La Germania raddoppia gli aiuti all’Ucraina accusata di aver distrutto i gasdotti Nord Stream
Nel giorno in cui Berlino ha annunciato il raddoppio degli aiuti militari a Kiev nel 2024, Washington Post e Der Spiegel hanno rivelato un’inchiesta congiunta, citando anonimi funzionari informati del dossier, che a coordinare l’attacco dinamitardo subacqueo nel Mar Baltico ai gasdotti Nord Stream esplosi il 26 settembre 2022 sarebbe stato un alto ufficiale delle forze speciali ucraine che aveva operato sia nei ranghi dell’intelligence militare che in quelli dei servizi di sicurezza interna (SBU).
Secondo la ricostruzione, l’ufficiale dipendeva direttamente al generale Viktor Hanushchak che rispondeva al capo di stato maggiore della Difesa ucraina, il generale Valery Zaluzhny.
Il pluridecorato colonnello Roman Chervinsky, 48 anni, avrebbe gestito la logistica e il supporto ai sei attentatori ucraini che, affittando una barca a vela e utilizzando false identità attrezzature per sub, avrebbe minato il gasdotto a oltre 60 metri di profondità provocando un’esplosione che ha lasciato intatto solo uno dei quattro collegamenti energetici subacquei.
Finora le inchieste tedesche e dei media statunitensi avevano riferito della responsabilità di sabotatori ucraini senza tirare in ballo la supervisione o gli ordini dei vertici politici o militari di Kiev. Altre inchieste giornalistiche, come quella di Seymour Hersh (basata su fonti che hanno chiesto l’anonimato come tutte le altre e quindi ugualmente attendibili) hanno incolpato gli Stati Uniti e alcuni loro alleati nella regione baltica per quell’attentato che ha senza dubbio costituito il più grave attacco strategico contro la Germania dopo il 1945 e contro la sicurezza energetica dell’intera Europa.
L’articolo sottolinea come l’azione abbia provocato proteste da parte degli Stati Uniti poiché, scrive il WP, Kiev “ha lanciato numerose operazioni segrete e spregiudicate contro le forze russe, ma l’attacco al Nord Stream ha preso di mira un’infrastruttura civile realizzata per fornire energia a milioni di persone in Europa”.
In realtà sia il presidente Joe Biden sia il sottosegretario Victoria Nuland avevano precedentemente dichiarato che il Nord Stream avrebbe cessato di esistere in caso di attacco russo all’Ucraina e negli Stati Uniti era stato nominato addirittura un sottosegretario per contrastare sul piano politico e diplomatico la realizzazione del Nord Stream 2.
Come dimenticare poi il tweet (successivamente cancellato dall’autore) dell’ex ministro degli Esteri polacco Radek Sikorsky, uno dei politici europei più legati a Washington, che ringraziava gli USA per l’esplosione dei gasdotti, avvenuta guarda caso lo stesso giorno in cui in Polonia si inaugurava un nuovo gasdotto che veicolava gas norvegese?
O il messaggio “E’ fatto” che, secondo fonti ricondotte da Londra alla disinformazione russa, l’allora premier britannico Liz Truss avrebbe inviato al segretario di Stato americano Anthony Blinken poche ore dopo l’esplosione dal suo telefono che sarebbe stato “hackerato” dai russi.
Episodio mai chiarito del tutto che lascia aperto qualche dubbio circa il possibile ruolo britannico nell’attacco ai Nord Stream anche perché la parabola politica di Liz Truss si è conclusa poco dopo stabilendo il record della più breve permanenza al numero 10 di Downing Street della storia britannica (dal 6 settembre al 25 ottobre 2022) a cui si sono aggiunte pure le dimissioni da leader del Partito Conservatore.
In risposta alle ultime inchieste giornalistiche, il colonnello Chervinsky ha negato ogni coinvolgimento nel sabotaggio attraverso i propri avvocati. “Ogni speculazione circa il mio coinvolgimento nell’attacco al Nord Stream è diffusa dalla propaganda russa senza alcun fondamento”, recita una dichiarazione scritta a WP e Der Spiegel, che però non sembrano essere organi della disinformazione russa né esponenti di spicco del “putinismo”.
