Striscia di Gaza: Israele amplia le operazioni a nord e le allarga al sud

 

Giovedì 16 novembre, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno annunciato di aver individuato l’ingresso di un tunnel e un deposito di armi all’interno del complesso ospedaliero di Shifa, quartiere Rimal, a nord di Gaza City: individuati anche materiali per le comunicazioni e un mezzo carico di armi simili a quelle usate negli attacchi del 7 ottobre.

L’annuncio, diramato dal portavoce militare delle IDF, contrammiraglio Daniel Hagari, è arrivato a 48 ore dal raid lanciato sul più grande ospedale dirla Striscia di Gaza, covo, secondo l’esercito israeliano, di una vasta rete di uffici ed accessi a centri operativi e centri di comando di Hamas. Le IDF hanno anche diffuso le immagini che mostrano le armi e gli esplosivi scoperti nell’ospedale Al-Quds, struttura sanitaria gestita dalla Palestine Red Crescent Society nel quartiere di Tel al-Hawa, e i risultati delle recenti scansioni grazie ai quali secondo Israele è possibile provare l’esistenza di significative infrastrutture sotterranee costruite sotto gli ospedali di Gaza.

A breve distanza dall’entrata posteriore dell’ospedale pediatrico Rantisi è stata scoperta l’imboccatura segreta di un tunnel, sito probabilmente usato per nascondere eventuali ostaggi o prigionieri. Scavato alla base dell’edificio, il tunnel era illuminato grazie alla corrente elettrica dell’ospedale e secondo le IDF era utilizzato come armeria, prova ne sarebbe il ritrovamento di esplosivi, corpetti, bombe a mano e RPG. Rinvenuta anche una motocicletta usata da Hamas nell’incursione in territorio israeliano de 7 ottobre.

Durate la notte del 16 novembre, dopo uno scontro a fuoco con una cellula di Hamas, i parà delle IDF hanno localizzato un altro deposito di armi ed esplosivi nel nord della Striscia di Gaza: all’interno del sito sono stati trovati trovato giubbotti suicidi, ordigni esplosivi, giochi di ruolo, missili anticarro e documenti di intelligence.

A Gaza City, un caccia israeliano ha colpito l’ennesima casa del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh; secondo l’esercito, l’abitazione era stata “utilizzata come infrastruttura militare e, tra le altre cose, come luogo di incontro per alti funzionari dell’organizzazione.

Hamas aveva precedentemente affermato che le IDF avevano già colpito altre due case appartenenti a Haniyeh, ma questo è il primo attacco confermato dagli israeliani. Le IDF non hanno ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale, ma nella Striscia, sarebbero stati, inoltre, arrestati diversi parenti di Haniyeh, anche se non ufficialmente associati ad Hamas.

Secondo le notizie pubblicate dal canale televisivo israeliano i24NEW, si tratterebbe del nipote, Abed Al Mueti Haniyeh, arrestato all’ospedale di Shifa, e del genero Holud, preso in custodia dalle forze di polizia mentre cercava di raggiungere il sud della Striscia. Diffusa anche la notizia della morte di Ahmed Bahar, membro anziano dell’ufficio politico che in seno ad Hamas ha ricoperto incarichi di alto rilievo. Ex capo del Consiglio della Shura ed ex vicepresidente del Parlamento palestinese, Bahar è morto a causa delle ferite riportate in un precedente attacco delle IDF.

Durante una visita al comando della 36a divisione, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha affermato che l’esercito è passato oramai alla fase successiva: “l’operazione continua e viene condotta in modo preciso, selettivo, ma molto, molto determinato”. Gallant ha aggiunto che le IDF hanno completato la conquista della parte occidentale di Gaza City e hanno ripulito l’area da qualsiasi agente e risorsa di Hamas. Mercoledì erano state presentate prove rinvenute dall’unità d’élite Shaldag all’interno dell’ospedale Shifa, comprese armi trovate nel dipartimento di risonanza magnetica, che “provano inequivocabilmente” come la struttura sia stata utilizzata per scopi terroristici, in “completa violazione del diritto internazionale”.

