La guerra in Ucraina al bivio tra negoziati e rischi di allargamento
(aggiornato alle ore 23,55)
Varsavia ha decretato i funerali di Stato per le due le vittime dell’incidente Przewodow, dove un missile antiaereo ucraino S-300 caduto oltre confine ha colpito un edificio rurale uccidendo due dipendenti dell’azienda agricola Agrocom, secondo quanto riportato dal giornale Wschodni Dziennik.
Benché il presidente statunitense Joe Biden e poi anche le autorità polacche (ma solo in un secondo tempo) abbiamo escluso vi fossero elementi per attribuire l’attacco al territorio polacco alla Russia, la vicenda ha innalzato la tensione mettendo in evidenza la volontà di alcuni protagonisti della crisi di puntare sull’escalation della crisi con Mosca.
“Non c’è nessuna evidenza che la Russia stia preparando attacchi a membri della Nato” ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
“Secondo risultati preliminari, probabilmente l’incidente è stato causato da un missile ucraino, lanciato per proteggere il territorio dagli attacchi missilistici russi”, ha sottolineato Stoltenberg, aggiungendo però che “non è colpa dell’Ucraina. L’Ucraina ovviamente ha il diritto di abbattere l’ondata di missili russi che prendono di mira le città ucraine e le infrastrutture critiche ucraine. La Russia porta la responsabilità ultima per questa guerra illegale”.
Incidenti di guerra
Difficile parlare di “colpa” per un incidente in cui evidentemente non esiste dolo ma le valutazioni di Stoltenberg rendono perfettamente l’idea del contesto politico e mediatico in cui è immerso l’Occidente, nonostante lo sconfinamento delle azioni belliche verificatosi la sera del 15 novembre non sia certo raro in guerra e non rappresenti un caso isolato neppure nel conflitto ucraino.
Basti pensare al drone armato ucraino Tu-141 caduto nel marzo scorso nei pressi di Zagabria, in Croazia ma dopo aver sorvolato l’Ungheria, oppure al missile da crociera russo abbattuto dalle difese aeree ucraine schiantatosi a fine ottobre sul villaggio moldavo di Naslavcea distruggendo alcune case ma senza provocare vittime.
L’impiego di armi a lungo raggio, missili da crociera o balistici e missili da difesa aerea, rende non impossibili eventi di questo tipo con armi offensive o difensive che oltrepassano i confini in modo del tutto involontario.
Il sistema di difesa aerea S-300 esportato in molte nazioni, viene impiegato massicciamente dall’Ucraina per difendersi dagli attacchi aerei e missilistici russi. Molte batterie sono state distrutte dai russi e altre, da tempo fuori uso, sono state riattivate dopo l’inizio del conflitto da Kiev che ha cercato di reperire altri missili, radar e lanciatori da paesi che li utilizzano come la Slovacchia.
Come spesso accade in questo conflitto si impiegano anche armi vecchie, probabilmente in alcuni casi anche “scadute”, cioè non più impiegabili con la certezza che mantengano efficacia e precisione.
L’impiego degli S-300
Anche i russi impiegano nel conflitto diverse versioni del sistema S-300 ampiamente presenti nei loro arsenali e di cui hanno catturato un buon numero di batterie ucraine con l’annessione della Crimea nel 2014. Recentemente alcuni di questi sistemi missilistici terra-aria sono stati impiegati da Mosca per colpire obiettivi terrestri, trasformati in armi terra-terra dopo averne modificato il sistema di guida.
Il ministero della Difesa russo ha reso noto che negli attacchi del 15 novembre “tutti gli obiettivi sono stati raggiunti e gli attacchi ad alta precisione sono stati effettuati su bersagli solo sul territorio ucraino e ad una distanza di 35 chilometri dal confine tra l’Ucraina e la Polonia”.
Plausibile quindi che un missile S-300, con un’autonomia di diverse decine di chilometri, sia stato lanciato per intercettare senza successo un missile russo per poi cadere sei chilometri oltre il confine polacco. Il presidente polacco Andrzej Duda ha ammesso come probabilmente si sia trattato di “uno sfortunato incidente”, escludendo che si sia trattato di “un attacco deliberato” da parte russa.
Pompieri…..
Del resto gli stessi militari statunitensi avevano fatto fin da subito sapere alla CNN che un loro velivolo in volo sulla Polonia aveva visto il missile caduto poi in Polonia senza però specificarne l’origine. “Le informazioni con le tracce radar è stata fornita alla Nato e alla Polonia”, ha aggiunto la fonte.
