allo sviluppo socio- economico, al commercio su entrambe le direttrici occidente Africa e viceversa.

Il colosso cinese d’altra parte continua a progredire nel suo primato commerciale sul Continente ampliando il controllo sulle materie prime e le terre rare attraverso doni e finanziamenti difficilmente rifiutabili, salvo pagarne il conto salato a lungo termine.

La situazione appare degenerata al punto che ormai solo flessibilità operativa in controtendenza al solito obsoleto, rigido approccio burocratico, investimenti rapidi e visibili, una forte azione politica tesa ad un pragmatico riaggiustamento di alleanze potrebbero, auspicabilmente, portare a nuovi equilibri meno penalizzanti.

Un’azione coordinata nel campo della sicurezza non potrà prescindere, come segnalato da anni in precedenti articoli, da una forte, imprescindibile componente di aiuto allo sviluppo e al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali.

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Inutile girarci intorno servirebbe finalmente attivare una sorta di Piano Marshall per Sahel e Africa sub-sahariana con criteri di esecuzione rapidi, visibili, concreti. Programmi e progetti accompagnati da adeguate cornici di sicurezza e da impegni precisi e rispettati o fatti rispettare dai governi beneficiari.

A tal fine le leve economiche, gli aiuti ai bilanci statali, i doni, i prestiti a basso tasso d’interesse unitamente ad una politica di rimpatri dei migranti illegali, beninteso con congrui incentivi, dovrebbero essere alla base di nuovi accordi e nuove modalità di gestione delle operazioni. Chi dovrebbe negoziare nuovi accordi?

Per quanto riguarda L’Europa in prima battuta la Ue con decisione e autorevolezza mancata finora, in particolare per ottenere accordi generali sui rimpatri dei migranti illegali facilitando in tal modo gli Stati Membri nei negoziati bilaterali.

A fronte di centinaia di miliardi di euro impegnati cospicuamente per aiuti ai bilanci statali, in aggiunta a quelli per la cooperazione allo sviluppo e agli emergenziali, risulta difficile comprendere perché non vengano utilizzate condizionalità più rigide peraltro poco penalizzanti per gli Stati beneficiari di aiuti così rilevanti.

Una politica efficace di incentivi alla ricollocazione per i rimpatri immediati sarebbe inoltre complementare a quelle avviate nel settore della sicurezza, andando a colpire direttamente criminalità organizzata e gli stati implicati nei finanziamenti occulti al terrorismo e ai traffici di esseri umani. Una drastica riduzione delle drammatiche morti in mare, nelle traversate desertiche, dovrebbe essere un obiettivo auspicato da tutti, realizzabile usando adeguate misure a tutto campo unitamente ad una forza di pronto intervento europea, altro fattore necessario per rispondere all’evoluzione delle sfide sul campo.

 

Nuovi assetti

Il confronto con le nuove minacce terroristiche, il ribaltamento di alleanze in Mali, RCA, con una presenza russa più aggressiva anche in Burkina Faso, Camerun, e stati limitrofi, hanno richiesto e richiederanno una risposta più consistente che non potrà essere sostenuta dalla sola Francia in area francofona a livello Ue, bensì, come sta già accadendo in Mali da gruppi di Stati Ue in coordinamento con i partner nord americani (Usa e Canada) e la GB ove presente.

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L’operazione Takuba, dove la presenza italiana risulta rilevante, benché sospesa da fine giugno in Mali sarà probabilmente ricollocata in Niger. L’unione delle forze speciali di diversi Paesi europei accanto alla Francia è da considerarsi un successo operativo e logistico nel settore specifico, soprattutto un primo esempio concreto di operazione di una eventuale forza di intervento rapido europea.

Questo tipo di soluzione, unione di Stati volenterosi, stante la perdurante inefficacia delle costose missioni Onu e Ue nel settore della sicurezza, l’indebolimento francese e la scarsa rilevanza politica mostrata finora dalla Ue, appare idonea a fronteggiare le nuove sfide. Una risposta che andrebbe integrata in parallelo con consistenti aiuti di cooperazione allo sviluppo e programmi di sostegno alla comunicazione locale. Su questi ultimi avevo già scritto in passato forte di un’esperienza diretta sul campo, in Niger.

Se si fossero attivati programmi innovativi di sostegno a stampa e media locali capaci di raggiungere le popolazioni periferiche, il contrasto alle campagne di disinformazione anti francesi e occidentali, finanziate dai russi e non solo, sarebbe stato di gran lunga più efficace. Le nuove guerre asimmetriche si combattono anche in un settore, quello della comunicazione, il quale, a differenza del passato, ha assunto connotati più che rilevanti. Lo hanno ben compreso i russi e i turchi molto attivi nel settore.

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Le missioni internazionali Onu e Ue in particolare andrebbero riformulate alla luce dei risultati scadenti, dello scarso impatto politico sociale e dei costi.

Riducendo le risorse finanziarie, snellendo obsolete strutture amministrative, rendendo più omogenee le forze militari e di polizia Onu in campo, queste ultime potrebbero essere destinate prioritariamente alla protezione di programmi e progetti di cooperazione garantendo la cornice di sicurezza necessaria al completamento degli stessi in tempi compatibili alle necessità delle popolazioni, alla visibilità delle realizzazioni.

I risparmi generati potrebbero essere riallocati sul piano Marshall modello africano, e ampliando i programmi di rimpatrio dei migranti illegali, quali quelli messi a punto dall’OIM, organizzazione internazionale dei migranti.

A lungo termine Russia, Turchia, ed anche Cina non potranno garantire gli stessi livelli di aiuti occidentali ai Paesi in cui intenderebbero rimpiazzarne le influenze (USA inclusi). Più che un auspicio si tratta di una constatazione oggettiva.

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I cinesi ad esempio pur offrendo e realizzando grandi programmi di infrastrutture a condizioni non rifiutabili, non riescono a farsi amare, troppo diverse le culture e i metodi di lavoro, hanno sempre più difficoltà di rapporti con le popolazioni locali, con le forze di lavoro locali, con i sindacati africani. L’abilità dimostrata nelle campagne di disinformazione, gli interventi rapidi e flessibili di gruppi e contractors da Wagner, russa, a Sadat inc., turca, non potranno competere, a meno di eventi straordinari, con assetti compatti ed omogenei messi in campo da coalizioni occidentali sempre che siano guidate da coesione, flessibilità, coordinamento, unità d’intenti e d’interessi, volontà di affrontare le sfide in atto con approcci innovativi.

Foto: US DoD, Twitter, Ministero delle Forze Armate francese, Libya Observer, Frontex e Difesa.it

 

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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