Il generale Mark Milley e la guerra in Ucraina
Quando il generale Mark Milley si insediò nell’ottobre del 2019 quale presidente del Joint Chiefs of Staff, la più alta carica militare degli Stati Uniti, i commentatori nazionali evidenziarono il compito più difficile che il nuovo consigliere principale del Presidente in materia militare avrebbe dovuto affrontare: mantenere la natura non politica dell’esercito americano e fornire pareri e consigli schietti a un presidente (Trump) che era incline a postare annunci improvvisi su tematiche di competenza del Pentagono esprimendo, tra l’altro, giudizi decisamente poco lusinghieri nei confronti delle forze armate statunitensi.
Ed effettivamente, nel giorno del suo giuramento presso la Joint Base Myer-Henderson Hall in Virginia, Milley rassicurò il suo presidente promettendo di fornirgli consigli militari informati, sinceri e imparziali.
Ironicamente, il nuovo comandante supremo statunitense stava assumendo l’incarico in un contesto di polemiche riguardanti gli aiuti militari all’Ucraina e che avevano innescato un’inchiesta di impeachment presidenziale. Trump era sotto accusa per la registrazione di una telefonata, avvenuta nel luglio di quell’anno con l’appena eletto Zelensky.
In quella circostanza il presidente americano avrebbe minacciato la sospensione del sostegno militare se il presidente ucraino non avesse ordinato un’inchiesta su Joe Biden, ex vicepresidente con Barack Obama e a quel tempo candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca sospettato da Trump di aver illecitamente approfittato del proprio nome nel 2016 per assicurare al figlio, Hunter Biden, un lucrativo incarico nel consiglio d’amministrazione di una controversa azienda petrolifera ucraina.
La schiettezza dei giudizi di Milley e, soprattutto, la sua distanza dalla politica si è fatta notare principalmente nel corso del conflitto tra Russia e Ucraina in occasione di alcuni incontri pubblici dove l’imparzialità delle sue analisi, strettamente militari, ha costantemente ridimensionato le aspettative di vittoria sia da parte delle forze di Mosca ma, cosa abbastanza sorprendente, anche di quelle di Kiev.
Non solo. In netta controtendenza con la posizione ufficiale dell’Amministrazione Biden recentemente ribadita dal portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby (“Non parliamo per il presidente Zelensky, ma noi non sosteniamo un cessate il fuoco in questo momento che favorirebbe Mosca”), Milley ha sempre evidenziato come la mancanza di successi decisivi sul campo di battaglia debba necessariamente portare a una soluzione negoziale del conflitto.
Nel novembre dello scorso anno, intervenendo all’Economic Club di New York, aveva affermato la scarsa probabilità di una vittoria militare dell’Ucraina e che quindi l’inverno avrebbe potuto fornire l’opportunità di avviare i negoziati con la Russia. Apriti cielo! L’entourage di Biden si è subito mobilitato per rassicurare Zelensky e convincerlo che Milley non aveva detto quello che realmente pensava.
Nel gennaio di quest’anno, in occasione di una conferenza stampa tenuta alla base aerea NATO di Ramstein in Germania, Milley ha lanciato un’altra bomba comunicativa: cacciare completamente le forze russe dall’Ucraina nel corso del 2023 sarebbe un compito estremamente impegnativo e molto difficile da portare a termine. La guerra della Russia in Ucraina si concluderà con negoziati piuttosto che sul campo di battaglia.
Il risultato è stato che Zelensky era furioso per le esternazioni e l’Amministrazione Biden nuovamente in damage control su Milley. Alla fine di marzo, in un’intervista a Defence One, ha ribadito il concetto. Nel corso del 2023 una vittoria dell’Ucraina volta a espellere tutte le forze russe dal territorio ucraino è altamente improbabile.
L’ultima esternazione risale a pochi giorni fa, nel contesto di un’intervista pubblicata da Foreign Affairs, autorevole rivista statunitense dedicata alle relazioni internazionali, dove Milley ha fornito una visione aggiornata della situazione militare in Ucraina nel contesto più ampio dell’analisi della politica estera di Washington negli attuali scenari di confronto geopolitici. Anche in questo caso la sostanza non cambia. La possibilità da parte dei due belligeranti di conseguire i rispettivi obiettivi politici per mezzo dello strumento militare rappresenta una sfida ed è molto difficile che ciò possa accadere.
Che il Pentagono fosse sempre stato poco incline a sposare il concetto della guerra a oltranza è noto da tempo e i contenuti della comunicazione strategica di Milley avvalorano questa convinzione. Al momento questi esprimono una visione più “politica” di quella che i politici in carica (non solo negli Stati Uniti) sono in grado attualmente di pronunciare.
La consapevolezza che nelle circostanze e con le capacità attuali lo strumento militare ha raggiunto in Ucraina il proprio limite operativo, che può essere superato solo per mezzo di una escalation insensata, disastrosa e controproducente. Le guerre, dice Milley, prima o poi finiscono, ma come finiscono è la domanda fondamentale da porsi. Concetto, molto “politico” e poco militare ma che perdoniamo al generale Milley perché quando il principale consigliere militare di una potenza globale come gli Stati Uniti d’America parla al proprio presidente, ci si aspetta che quest’ultimo lo ascolti, e con molta attenzione.
In questi giorni Joe Biden sta finalizzando la rosa dei nomi per nominare il prossimo Capo dello stato maggiore congiunto che assumerà l’incarico in autunno. Tenuto conto che la guerra probabilmente non finirà entro i prossimi cinque mesi, avremo modo di capire in quale direzione ci si aspetti che vada il Pentagono. Nel frattempo, continuiamo a fare il tifo per la schietta “militarità” del generale Milley.
Foto US DoD e Washington Post
Maurizio BoniVedi tutti gli articoli
Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell'Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l'Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell'Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa.