Oltre Mare Nostrum: la proposta di ICSA
Per rendere più efficace l’approccio al problema del soccorso in mare dei migranti è necessario sia coinvolgere l’Europa che agire diversamente sul piano interno, utilizzando formule meno onerose e più adatte al nostro ordinamento. Ne è convinto il Generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, che il 23 ottobre ha presentato lo studio “Immigrati e controllo delle Frontiere: una proposta per la salvaguardia della vita in mare”, elaborato dalla Fondazione romana “ICSA” da lui presieduta. Obiettivo dell’approfondimento è quello di mettere in evidenza la necessità di trovare rimedi efficaci e condivisi all’annoso problema cominciando dal contesto europeo, ove, come ricordato dal generale, è importante “elaborare una proposta politica per gestire in maniera più civile il fenomeno della migrazione mediterranea”.
In tale ambito si presentano vari problemi, soprattutto giuridici e di natura interpretativa, che ostacolano una gestione efficiente della materia ed allo steso tempo un’equa ripartizione tra gli stati membri degli oneri “umanitari”connessi.
L’Europa
Più nello specifico, è stato spiegato, nell’Unione sussiste una sorta di vuoto legislativo sul tema del soccorso in mare che nemmeno la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo del ’56 (e successivi emendamenti) sembrano colmare.
Non sembra esserci, nell’ambito del diritto europeo, “un’idea strutturata su cosa l’Europa dovrebbe fare per tutelare meglio coloro che attraversano il Mediterraneo”. Per contro, in seno alle Nazioni Unite, vi è una “grande proliferazione di norme” in tema di asilo, frontiere e immigrazione, che appaiono chiare e dettagliate. Esse prevedono in particolare che “chiunque abbia notizia di un pericolo in mare debba intervenire”.
Il riferimento è soprattutto alla Convenzione di Amburgo del 1979 (ratificata dall’Italia nell’ ’89), che ha introdotto un nuovo e più completo modo d’interpretare l’attività di ricerca e salvataggio in mare ripensandone la filosofia di base, l’organizzazione e la struttura, nonché individuando i mezzi e il livello di preparazione necessaria del personale.
Il divario tra la legislazione Europea e quella delle Nazioni Unite genera situazioni – e soprattutto modi di agire – assai difformi. Ad esempio nello stesso contesto comunitario coesistono un Paese come il nostro, che ha dimostrato di essere un campione di solidarietà con l’operazione Mare Nostrum (che ha comunque presentato non pochi problemi) e altri stati che manifestano “comportamenti fortemente disallineati”, come spiega Tricarico, con il reagire alle ondate migratorie “voltando le spalle” o addirittura mostrando “una reattività che assume anche caratteristiche violente”.
Il riferimento riguarda alcuni paesi del sud dell’Europa, come Spagna, Grecia e Malta, anch’esse marche marittime e firmatarie degli accordi di Amburgo come l’Italia.
Un’altra “lacuna molto grave” che, secondo l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, “l’Europa deve colmare” riguarda “l’interpretazione del fenomeno migratorio solo intermini di legalità, al fine di per proteggere frontiere, e non come un problema di solidarietà”.
Più nello specifico, la critica del generale si rivolge contro la tendenza a non voler affiancare ai programmi tipo Frontex (che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne dell’UE) e a quelli per i rifugiati politici – il 50% circa dei migranti – altre iniziative che abbiano come fine la salvaguardia dei diritti di sopravvivenza, per così dire, dei migranti che naufragano in mare.
Col risultato, fra l’altro, di dimostrare che l’Europa demerita, sul tema specifico, il Nobel per la Pace che ha ricevuto nel 2012.
Per cambiare l’approccio che l’UE ha nei confronti del problema l’Italia, che è quello al momento più impegnato sulla materia, dovrebbe – secondo il generale – lasciare da parte l’esclusiva e un po’ lamentosa difesa delle proprie ragioni – siamo soli, l’Europa guarda dall’altra parte, i migranti comunque cambiano paese e quindi risultano un problema per tutti – poiché essa risulta “troppo generica” e avrebbe “causato fino a ora solo irritazione, in Europa”.
La carta vincente, a e per Bruxelles, potrebbe essere “un impegno maggiore in ambito ONU” e quindi la strada da seguire dovrebbe essere quella di un “allineamento del diritto europeo agli accordi sottoscritti con le Nazioni Unite”, con un aggiornamento della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo che imponga tassativamente alle nazioni una maggiore solidarietà e preveda sanzioni in caso di inadempienze, come accade in materia di bilancio. Parallelamente, infine, si dovrebbe rivedere l’Accordo di Dublino del 2003, “in base al quale”, spiega il generale, “l’asilo può essere richiesto solo allo Stato d’approdo” anche se quello di destinazione è un altro (“se il migrante arriva in Italia, lì rimane”).
Oltre a superare questa obiettiva iniquità, una ‘Dublino 2’ corrisponderebbe allo stato reale delle cose, dal momento che la maggior parte dei migranti che sbarcano in un paese, il nostro, ad esempio, ha generalmente come meta finale altri.
L’Italia
Per quanto riguarda lo specifico caso italiano, il presidente dell’ICSA ha ricordato che la questione dei migranti è da noi sostanzialmente quella di “rimettere ordine alle nostre istituzioni per la titolarità di questa attività in mare, attraverso la redistribuzione a ciascuno delle proprie competenze, che consentirebbe tra l’altro di ridurre notevolmente l’onere economico delle attività connesse al problema”.
Il che significa che in una situazione in cui Mare Nostrum, nonostante i suoi meriti, è prossimo alla fine bisogna trovare una formula che sia equa, efficiente e nel contempo sostenibile in termini economici.
Il nuovo governo, è stato ricordato, è in procinto di varare un Libro bianco della Difesa, “in cui saranno riportati i compiti di ogni FA, sia quelli primari (militari) che quelle di concorso emergenze o attività”. In tale ambito, il compito di pattugliamento dei mari e soccorso, anche nei confronti del tema di cui stiamo parlando, tornerà alla Guardia Costiera/CCPP.
Tale riallocazione di competenze “può non essere un problema, nella concretezza, perché i mezzi per l’attività rimangono gli stessi”, così come “le forze e l’efficacia, beneficiando semmai di un leggero risparmio, purché ci sia la volontà politica di proseguire con lo stesso grado di impegno”.
Il risparmio a cui il generale allude deriva anche dalla possibilità di selezione dei mezzi navali, optando eventualmente per navi commerciali polivalenti, nettamente meno costose di navi militari, e ponendo così in essere quella che egli definisce “un’economia di gestione”.
Sarebbe poi opportuno considerare l’ipotesi di un più ampio ricorso alla componente aerea, essenziale per le sue capacità di scoperta e di intervento rapido, potenziando in particolare l’utilizzo di droni, sino ad oggi sottoimpiegati per questo specifico compito.
Come sottolineato più volte, tutto questo presuppone il mantenimento di un’invariata volontà politica di gestire al meglio il problema, non lasciando in particolare che l’aspetto “salvaguardia delle frontiere” monopolizzi le strategie marittime del paese a detrimento della “prevalenza della solidarietà” sempre e comunque. Rimanendo in tema di politica, è importante che vi sia anche la “sottrazione di una materia così delicata e impegnativa allo sciacallaggio più bieco e deteriore della politica”, riferendosi alla retorica – definita “vergognosa” – di alcuni gruppi politici (sono stati citati leghisti, 5 Stelle e ‘fascisti’) “uniti sotto la stessa bandiera” per perorare la causa della negazione dell’accoglienza.
Immigrazione e terrorismo
il Generale Tricarico si è soffermato anche sulla problematica rappresentata dal binomio “immigrazione – sicurezza contro il terrorismo”, in considerazione della stretta attualità del tema e anche della casuale coincidenza temporale con i fatti canadesi.
Il rischio, secondo il relatore, non deriva tanto dalla possibile presenza “nei barconi di soggetti votati al radicalismo, bensì dall’infoltimento delle schiere di diseredati sociali che, col tempo, potrebbe far aumentare la massa critica di individui esposti a una possibile radicalizzazione”. Questo fenomeno potrebbe riguardare sia individui isolati (“lone wolf”), che gruppi di persone che si rivoltano “contro la società che li ha accolti la quale non è stata in grado di assicurare loro una qualità di vita adeguata”.
Qual potrebbe essere un metodo efficace per contrastare il pericolo derivante da un simile scenario?
Il generale spiega che allo stato attuale “non esiste un quadro giuridico normativo che tuteli la collettività rispetto a questi pericoli” e “bisognerebbe esaminare questo problema, sia a livello internazionale che con finalità domestiche, e cioè vedere come la società possa esser protetta in situazioni intermedie tra pace e guerra”, anche perché oggi e nel prevedibile futuro questa è la tipologia di conflittualità più diffusa.
Sarebbe in particolare auspicabile superare le discussioni sulla “privacy e la perentorietà di certe norme e chiedersi: quanto saremmo eventualmente disposti a concedere in termini di sicurezza collettiva per risolvere le questioni legate al terrorismo?”.
In altre parole, continua il Capo di Stato Maggiore emerito dell’Aeronautica, “c’è da interrogarsi sull’opportunità di lasciare invariati i diritti soggettivi che ci siamo dati, o se non sia il caso di contemplarne una compressione temporanea con tutti i meccanismi di garanzia sulla temporaneità, sui controlli, sul Parlamento che vigilerà sull’approvazione. In definitiva, quindi bisogna chiedere al cittadino: “quanto siamo disposti a concedere in termini di sicurezza collettiva?”
Foto ICSA e Marina Militare
Caterina TaniVedi tutti gli articoli
Nata a Bruxelles, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Scienze Politiche, indirizzo Relazioni Internazionali, all’Università Roma Tre. Vive e lavora a Roma, dove si è occupata di comunicazione, relazioni internazionali e giornalismo. Ha collaborato con diverse testate e si occupa di geostrategia e storia contemporanea con particolare attenzione ai temi connessi alla Guerra Fredda e al terrorismo.