Se ricostruire fatti e responsabilità per quell’attacco dinamitardo di portata strategica avvenuto 14 mesi or sono resta difficile, appare però evidente che indiscrezioni e rivelazioni si prestano ad avere una diretta influenza sulle vicende dei nostri giorni, almeno in Ucraina.
Difficile non notare che tirare in ballo il generale Zaluzhny come mandante di quell’attacco agli interessi tedeschi ed europei senza neppure ipotizzare che il capo di stato maggiore della Difesa ucraino avesse avuto il via libera dal comandante supremo delle forze armate, cioè il presidente Volodymyr Zelensky, assume oggi un preciso significato politico.
Zaluzhny gode di un ampio consenso tra i militari e la popolazione e, anche se il generale ha sempre negato di voler scendere nell’agone politico, molti a Kiev e altrove ritengono che Zelensky ne tema la concorrenza: argomento non secondario se teniamo conto che il paladino della democrazia ucraina che l’Occidente si è impegnato a difendere e sostenere, dopo aver messo fuori legge tutte le opposizioni ha deciso pochi giorni or sono di rinviare a dopo la guerra le elezioni perché oggi è tempo di combattere e il voto dividerebbe la nazione invece di unirla.
Non è un caso neppure che da mesi si registrino voci e indiscrezioni sulla diversa visione delle operazioni militari tra il generale e il presidente. Il primo avrebbe voluto ritirarsi da Bakhmut un anno or sono evitando di sacrificare in una battaglia perduta decine di migliaia di militari e tante armi e munizioni necessari ad alimentare la controffensiva, poi scatenata nel giugno scorso, mentre Zelensky temeva che il ritiro dalla città simbolo di questa guerra avrebbe ridotto la fiducia dell’Occidente nella vittoria dell’Ucraina.
Le stesse valutazioni e la stessa contrapposizione sembrano oggi riguardare la battaglia di Avdiivka e l’intera situazione lungo il fronte in cui le truppe ucraine, indebolite da oltre 5 mesi di attacchi sanguinosi e inconcludenti, rischiano oggi di venire travolte in caso di pesante offensiva dei russi (che stanno guadagnando terreno su tutti i fronti) e verrebbero meglio salvaguardate ritirandosi su posizioni difensive più vantaggiose.
Mentre Zelensky continua ad affermare pubblicamente che le forze ucraine continueranno la controffensiva per tutto l’inverno, Zaluzhny ha messo nero su bianco valutazioni opposte in un’intervista all’Economist in cui parla di “vicolo cieco” in cui si trova il conflitto dopo il fallimento della controffensiva: un conflitto paragonato alla Prima Guerra Mondiale da Zaluzhny che ammette diversi errori nella pianificazione e nella conduzione delle operazioni.
“È importante capire che questa guerra non può essere vinta con le armi della generazione passata e con metodi obsoleti”, insiste. “Porteranno inevitabilmente a ritardi e, quindi, alla sconfitta. Il rischio più grande è che la guerra duri per anni e logori lo Stato ucraino”, sottolinea. A differenza della Russia, l’Ucraina non ha una riserva umana quasi illimitata. Se il salto tecnologico non avviene rapidamente, “prima o poi ci renderemo conto che semplicemente non abbiamo abbastanza persone per combattere”.
Un tema delicato quest’ultimo, anche sul piano politico, considerato che per coprire le enormi perdite subite Kiev sta arruolando a forza persino nelle strade e ha chiesto alle nazioni europee che ospitano profughi di rimandare in Ucraina i giovani divenuti nel frattempo maggiorenni o i maschi in età di arruolamento che erano riusciti a espatriare all’inizio della guerra contro la Russia. A quanto riferiscono fonti russe basate sui prigionieri catturati e sulle informazioni da loro fornite l’età media dei soldati ucraini in prima linea oggi sarebbe di 43 anni.
Il confronto tra Zelensky e Zaluzhny non è quindi relegato ai temi bellici ma investe direttamente la politica. Affermare che l’Ucraina non può vincere significa aprire a un negoziato con Mosca che imporrà perdite territoriali e che Zelensky ha sempre rifiutato. Lo strano incidente domestico (una bomba a mano esplosa per un errore di manipolazione in casa) che ha ucciso il maggiore Gennady Chastyakov, uno dei più stretti collaboratori di Zaluzhny, oltre alla recente rimozione di molti ufficiali incluso il comandante delle forze speciali da parte del presidente sembrano avere il chiaro intento di indebolire il generale.