A rafforzare le accuse è anche intervenuto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che in relazione alle operazioni in atto ha ribadito la posizione statunitense, e cioè che le prove scoperte dall’intelligence USA confermano come lo Shifa sia stato utilizzato da Hamas e altri gruppi terroristici da nodo di comando e controllo, in linea quindi con quanto affermato da Israele.

Le fonti di Hamas riferivano già il 12 novembre di aver ucciso dall’inizio della guerra 361 militari e 162 veicoli (inclusi mezzi corazzati) israeliani.

 

Diritto e guerra negli ospedali

Fermo restando che, secondo quanto dichiarato delle IDF, l’azione israeliana all’interno delle strutture sanitarie viene svolta in modo “discreto, scrupoloso e paziente”, il raid militare sull’ospedale Shifa ha, comunque, attirato la condanna delle Nazioni Unite, della Giordania e dell’Autorità Nazionale Palestinese.

L’operazione, definita una violazione del diritto internazionale, rientra però in quanto previsto dalle norme stabilite dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, che in materia di ospedali civili contengono un’articolata disciplina, così come per i due Protocolli aggiuntivi del 1977 e per la corrispondente norma consuetudinaria, ricostruita dal Comitato internazionale della Crociera Rossa (CICR) nei volumi sul diritto internazionale umanitario pubblicati nel 2005. In breve, in caso di conflitto l’ospedale, sia esso militare o civile, diventa un bene specialmente protetto, un bene che gode di una speciale protezione che il diritto internazionale attribuisce a garanzia rafforzata rispetto ad altri beni civili quali scuole o abitazioni.

Qualora i beni civili soddisfino i requisiti previsti nella norma contenuta nell’art. 52, par. 2, del I Protocollo aggiuntivo del 1977, nonché nella norma consuetudinaria di uguale contenuto, possono però diventare obiettivi militari. In pratica, “gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari.

Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all’azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso”. I beni civili soggetti a protezione speciale, quali gli ospedali, perdono, quindi, l’immunità dall’attacco in violazione delle norme più restrittive che li tutela. Perciò, devono essere rispettate e protette in qualsiasi circostanza le solo unità mediche che operano esclusivamente per scopi e finalità mediche, fermo restando che i ricoverati, la popolazione e il personale civile che opera negli ospedali deve godere della protezione generale contro i pericoli derivanti da operazioni militari, come previsto dalle regole del diritto internazionale.

 

La battaglia dei tunnel continua

Le IDF hanno reso noto che nei giorni scorsi l’esercito ha effettuato due importanti attacchi aerei sulle infrastrutture sotterranee di Hamas. In una di queste si nascondevano alcuni alti comandanti delle milizie, Ahmed Ghandour, capo di una brigata nel nord di Gaza, e Ayman Siam, capo dei reparti responsabili del lancio dei razzi contro Israele. In un altro sito sotterraneo si nascondevano, invece, membri anziani del politburo di Hamas, tra cui Rawhi Mushtaha, Essam al-Dalis e Sameh al-Siraj.

Il 16 novembre le IDF hanno affermato che le unità del commando navale Shayetet 13, sostenute dal fuoco di copertura dei tank e dei reparti del genio da combattimento, hanno preso il controllo della principale area portuale di Gaza: è stato scoperto e distrutto l’accesso a 10 di tunnel, eliminati dieci terroristi e sgomberato e preso il controllo di quattro edifici utilizzati da Hamas. In precedenza, un’unità di ricognizione della Brigata Nahal entrata nel campo al-Shati aveva trovato e distrutto armi ed equipaggiamenti appartenenti alle forze navali di Hamas.

Il deposito di armi comprendeva attrezzatura subacquea, armi da fuoco e ordigni esplosivi. Il 17 novembre i soldati della Brigata Bislah hanno localizzato dozzine di bombe da mortaio nascoste da Hamas all’interno di un asilo nel nord della Striscia di Gaza, e una pattuglia Golani ha fatto irruzione nella scuola elementare Al-Karmel, rinvenendo anche qui armi nascoste dai terroristi.

 

Bombardata Khan Younis

Infine, nella notte tra venerdì e sabato i caccia israeliani hanno bombardato un quartiere residenziale di Khan Yunis, la più grande città del sud della Striscia di Gaza. La notizia, diffusa dal canale televisivo Al Jazeera Arabic, è stata confermata dall’agenzia di stampa palestinese Wafa che parla di almeno 26 morti, la maggior parte delle quali sarebbero bambini.