Funzionari del Pentagono citati dalla stampa americana hanno inoltre subito rivelato che il missile caduto sul territorio polacco sarebbe stato dalla difesa aerea ucraina nel tentativo di intercettare uno dei missili lanciati dalla Russia.
Nella serata di martedì il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, nel corso di una conferenza stampa a Bali, a margine del vertice del G20 in corso in Indonesia, aveva affermato diversi Paesi della Nato, ritengono che la Russia non sia coinvolta direttamente nelle esplosioni avvenute ieri a Przewodow, in Polonia.
“L’incidente missilistico in Polonia potrebbe essere un errore tecnico”, ha detto Erdogan, aggiungendo che “dire che si tratta di un missile russo sarebbe una provocazione. Stiamo facendo ogni sforzo per portare Ucraina e Russia al tavolo dei negoziati. Le provocazioni non aiutano”.
Anche il presidente statunitense Joe Biden ha definito “improbabile” che il missile caduto in territorio polacco “sia partiti dalla Russia”, sgombrando il campo da ogni possibile speculazione e stroncando il tentativo di strumentalizzare l’accaduto per portare a un’escalation nei rapporti tra Russia e Nato.
….e incendiari
Dichiarazione che ha raffreddato gli animi in Polonia dove subito dopo l’incidente fioccarono le accuse a Mosca (pur in assenza di riscontri oggettivi) probabilmente ispirandosi a indiscrezioni della stampa polacca che aveva ipotizzato che resti di missili russi caduti in territorio polacco dopo essere stati colpiti dalla contraerea ucraina.
Il ministero degli Esteri polacco aveva subito confermato che “un proiettile di fabbricazione russa è caduto uccidendo due cittadini polacchi” come ha dichiarato il portavoce del ministero Lukasz Jasina, sottolineando che l’ambasciatore russo era stato convocato per “spiegazioni dettagliate”.
“Le fotografie del rottame di missile pubblicate dai media polacchi non hanno a che vedere con le armi russe” aveva replicato il ministero della Difesa russo alla TASS. “Le dichiarazioni dei media e dei funzionari polacchi sulla presunta caduta di missili russi nell’area dell’insediamento di Przewoduv sono una deliberata provocazione al fine di aggravare la situazione. Non sono stati effettuati attacchi contro obiettivi vicino al confine polacco-ucraino con mezzi di distruzione russi”.
L’esperto militare russo Alexei Leonkov, interpellato dalla RIA Novosti, aveva confermato che si trattasse di missili del sistema antiaereo ucraino S-300. Tali ordigni “se lanciati in modo errato sarebbero in grado di sconfinare nel territorio della Polonia. Abbiamo già visto esempi del genere, inclusa l’esplosione dei missili antiaerei sui propri edifici residenziali”.
In Ucraina invece lo stesso presidente Volodymyr Zelensky continua a sostenere che il missile caduto in territorio polacco fosse russo e del resto anche la sera dell’incidente il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, aveva escluso che in territorio polacco fossero caduti missili ucraini.
“La Russia ora sta promuovendo una teoria complottista secondo la quale sarebbe un missile della difesa aerea ucraina ad essere caduto nel territorio polacco. Questo non è vero. Nessuno dovrebbe accettare la propaganda russa o amplificarne il messaggio”.
Valutazioni utili sul piano propagandistico ma che non tengono conto che di un dato oggettivo: in base al raggio d’azione di un S-300 non esiste alcuna possibilità che un’arma simile lanciata dal territorio russo o dalle regioni ucraine controllati da Mosca possa raggiungere il territorio polacco.
Lo stato maggiore della Difesa ucraina ha del resto ammesso di aver tentato di intercettare un missile da crociera russo non lontano dal confine con la Polonia.
Più che sul piano militare, l’incidente ha un peso soprattutto politico poiché sembra confermare la volontà di alcuni stati membri della Nato, Polonia e Repubblica Baltiche in primis, di affiancare l’Ucraina nel tentativo forzare la mano per portare l’Alleanza Atlantica verso un maggiore e pericoloso coinvolgimento nel conflitto contro la Russia tenuto conto che Varsavia aveva ipotizzato addirittura il ricorso all’Articolo 5 della Nato che prevede l’intervento militare a difesa di uno stato membro aggredito militarmente.
