Gli obiettivi del “tour” di Zelensky in Europa  

 

(aggiornato alle ore 23,00)

La visita di Volodymyr Zelensky a Roma (e poi a Berlino, Parigi e Londra) non ha avuto molto a che fare con le ipotesi di negoziati di pace o trattative per un cessate il fuoco. Se si esclude la parentesi dell’incontro in Vaticano e il rispetto formale mostrato dal presidente ucraino per il Papa e il suo appello per la fine delle ostilità, la visita di Zelensky ha perseguito gli stessi obiettivi delle altre visite che lo hanno portato nelle ultime settimane in diversi paesi europei.

Innanzitutto quelli politici che consistono nel consolidare i rapporti con i leader delle nazioni aderenti a Ue e NATO e veicolare all’opinione pubblica di queste nazioni i “messaggi-chiave” della propaganda di guerra ucraina.

Compito peraltro facilitato da interviste più simili a lectio magistralis del presidente ucraino, in cui le domande, mai scomode, sono in realtà degli assist per lunghi monologhi a cui nessuno replica o ribatte.

L’obiettivo forse più importante che Zelensky persegue è però di carattere militare. Il presidente ucraino punta a convincere gli alleati occidentali che la guerra può essere vinta dai suoi militari ma per sconfiggere i russi e ricacciarli oltre confine ha bisogno di ulteriori massicci aiuti in armi e munizioni.

Rifornimenti che quasi tutte le forze armate europee non possono più cedere in larga misura se non disarmando le proprie (già sotto dimensionate) forze armate mentre la produzione di nuovi stock di armamenti e munizioni richiederà anni anche per adeguare l’apparato industriale a una “economia di guerra”, termine che in Europa viene utilizzato sempre più spesso.

Zelensky respinge quindi ogni ipotesi di pace, di negoziato o di mediazione che implicherebbero inevitabilmente cessioni territoriali alla Russia, spiegando che la pace sarà la conseguenza della vittoria, concetto peraltro non nuovo nella Storia, anche se non è certo scontato che Kiev possa imporre con le armi la pace della vittoria come erano soliti fare gli imperi romano o britannico.

Fonti ucraine citate sabato dal Financial Times evidenziavano come il prolungamento e rafforzamento del supporto militare occidentale a Kiev dipenda in ampia misura dal successo che la più volte annunciata controffensiva ucraina potrà conseguire nel riconquistare almeno una parte dei territori controllati dai russi.

Con le armi e i mezzi oggi a disposizione ”potremmo attaccare e avremmo successo” ma ”perderemmo molti uomini. Penso che questo sia inaccettabile. Per questo dobbiamo aspettare. Abbiamo bisogno ancora di un po’ di tempo” aveva detto Zelensky nei giorni scorsi.

“Sfortunatamente, il livello di equipaggiamento che abbiamo non è ancora sufficiente per lanciare una controffensiva”, ha dichiarato ieri Igor Zhovkva, vice capo dell’ufficio di presidenza ucraina, in un’intervista a Sky News. “Zelenskiy è andato in giro per l’Europa con l’obiettivo principale di richiedere ulteriori pacchetti di aiuti militari perché vuole che la controffensiva abbia il maggior successo possibile, cioè la liberazione di tutti i territori occupati”.

Pur considerando che ogni dichiarazione potrebbe avere l’obiettivo di ingannare il nemico, il continuo posticipo della controffensiva ucraina sembra innervosire i principali alleati e sponsor di Kiev che le visite di Zelensky hanno anche lo scopo di tranquillizzare.

Se gli europei hanno esaurito o quasi gli aiuti militari che possono offrire, gli Stati Uniti inizieranno in autunno un’ aspra campagna elettorale in cui Trump ha già fatto sapere cosa pensa della guerra in Ucraina (la concluderebbe in 24 ore) e l’amministrazione Biden avrà sempre più difficoltà a giustificare gli aiuti a Kiev in un contesto sociale ed economico statunitense non certo roseo e con il rischio di un confronto militare con la Russia che non porta voti.

Anche i limitati contrattacchi ucraini degli ultimi giorni a Bakhmut, Soledar e in altre aree del fronte nella regione di Donetsk, sviluppatesi forse non a caso nei giorni del ”tour” di Zelensky in Europa, sembrano essere soprattutto funzionali a dimostrare agli alleati che Kiev ha ripreso l’iniziativa militare che dal gennaio scorso era saldamente in mano russa. Dalle notizie che emergono dalla prima linea, in una settimana gli ucraini avrebbero riconquistato una trentina di chilometri quadrati di territorio costringendo i russi ad arretrare le proprie linee di uno o due chilometri in alcuni settori del fronte.

Successi tattici, marginali, che non sembrano per ora in grado di rovesciare le sorti della guerra e neppure della battaglia di Bakhmut dove i contractors della Wagner e i paracadutisti russi (presto affiancati a quanto sembra dai combattenti ceceni della Forza speciale Akhmat) continuano a guadagnare terreno negli ultimi due quartieri occidentali ancora in mano agli ucraini.

