Gli scontri Kirghizistan-Tagikistan e la destabilizzazione centroasiatica
Nel settembre scorso si è riaccesa la disputa di confine tra le ex repubbliche sovietiche: quella tra Kirghizistan e Tagikistan. La mattina del 16 settembre le aree di confine tra i due paesi sono diventate oggetto di scontro. O meglio, ‘ridiventate’, dato che combattimenti si erano registrati a più riprese negli ultimi anni, da ultimo nel maggio del 2021 quando tra i soldati dei rispettivi eserciti erano stati sparati colpi di arma da fuoco, con un bilancio di qualche decina di morti civili e decine di migliaia di sfollati.
Il tutto senza particolare attenzione da parte della comunità internazionale. La questione ucraina e, in misura minore, quella del Nagorno Karabakh hanno rivitalizzato l’interesse per l’area, anche se lo scontro kirghizo-tagiko rimane ai margini dei riflettori.
Le ostilità hanno in realtà avuto inizio la mattina del 14 settembre con uno scambio di fuoco tra le guardie di confine dei due paesi. Già l’8 settembre Duahanbé avrebbe trasferito unità di forze speciali nella zona di Vorukh ed allestito trincee nei pressi delle linee di confine. All’alba del 16 settembre carri armati tagiki hanno invaso la linea di confine in più punti. Le autorità kirghize hanno accusato il governo di Dushanbé di «invasione militare premeditata».
Da entrambe le parti nella stessa giornata è stato ordinato l’immediato ritiro delle truppe ed il cessate il fuoco è ufficialmente in vigore dal pomeriggio del 16 settembre. L’escalation, per il momento scongiurata, non è però esclusa, dato che manca totalmente un accordo sulle questioni sostanziali che avrebbero fatto scoppiare le ostilità. A conferma di ciò, bombardamenti sono stati segnalati anche il giorno successivo ed il Kirghizistan ha accusato il Tagikistan di inviare ancora truppe al confine.
La situazione resta particolarmente tesa anche dopo il 17 settembre nella regione di Osh. Il ministro degli esteri kirghizo ha affermato che Bishkek ha agito esclusivamente a scopo difensivo, senza avere come obiettivo quello di impadronirsi del territorio altrui.
Secondo una stima del giornale Kommersant, negli ultimi 12 anni si sono verificati tra Kirghizistan e Tagikistan circa 150 incidenti simili, anche se di minor entità. Il Washington Post ha definito l’episodio del 16 settembre come la peggiore escalation tra i due paesi da 30 anni a questa parte ed una seria minaccia alla pace e sicurezza regionale. In effetti, una guerra di confine sorda esiste da tempo tra i due stati a causa della non chiara delimitazione delle linee di frontiera, lunga quasi 1000 chilometri
Le ostilità del 16 settembre non hanno coinvolto come in passato una località o un distretto precisi ma quasi tutta la linea confinaria, con attacchi indiscriminati su obiettivi civili protetti dal diritto internazionale umanitario.
Una diatriba di carattere sub-regionale potrebbe trasformarsi in un conflitto militare pesante in centro Asia, come ha affermato un alto funzionario kirghizo. In poche ore sono stati 140,000 i civili evacuati, e numerosi i villaggi devastati in Kirghizistan. Il bilancio ufficiale è di 59 civili morti da parte kirghiza e 41 da parte tagika dove non si registrano sfollati. Bishkek ha anche riferito della perdita di 400 soldati e di ingenti danni alle infrastrutture.
Un grosso colpo per il Kirghizistan il cui PIL solo quest’anno, prima delle ostilità, era cresciuto del 8,6%. Molte di queste risorse, afferma il funzionario kirghizo, dovranno essere verosimilmente dirottate verso la spesa militare. Ciò potrebbe compromettere non solo lo sviluppo interno ma anche la cooperazione allo sviluppo nell’intera area centroasiatica.
Dushanbé ha dichiarato di aver agito in legittima difesa in risposta ad attacchi contro abitazioni ed altri obiettivi civili con droni e armi pesanti che sarebbero avvenuti da parte kirghiza nei giorni precedenti l’aggressione tagika. Alcuni video presenti sui social media mostrano però chiaramente soldati tagiki compiere scempio in villaggi kirghizi.
Il nocciolo della questione è da ritrovarsi a sud della valle di Fergana, al confine tra Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. Il problema sta nella mai risolta questione etnica e in particolare nell’esistenza di enclavi ed exclavi, soprattutto all’interno del territorio kirghizo dove sono presenti due cospicue enclavi tagike, Vorukh e Kayragach, che si trovano all’interno della regione di Bakten nonché principale teatro delle ostilità di settembre.
Tradizionalmente è il ben più lungo confine tra Kirghizistan e Uzbekistan ad essere stato problematico. All’interno del territorio kirghizo si trovano infatti 4 enclavi uzbeke, mentre un’exclave tagika è presente a Sokh in Uzbekistan. Attualmente, secondo quanto riferito da un funzionario kirghizo, circa il 90 per cento dell’attuale linea di frontiera – una delle più lunghe e complesse dell’Asia Centrale – è stata mappata. Nel momento in cui la diatriba tra Tagikistan e Uzbekistan sembrava quasi risolta, la questione kirghizo-tagika è emersa in tutta la sua complessità in maniera quasi inaspettata.
Vero è che già lo scorso aprile kirghizi e tagiki hanno rischiato seriamente di entrare in guerra dopo un preliminare scambio di colpi tra i soldati dei due eserciti. Ma a parte alcuni incidenti come questo, i rapporti tra le due ex repubbliche sovietiche erano ritenuti relativamente buoni. Il Tagikistan aveva in passato fatto affidamento al Kirghizistan come corridoio per l’invio di aiuti.
Il nuovo round di scontri, anche se conclusosi in poche ore, prelude a quella che potrebbe diventare una guerra di logoramento, o quantomeno una crisi protratta. L’obiettivo strategico dei tagiki, non raggiunto con gli scontri del 16 settembre, sarebbe quello di impossessarsi del corridoio di terra che conduce a Vorukh.
A inizio ottobre si è tenuto ad Astana con la partecipazione di Mosca e dei leader delle 5 ex repubbliche sovietiche il primo summit Asia Centrale – Russia dedicato alla cooperazione multilaterale. In tale occasione non sembrano essere emersi particolari attriti tra i leader kirghizo e tagiko. Ma il conflitto potrebbe riaccendersi in maniera prepotente in qualsiasi momento, anche tra mesi o anni come è successo nel caso del Nagorno Karabakh.
Tutt’altro che stabile appare l’accordo per la demilitarizzazione delle aree contese lungo il confine raggiunto il 25 settembre, che prevede l’evacuazione dele forze armate dai principali posti di frontiera. Nello stesso giorno sono fioccate le accuse reciproche. Bishkek ha anche affermato che unità mobili continueranno a effettuare il proprio servizio lungo la frontiera, mentre Dushanbé la accusa di nascondere mezzi militari pesanti.
Come afferma un alto funzionario kirghizo, le cause degli scontri vanno ricercate nell’eredità della politica sovietica delle nazionalità, ma soprattutto nella percepita scarsità di risorse legata soprattutto alla gestione di quelle idriche, a fronte anche della grande crescita demografica degli ultimi anni (ad ottobre il Kirghizistan è arrivato a raggiungere i 7 milioni di abitanti, contro i quasi 10 tagiki).
Il controllo dei corsi d’acqua è visto dagli esperti e dagli stessi funzionari kirghizi come uno dei principali motivi di scontro. L’accesso ai bacini idrici della zona, in gran parte arida e semi montagnosa, è fonte da decenni di periodici scontri poco conosciuti.
Entrambi i paesi rivendicano la sovranità dell’area nell’impianto idrico di Golovnoy, che viene rifornito dall’acqua del fiume kirghizo Ak-Suu. È proprio attorno a questo impianto che erano avvenuti degli incidenti nell’aprile del 2020, quando le guardie di frontiera erano dovute intervenire a seguito della contesa nel distretto di Leylek da parte dei cittadini kirghizi di Kok-Tash e tagiki di Ak-Sai, due villaggi separati dal confine.
L’esercito tagiko aveva previsto una facile vittoria su quello kirghizo ma non era andata così. La storia si è ripresentata a settembre, ma anche questa volta le capacità kirghize non sono apparse così nettamente inferiore in termini di capacità come Dushanbé aveva supposto. Anche se in termini tattici e strategici le forze tagike hanno verosimilmente il potenziale di sopraffare quelle kirghize, vista anche la cospicua assistenza militare ricevuta negli ultimi anni da Stati Uniti, Cina, Afghanistan e Russia.
Dushanbé ha recentemente ricevuto anche equipaggiamento aereo da parte dell’Iran che in maggio aveva anche svelato l’esistenza di uno stabilimento in Tagikistan per la produzione di droni, dopo che nello stesso mese i rispettivi ministri della Difesa avevano stretto un accordo di cooperazione per quanto riguarda la questione afghana ed il terrorismo, oltre che esercitazioni militari congiunte.
L’escalation degli scontri arriva tra l’altro in un momento in cui a Samarcanda (Uzbekistan) era in corso la riunione della Shanghai Cooperation Organization, dove si sono incontrati i leader della regione, compresi i colossi Putin e Xi Jinping. La concomitanza dell’attacco di Douchanbé non è certo un caso, che potrebbe aver voluto mandare un chiaro segnale sia al Kirghizistan che all’Uzbekistan, nonché a tutti i leader centro asiatici e non.
Le fonti tagike hanno però accusato Bishkek di provocazioni tali nei giorni precedenti l’incontro che non sarebbe stato possibile per le forze tagike non rispondere durante la riunione tenutasi a Samarcanda. Ed è nel corso della stessa riunione che i presidenti Jahmon e Japarov hanno deciso di ritirare le truppe dalla linea di contatto e di creare una commissione per indagare sui fatti ed accelerare gli sforzi per delimitare il confine tra i due Stati.
La chiave di volta per comprendere il conflitto kirghizo-tagiko potrebbe trovarsi in Afghanistan. Secondo alcuni analisti, entrambi i paesi hanno interesse a controllare il traffico di oppio proveniente dall’Afghanistan che passa attraverso le vie dell’Asia centrale. Secondo funzionari kirghizi, però, questa è una spiegazione che poteva valere per gli scontri passati, meno per l’escalation attuale.
Il pericolo si trova però nelle militanze provenienti dall’Afghanistan attraverso il confine afghano-tagiko, dove è anche massiccio il traffico d’armi. I talebani dal momento del loro ritorno al potere hanno rifornito di armi l’insurgency tagika attiva a Dadakhshan lungo il confine tagiko-afghano.
L’escalation apre anche nuovi scenari per quanto riguarda i rapporti tra le ex repubbliche sovietiche e Mosca. Gli scontri tra Kirghizistan e Tagikistan hanno destato perplessità in Mosca, a cui entrambi i paesi sono legati attraverso la Shanghai Cooperation Organization e al Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO). Entrambi i paesi ospitano inoltre installazioni militari russe e mantengono stretti rapporti.
La Russia si è già offerta di collaborare alla delimitazione della frontiera per mettere fine al dissidio tra Kirghizistan e Tagikistan, che di certo non giova alla salute ed all’efficacia dell’alleanza militare guidata dal Cremlino. Lo stesso segretario generale del CSTO ha chiesto a Bishkek e Douchanbé di risolvere i loro contrasti con mezzi politici e diplomatici. Anche Pechino attraverso il portavoce del ministero degli Esteri ha invitato i due paesi ad affrontare adeguatamente le loro controversie.
Se da un lato gli scontri tra le ex sorelle non portano grande vantaggio a Mosca, dall’altro si vocifera di una possibile ingerenza del Cremlino nelle questioni interne, soprattutto in favore del Tagikistan. I funzionari kirghizi non credono, almeno ufficialmente, ad una decisa propensione russa nei confronti di Dushanbé, ma si aspettano pressioni nelle questioni dell’Asia Centrale, intesa come area di “responsabilità russa”.
Sta di fatto che, mentre l’opinione pubblica kirghiza era fino a qualche anno fa la più favorevole in assoluto nei confronti di Mosca, la situazione ora sembra completamente cambiata secondo alcuni osservatori kirghizi.
Alti funzionari kirghizi si dicono interessati alla possibilità di una mediazione internazionale per quanto riguarda la questione della demarcazione del confine. Attualmente solo due terzi dei km che separano i rispettivi territori nazionali sono stati reciprocamente riconosciuti. L’attore chiave potrebbe essere in tal senso la Russia, magari attraverso la CSTO, se riuscirà a mantenere una posizione equidistante.
Un altro attore di rilievo potrebbe essere la Svizzera, che con la sua Blue Diplomacy promossa anche in ambito OSCE ha aiutato altri Stati dell’Asia centrale a gestire proprio le risorse idriche regionali e nazionali. Proprio a giugno si era tenuta a Dushanbé la Water Decade Conference, dove la Svizzera ha presentato le iniziative promosse lungo i fiumi Amu Darya e Syr Darya che originano nelle montagne del Kyrghizistan e del Tagikistan per finire nel lago d’Aral.
La conferenza fa parte del cosiddetto Dushanbé Water Process nell’ambito del quale dal 2018 il governo tagiko sta organizzando una serie di conferenze con il supporto delle Nazioni Unite.
Foto: Shangai Cooperation Organization, Ministero della Difesa Tagiko e Ministero Difesa Kirghizo
Mappe: ACLED e Kreutzmann
Sigrid LipottVedi tutti gli articoli
Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.