Verso una svolta a Washington?
Al di là degli inviti alla prudenza di Parigi ( la Francia resta l’unico stato europeo ad aver mostrato autonomia politico-strategica nell’approccio al conflitto russo- ucraino) la pericolosa deriva è stata sventata (per ora) dagli Stati Uniti dove sta emergendo sia negli ambienti dell’Amministrazione (Pentagono in testa) sia nel Congresso (per lo più tra i Repubblicani ma anche in alcuni ambienti del Partito Democratico) una crescente diffidenza nei confronti del governo ucraino e della necessità di sostenere il prolungamento del conflitto.
L’ala più vicina a Donald Trump della rappresentanza repubblicana al Congresso promette battaglia sul rinnovo degli stanziamenti finanziari necessari a sostenere l’Ucraina. “L’Ucraina è ora il 51esimo stato degli Stati Uniti e che posizione ha Zelensky nel nostro governo?”, ha detto provocatoriamente Marjorie Taylor Greene, leader dell’ala “trumpiana”.
Perplessità non nuove in molti ambienti statunitensi inclusi alcuni opinioni-makers, come Analisi Difesa aveva evidenziato già nei nell’agosto scorso, mentre un documento critico circa il sostegno prolungato all’Ucraina e che invitava Bidern a negoziare direttamente con Putin per far cessare il conflitto era stato firmato da 30 deputati del Partito Democratico, come ha rivelato il Washington Post il 24 ottobre: appello alla Casa Bianca poi ritirato prima del voto di mid-term su pressione dei dirigenti del partito.
Non mancano quindi gli indizi di un possibile mutamento della politica statunitense nei confronti del conflitto ucraino fino a ieri da prolungare per logorare la Russia: mutamento a cui non sarebbe estraneo l’atteggiamento arrogante e pretenzioso di Zelensky che, secondo indiscrezioni fatte filtrare certo non a caso a diversi media statunitensi, avrebbe sensibilmente irritato diversi esponenti dell’Amministrazione incluso il presidente Biden.
Obiettivi raggiunti
Washington del resto ha già raggiunto i suoi obiettivi strategici e potrebbe non avere alcun interesse a mettere in più gravi difficoltà Mosca con il rischio di una destabilizzazione interna che costituisce sempre un salto nel buio quando si parla di potenze nucleari.
Lo strumento militare russo è stato indubbiamente logorato e le sanzioni hanno colpito l’economia anche se non quanto molti in Occidente si aspettavano. La speranza del Cremlino di vincere la guerra con uno sforzo militare limitato e quasi senza influire sulla vita quotidiana del popolo russo si è dimostrata vana a causa delle perdite e delle ritirate a cui sono stati costretti i militari che da dieci mesi combattono costantemente in inferiorità numerica rispetto agli ucraini che hanno da tempo attuato la mobilitazione generale.
Gli aiuti militari statunitense ed europei si sono rivelati indispensabili a consentire agli ucraini di resistere e contrattaccare ma ora i depositi di armi e soprattutto di munizioni sono drammaticamente vuoti presso gli eserciti europei e pesantemente ridotti negli Stati Uniti, come hanno rivelato tre fonti alla CNN.
Una delle quali ha spiegato il 17 novembre che le scorte di alcuni sistemi d’arma “si stanno riducendo” dopo nove mesi di consegne a Kiev, ricordando che esiste “un numero limitato” di armamenti in eccesso che gli Stati Uniti possono inviare senza mettere a rischio i propri arsenali.
Secondo le fonti della CNN le scorte che preoccupano maggiormente sono quelle delle munizioni da artiglieria da 155mm e i missili antiaerei Stinger. Altre fonti sollevano poi preoccupazioni sui tempi di produzione dei sistemi di armi, tra i quali i missili anti-radar Harm, i razzi per i lanciarazzi campali HIMARS e M270 e i missili anti-tank Javelin, per i quali gli Stati uniti hanno accelerato i tempi di produzione.
Se a questi aspetti uniamo l’impatto economico ed energetico del conflitto appare evidente che in molti avrebbero oggi interesse a farlo cessare.
Gli Stati Uniti emergono comunque già oggi come i veri vincitori della guerra, non solo per aver logorato la Russia ma anche per aver concluso l’operazione avviata nel 2014 con il colpo di mano del Maidan che rovesciò il governo ucraino iniziando a scavare un solco tra Russia ed Europa.