Il contrattacco nel Donbass, pagato con gravi perdite secondo i russi, potrebbe costituire l’anticipo della grande controffensiva di Kiev oppure puntare solo a impegnare le forze russe nella regione di Donetsk obbligandole a richiamare rinforzi in questo settore del fronte e a sguarnirne altri.

I russi sembrano infatti ritenere probabile che un attacco ucraino su vasta scala possa prendere il via nella regione di Zaporizhia, abbinato ai tentativi delle forze di Kiev di sbarcare sulle isole del Dnepr nella regione di Kherson, per puntare a raggiungere la Crimea.

Anche se in Occidente i media non ne parlano, Mosca continua a colpire i depositi logistici nemici dove vengono concentrate armi e munizioni giunte dall’Occidente nelle retrovie del fronte ma anche in profondità, come a Khmelnytsky, nell’Ucraina centro-occidentale, dove sarebbero stati distrutti nei pressi dello scalo ferroviario un deposito di munizioni e uno stabilimento industriale militare determinando una serie di esplosioni secondarie talmente potenti da provocare rilevamenti tellurici secondo fonti russe.

In una settimana anche nelle due stazioni ferroviarie di Pavlovgrad, a Kramatorsk, Nikolayev, Odessa oltre che a Ternopol e Petropavlovka sono stati centrati da missili e droni alcuni grandi depositi di munizioni e armi (forse anche gli stock di proiettili da 120 mm all’uranio impoverito forniti da Londra per i tank Challenger 2) con l’obiettivo di indebolire le capacità degli ucraini di sostenere azioni offensive.

Nelle ultime ore altri attacchi missilistici hanno colpiti depositi e magazzini nelle aree di Sloviansk, Kramatorsk, Kharkov, Kostyantynivka, Zaporozhia e Nikolaev mentre nella serata di oggi diversi depositi di armi e munizioni sarebbero stati distrutti da bombardamenti missilistici russi nei pressi di Odessa.

Gli ucraini hanno risposto abbattendo con sistemi antiaerei non meglio specificati due aerei da combattimento (un Su-35 e un Su-34) e due elicotteri Mi-8 nella regione russa di Bryansk confinante con l’Ucraina.  Nelle prossime settimane sarà forse più chiaro quali ambizioni militari gli ucraini siano in grado di alimentare e se i russi siano in condizioni o meno di contrastare con efficacia o forse anche di anticipare l’eventuale controffensiva ucraina.

Nel frattempo, nella guerra combattuta con le armi letali e con quelle della propaganda, anche i nuovi missili impiegati in questo conflitto stanno avendo un grande risalto.

Dopo le notizie di fonte ucraine che avevano annunciato l’abbattimento di un missile ipersonico russo Kinzhal ad opera di un Patriot PAC 3 statunitense, non confermato da prove concrete e reso dubbio dall’esibizione da parte ucraina di un relitto appartenente in realtà a una bomba guidata russa (nella foto sopra), Mosca ha annunciato ieri di aver distrutto con un Kinzhal uno o più lanciatori di Patriot dislocati intorno a Kiev.

L’Ucraina ha annunciato di aver abbattuto tutti i 18 missili russi lanciati intorno a Kiev (inclusi 6 Kinzhal) ma il ministero della Difesa russo ha reso noto di avere impiegato solo due ipersonici che negando siano stati intercettati e che avrebbero colpito il bersaglio, a quanto sembra dopo che missili-esca (probabilmente vecchi Kh-22) avevano determinato il lancio di molti missili dalle batterie di difesa aerea di Patriot e NASAMS.

Ieri sera una fonte ufficiale statunitense citata dalla CNN ha confermato il potenziale danneggiamento di un sistema Patriot precisando che si stanno valutando i danni per verificare se sia possibile o meno ripararlo sul posto.

Successivamente due funzionari statunitensi hanno confermato all’agenzia Reuters che un sistema di difesa missilistico Patriot utilizzato dall’Ucraina probabilmente ha subito alcuni danni a causa di un attacco russo, aggiungendo che non sembra essere stato distrutto e che non appare necessario che il sistema venga rimosso dall’Ucraina.

In attesa dell’impiego anche della batteria da difesa aerea italo-francese di SAMP/T che secondo fonti di stampa disporrà di soli 32 missili (ma la lista delle armi italiane all’Ucraina non doveva restare segreta?), anche i missili da crociera Storm Shadow forniti recentemente da Londra (e che saranno presto affiancati dagli SCALP promessi da Parigi) sono stati impiegati per colpire obiettivi russi a Lugansk.

Ieri il ministero della Difesa russo ha reso noto di averne abbattuti 7 insieme ad altrettanti razzi lanciati dagli HIMARS e 3 missili anti-radar HARM. Numeri che nessuna fonte neutrale è in grado di confermare o smentire.

 

@GianandreaGaian

Foto: Presidenza della Repubblica, Ministero Difesa Ucraino. CNN, RVvoenkory e Telegram

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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