L’attacco arriva a due giorni dal lancio di volantini sui alcuni quartieri di Khan Yunis: Khuzaa, Abassan, Bani Suhaila e Al Qarara, nella parte orientale della città. Il messaggio invitava i residenti ad evacuare l’area per la concreta possibilità che le IDF potessero a breve intensificare le operazioni nel quadrante meridionale della Striscia.

Le IDF stanno inoltre “espandendo l’offensiva nella parte nord della Striscia” ha detto ieri pomeriggio il portavoce militare, riferendosi alle aree di Zaitun e Jabalya. Per quanto riguarda quest’ultima, il portavoce ha ricordato che nella zona “ci sono il comando e il centro di controllo della Brigata nord di Gaza di Hamas.

E dove c’è una delle più significative roccaforti del terrore con quattro battaglioni operativi di Hamas”. A Jabalya – ha proseguito – i soldati “hanno affrontato terroristi che operano intenzionalmente da aree civili e hanno tentato di attaccare le truppe utilizzando missili anticarro e ordigni esplosivi”. “Durante gli scontri – ha spiegato – sono stati uccisi numerosi terroristi e le truppe hanno colpito un gran numero di infrastrutture terroristiche, comprese infrastrutture sotterranee e obiettivi importanti dell’organizzazione terroristica.  Parallelamente altre truppe stanno operando alla periferia di Zaytun, tra cui Sheikh Ijlin e Rimal, liberando le aree dai terroristi e colpendo le infrastrutture terroristiche”.

 

Il fronte diplomatico

Gli intensi negoziati in Qatar, coordinati dagli Stati Uniti e a cui prendono parte molti soggetti regionali, compresi i paesi i cui cittadini sono stati rapiti, iniziano a dare i primi frutti. Ci sarebbe, infatti, un accordo imminente sugli ostaggi israeliani di Hamas. Lo riferisce il canale televisivo saudita Al-Arabiya che, citando fonti vicine ai negoziatori, precisa che parte dell’accordo prevede l’ingresso limitato di carburante nella Striscia di Gaza, un’operazione approvata all’unanimità dal Gabinetto di Guerra israeliano che verrebbe svolta per scopi umanitari sotto la supervisione delle Nazioni Unite.

La concessione di carburante, caldeggiata dagli Stati Uniti, è intesa, tra le altre cose, a sostenere in minima parte i sistemi idrici, fognari e igienico-sanitari, un’azione necessaria a prevenire lo scoppio di epidemie che potrebbero diffondersi in tutta la zona.  Secondo quanto pubblicato dall’agenzia di stampa Reuters, un funzionario informato sui negoziati avrebbe riferito che in relazione all’accordo, Hamas sarebbe disposto, in linea generale, a rilasciare 50 ostaggi civili, ma che Israele starebbe ancora negoziando per ottenere condizioni più significative.

Il rapporto Reuters ha anche rivelato alcune delle condizioni, come un cessate il fuoco di tre giorni e il rilascio di un numero non specificato di donne e giovani palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, nonché un aumento degli aiuti umanitari a Gaza. Inoltre, Hamas consegnerebbe un elenco completo degli ostaggi civili ancora in vita.

Gli Stati Uniti e gli alleati europei stanno spingendo un piano per il dispiegamento di una forza internazionale di peacekeeping a Gaza dopo la guerra secondo quanto riportato il 16 novembre dall’agenzia Bloomberg citando alcune fonti, secondo le quali pur essendoci dubbi sul piano e riconoscendo che Israele sarebbe scettico, gli Usa e l’Ue ritengono che anche solo discutere l’idea possa spingere Israele a pensare di mettere fine alla sua campagna e considerare cosa potrebbe esserci dopo. Le discussioni al riguardo, centrate intorno al consiglio di sicurezza dell’Onu, restano preliminari e rispondono in parte alle crescenti richieste di cessate il fuoco.

Nella serata del 18 novembre il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che l’Autorità Palestinese nella sua forma attuale ”non è idonea’ a governare Gaza. il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas si rifiuta ancora di condannare i massacri del 7 ottobre, mentre alcuni dei suoi ministri festeggiano quello che è successo”.