Solco che oggi è divenuto un largo fossato scongiurando quindi lo scenario che Washington e Londra hanno sempre temuto: la saldatura tra la più grande potenza economica del mondo (l’Europa) con la più grande potenza energetica del mondo (la Russia). Scenario di fatto anche simbolicamente mandato in frantumi con la distruzione dei gasdotti Nord Stream.
L’Europa è oggi più debole economicamente, decerebrata politicamente e posta di nuovo sotto la tutela dell’ombrello militare e strategico statunitense: un contesto in cui il pesante acquisto di armamenti americani alimentato dal terrore della Russia potrebbe mettere definitivamente fuori gioco ogni velleità europea di sviluppare un’industria della Difesa competitiva e in grado di rivaleggiare con quella a stelle e strisce.
Buone ragioni per fermare la guerra
Oltre ai successi eclatanti già conseguiti, gli Stati Uniti potrebbero avere altre ottime ragioni per guardare positivamente a trattative tra russi e ucraini, anche se comportassero alcune concessioni territoriali a Mosca. Innanzitutto Washington può vantare di aver messo in discussione la stabilità del potere di Vladimir Putin ma non ha interesse a indebolire troppo la Russia per non “darla in pasto” né alla destabilizzazione interna (col rischio che emergano leader ultra-nazionalisti) né alla Cina, che resta il “rivale” numero uno degli USA.
Inoltre, come riferiscono ad Analisi Difesa alcune fonti vicine agli ambienti militari, un ulteriore prolungamento della guerra in Ucraina potrebbe riservare sorprese sgradite e vanificare i successi conseguiti finora dagli Stati Uniti e dalle truppe ucraine.
Il “risveglio” della Russia deve preoccupare, soprattutto se si è studiata la Storia: tra pochi mesi i 300 mila riservisti mobilitati a settembre saranno pronti al combattimento e altri milioni di uomini potrebbero venire richiamati in caso di necessità mentre la percezione di essere in “guerra contro l’Occidente”, già molto radicata (e non senza motivo) a Mosca, potrebbe indurre il Cremlino a passare a un’economia di guerra riversando tutto il peso della Federazione sui fronti ucraini.
Al tempo stesso Kiev è già in ginocchio in termini economici e di distruzione delle infrastrutture mentre nelle prossime settimane potrebbe risultare arduo per USA ed europei continuare a fornire con continuità consistenti aiuti in armi e munizioni alle truppe ucraine.
Inoltre, se milioni di civili ucraini infreddoliti e affamati si riversassero questo inverno in un’Europa già provata da crisi economica ed energetica molti governi oggi schierati “senza se e senza ma” al fianco di Kiev e degli USA potrebbero collassare tenuto conto delle ampie manifestazioni in atto da mesi in molte nazioni.
Anche a Washington sembra emergere la consapevolezza che esiste una finestra di pochi mesi per imbastire un negoziato, come hanno ben compreso i turchi che cercano fin da febbraio di gestire le trattative ritagliando per Ankara quel ruolo da gigante diplomatico nello scacchiere internazionale che avrebbe forse dovuto ricoprire l’Europa, rivelatasi incapace persino di varare misure idonee a contenere il caro-energia.
L’avvio di negoziati potrebbe minacciare la stabilità del regime di Kiev dove Zelensky e il suo governo, dopo saver esso fuorilegge 12 partiti, libertà di stampa e ogni forma di opposizione con l’accusa per tutti i dissidenti di essere filo-russi, avrebbe difficoltà a gestire gli ultra-nazionalisti se accettasse di negoziare con Mosca.
Gli Stati Uniti hanno però in pugno lo strumento degli aiuti militari (ben più estesi delle sole armi e munizioni) ed economici, senza i quali l’Ucraina non solo non potrebbe condurre nuove controffensive ma crollerebbe in pochi giorni, per indurre Zelensky a mutare atteggiamento.
Del resto Washington ha già mostrato in più occasioni quanto siano mutevoli i suoi interessi e come sappia tutelarli in modo spregiudicato, anche abbandonando gli alleati più stretti, dai sudvietnamiti ai curdi, dagli iracheni agli afghani.
Foto: Ukrinform, Intefax Ukraine, Anadolu, Ministero Difesa Russo, TASS, Wschodni Dziennik, Casa Bianca e Ministero Difesa Ucraino
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.