Intenti che troverebbero conferma anche dalle notizie diffuse ieri da alcuni media ucraini circa la volontà del ministro della Difesa Rustem Umjerov, fedelissimo del presidente, di epurare altri alti ufficiali vicini a Zaluzhny.
Può non essere casuale che l’inchiesta sull’attacco ai Nord Stream che tira in ballo Zaluzhny abbia determinato l’11 novembre una dichiarazione del generale più allineata con quella di Zelensky, in cui afferma che i soldati ucraini “continuano a battersi per difendere la nostra terra con determinazione. Sono convinto che, insieme, vinceremo”.
Resta invece paradossale che la Germania, che non ha mai reagito con vigore all’attacco ai gasdotti, abbia annunciato il raddoppio degli aiuti alle forze di Kiev nel giorno in cui il loro comandante veniva accusato (anche da un giornale tedesco) di aver minato l’infrastruttura più importante per la sopravvivenza energetica ed economica della Germania.
Il governo tedesco si è infatti impegnato a portare da 4 a 8 miliardi di euro gli aiuti militari all’Ucraina per il 2024 in cui secondo il ministro della Difesa, Boris Pistorius, la quota di PIL tedesco destinata alle spese per la Difesa salirà al 2,1 per cento.
Impossibile non notare che, scartata ormai l’ipotesi che i gasdotti li abbiano fatti esplodere i russi (peraltro sostenuta ad alta voce dopo l’esplosione da politici e opinionisti anche in Italia e chi non si allineava era un “putiniano”), tutti i presunti colpevoli (ucraini, polacchi, britannici e statunitensi) sono alleati della Germania.
Qualche riflessione dovrebbe quindi imporsi a Berlino come in tutta Europa dal momento che il sabotaggio dei Nord Stream è un atto terroristico di portata strategica che ha avuto l’evidente obiettivo di rendere irreversibile la rottura dei rapporti energetici tra UE e Russia. Se lo hanno compiuto e voluto nazioni che fanno parte di UE e NATO possiamo ancora definirle alleati ?
Se invece l’attacco è stato pianificato ed effettuato in Ucraina come possiamo continuare a sostenerne lo sforzo bellico, il governo e l’economia spendendo molte decine di miliardi all’anno per giunta con l’obiettivo di farla entrare nella UE e nella NATO? Se questi sono gli amici e alleati chi ha bisogno di nemici?
A proposito di Unione Europea, l’Alto responsabile per la politica estera Josep Borrell non ha nascosto la delusione per il fallimento della controffensiva ma ha detto l’11 novembre che la Ue deve prepararsi a fare di più per Kiev. “Abbiamo molti problemi. L’Europa si trova ad affrontare una doppia sfida. La prima è l’Ucraina, dove non c’è alcuna prospettiva di sconfiggere la Russia nel prossimo futuro”, ha detto Borrell, parlando al congresso del Partito dei Socialisti Europei a Malaga.
La seconda sfida, ha continuato, è la situazione in Medio Oriente, risultato del “fallimento politico e morale della comunità internazionale”. Per quanto riguarda gli aiuti a Kiev, Borrell ha avvertito che gli europei devono tenersi “pronti politicamente e materialmente ad aiutare l’Ucraina” e, anzi, a compensare i tagli alle forniture da parte degli Stati Uniti, “dato che il sostegno degli Stati Uniti probabilmente diminuirà”. Un chiaro riferimento ai maggiori impegni militari statunitensi in Medio Oriente e in supporto allo sforzo bellico israeliano.
Affrontando la questione con i piedi per terra però, appare sempre più chiaro che l’Europa già fatica a tenere il passo degli aiuti militari a Kiev come partner degli Stati Uniti, figuriamoci se dovesse sostituirne l’impegno. Basti pensare che finora dalla Ue sono state inviate in Ucraina appena 300 mila proiettili d’artiglieria, il 30 per cento del milione previsto nell’ambito del piano europeo per la consegna di munizioni a Kiev. Un alto funzionario ha riferito che è ancora presto per sapere se gli altri 700 mila proiettili verranno consegnati entro il periodo previsto, cioè fine marzo 2024. Tra quattro mesi e mezzo.
Foto: Ministero Difesa Ucraino, Ministero Difesa Svedese, Ministero Difesa Danese e Commissione Ue
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.