 

Il fronte della Cisgiordania

In Cisgiordania cresce il numero di scontri a fuoco che vede coinvolte le cellule palestinesi pro Hamas e le forze di polizia israeliane. La notte del 16 novembre durante un’operazione nel campo profughi di Jenin, i militari della brigata Kfir sono stati attaccati da un gruppo di uomini armati appartenenti a cellule terroristiche locali. L’operazione, volta a scoprire l’esistenza di ordigni esplosivi, si è conclusa con l’uccisione di cinque palestinesi e l’arresto di altri sette, fermati dalla polizia di frontiera mentre cercavano di nascondersi all’Ibn Sina Hospital di Jenin.

Sequestrate le armi leggere e i fucili d’assalto utilizzati durante l’attacco. Sempre giovedì, una cellula terroristica legata ad Hamas ha aperto il fuoco contro un posto di blocco sito all’ingresso di un tunnel a sud di Gerusalemme: feriti cinque poliziotti, di cui uno in gravi condizioni, e un soldato israeliano.

I militari che presidiavano il checkpoint hanno risposto al fuoco uccidendo i tre componenti il commando. Fonti della sicurezza hanno riferito che i miliziani erano molto ben equipaggiati e che si sarebbe trattato di un attacco pianificato, probabilmente diretto da agenti di alto livello. Secondo quanto pubblicato dalla stampa israeliana, la polizia sarebbe convinta che la cellula stava pianificando un attacco su larga scala e che l’obiettivo era quasi certamente all’interno delle mura di Gerusalemme.

Nell’auto utilizzata dai miliziani sono stati rinvenuti due fucili M-16, due pistole, centinaia di munizioni, dieci caricatori, due accette e abiti che ricordavano le uniformi delle IDF.

Nella notte del 17 novembre 5 palestinesi sono stati uccisi nel campo profughi di Balata, a pochi chilometri da Nablus, in Cisgiordania. Rapporti palestinesi affermano che si è trattato di un attacco portato da droni israeliani contro il quartier generale di Fatah a Balata. Secondo quanto pubblicato dal quotidiano Haaretz, quattro delle persone uccise erano affiliate alla Brigata dei Martiri di Al-Aqsa. Ynet riferisce che una delle vittime sarebbe il responsabile della morte di un israeliano ucciso il 2 novembre scorso mentre transitava in una auto lungo la Route 557, nei pressi di Bayt Lid, a nord-ovest di Nablus, episodio che tra l’altro aveva scatenato la rabbia dei coloni e aveva dato inizio ad una serie di aggressioni ed attacchi a scopo di vendetta.

Dallo scorso 7 ottobre, le IDF hanno arrestato in Cisgiordania 1.750 palestinesi, 1.050 dei quali risultano affiliati ad Hamas. Il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese ha reso noto che nello stesso periodo i militari e i coloni israeliani hanno ucciso circa 200 palestinesi, tutti residenti in Cisgiordania.

Fonti palestinesi continuano del resto a registrare azioni aggressive di milizie di coloni che vestono uniformi simili a quelle dell’esercito israeliano e secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani, Yesh Din, dall’inizio della guerra tra Hamas-Israele i coloni della West-Bank hanno aggredito i palestinesi in oltre 84 città e villaggi per un totale di 185 attacchi.

 

Il Fronte libanese

In Libano cresce il malumore contro il movimento Hezbollah per il suo coinvolgimento nella guerra Hamas-Israele che continua a colpire lo Stato ebraico e rivendica la responsabilità di almeno 10 attacchi missilistici contro l’Alta Galilea. L’organizzazione, guidata da Hassan Nasrallah, ha anche reclamato la paternità del missile anticarro lanciato giovedì verso l’aeroporto pendici del Monte Dov e del missile che ha colpito un’area prospiciente le comunità di Malkia e Menara, attacco che ha causato il ferimento di quattro israeliani. Prese di mira anche le comunità settentrionali di Adamit e Arab al-Aramshe, oggetto frequente del lancio di diversi colpi di mortaio che sono caduti finora in aree agricole non densamente abitate.

In risposta, gli aerei da combattimento e l’artiglieria israeliani continuano a colpire i siti e gli arsenali militari di Hezbollah in Libano e le postazioni delle milizie filo-iraniane in Siria. Durante la settimana le IDF hanno, inoltre, abbattuto un drone carico di esplosivi mentre sorvolava la città israeliana di Metulla e hanno eliminato una cellula terroristica che stava preparando un attacco vicino al villaggio settentrionale di Arab al-Aramshe. Attaccato anche un deposito di armi Hezbollah in Siria, nei pressi di Damasco.

La mattina del 18 novembre le IDF hanno confermato il lancio di 25 razzi dal Libano verso le comunità settentrionali di Sassa e Shtula, nell’Alta Galilea. Non ci sarebbero feriti e l’aviazione e l’artiglieria israeliane avrebbero subito risposto con un bombardamento intenso su tutto il sud del Libano, a ridosso della linea di demarcazione tra i due paesi. L’attacco, confermato dall’agenzia governativa libanese Nna, avrebbe preso di mira le località che vanno dalle coste del Mediterraneo alla pianura di Hula, nell’entroterra: Naqura, Ramie, Ayta Shaab, Aytarun, Rmeish, Qawzah, Jabal Blat, Yarin, Debel e Hula.

La notte tra il 17 e il 18 novembre Israele aveva condotto una missione in profondità, con due missili lanciati da un drone contro una fabbrica di alluminio nel cuore della regione di Nabatieh, sulla strada tra Toul e Kfour, provocando un incendio. Hezbollah aveva annunciato di aver risposto agli attacchi prendendo di mira le postazioni dell’esercito israeliano nelle località di Shtula, Nahal Betzet, Jordeikh, Wadi Sasa, Khallet Warde e Raheb.

Il movimento sciita libanese aveva inoltre annunciato l’abbattimento di un Hermes 450, un UAV multiruolo sviluppato dall’azienda israeliana Elbit Systems per missioni di ricognizione e sorveglianza a media autonomia ed alte altitudini. Con un comunicato diramato da Hezbollah, i resti del drone sarebbero stati visti cadere sulla Galilea, notizia che Israele non conferma.

Le persistenti scaramucce lungo il confine hanno fino ad ora provocato la morte di tre civili e di sei soldati israeliani.  Da parte libanese, sono state uccisi quasi 100 persone: 74 membri di Hezbollah, 8 miliziani palestinesi, diversi civili e un giornalista della Reuters. Secondo quanto pubblicato dal quotidiano sul londinese in lingua araba Asharq Al-Awsat, editoriale del giornalista Hanna Saleh, i continui attacchi contro Israele rischiano di trasformare il confine in una nuova Gaza: “gli obiettivi che [il segretario generale di Hezbollah Hassan] Nasrallah ha fissato per il Libano sono pericolosi”.

Parte dell’opinione pubblica è convinta che porre una minaccia nel sud del Libano significa coinvolgere tutto il Paese, con un notevole aumento del rischio che si trasformi in una guerra su larga scala. Secondo Asharq Al-Awsat “questa nuova situazione viola la risoluzione 1701 dell’ONU, grazie alla quale il Sud è entrato in un periodo di stabilità”. Riad Kahwaji, direttorr dell’Istituto per l’analisi militare del Vicino Oriente e del Golfo (INEGMA) a Dubai, ha dichiarato che negli ultimi mesi Hezbollah ha lanciato contro Israele quattro missili Burkan, ciascuno dei quali con una testata di oltre 100 chilogrammi.

Foto: IDF e Brigate Ezzedin al-Qassam

Mappe Institute for the Study of the War (ISW)

 

Eugenio Roscini VitaliVedi tutti gli articoli

Colonnello dell'Aeronautica Militare in congedo, ha conseguito un master di specializzazione in analisi di sistema e procedure all'Istituto Superiore di Telecomunicazioni. In ambito internazionale ha prestato servizio presso il Comando Forze Terrestri Alleate del Sud Europa, la 5^ Forza Aerea Tattica Alleata e il Comando NATO di AFSOUTH. Tra il 1995 e il 2003 ha preso parte alle Operazioni NATO nei Balcani (IFOR/SFOR/KFOR). Gestisce il sito ITlogDefence.

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