Identikit del perfetto jihadista europeo
da La Nuova Bussola Quotidiana
La Francia è nel mirino dello Stato Islamico che in un video, lanciato nel giorno in cui Parigi annuncia l’invio di 6 cacciabombardieri Mirage 2000 in Giordania per la guerra in Iraq, in aggiunta ai 9 Rafale dispiegati negli Emirati Arabi Uniti, incita i jihadisti a colpire indiscriminatamente.
«Attaccate la Francia. Avvelenate acqua e cibo, investite con le auto». Nel video parlano tre degli oltre mille jihadisti d’Oltralpe che combattono in Siria e Iraq, come ha annunciato il presidente François Hollande ricordando che almeno 36 di loro sono rimasti uccisi.
Del migliaio di jihadisti francesi il 23% non è cresciuto in ambienti musulmani come nel caso di Michael Dos Santos, 22 anni originario di Champigny-sur-Marne, alle porte di Parigi, il secondo francese identificato nel gruppo dei “boia” inquadrati a volto scoperto nel video della decapitazione dell’ostaggio Peter Kassig e di 18 prigionieri siriani.
La conferma sull’identità del secondo boia francese è arrivata dalla procura di Parigi, che parla di indizi “precisi e concordanti”. «La madre lo ha riconosciuto nel video. È distrutta», racconta Jean-Charles Brisard, esperto francese di antiterrorismo. Secondo fonti degli inquirenti, il nome di Dos Santos (rinominatosi Abou Othman) era noto alla polizia da qualche tempo: il giovane aveva l’abitudine di rivendicare attacchi vari o inneggiare sui social network ad atti di violenza.
Dos Santos proviene da una famiglia di immigrati portoghesi cattolici, come l’altro giovane jihadista Maxime Hauchard, normanno cattolico di 22 anni convertitosi all’islam a 17 anni, per poi radicalizzarsi compiendo un primo viaggio, tra l’ottobre 2012 e il maggio 2013, in Mauritania per entrare in contatto con gruppi islamisti locali. Nell’agosto di quest’anno è partito alla volta della Siria, via Istanbul per unirsi ai jihadisti dello Stato Islamico.
In alcuni post su Twitter riportati dall’Express online Dos Santos pubblica immagini agghiaccianti. Come quando posa al fianco dei cadaveri o poggia la testa di un uomo decapitato sulle sue ginocchia: «Se vuoi fare la sua fine, combatti contro lo Stato islamico» ammonisce.
Ma il giovane appare anche in un video pubblicato dallo Stato islamico lo scorso ottobre. Armato, in mimetica, Dos Santos esortava «tutti i fratelli che vivono in Francia» ad «uccidere un qualsiasi civile». Lo stesso appello rilanciato dai “francesi dell’Isis”, che invitano i “lupi solitari” a unirsi alla lotta in Iraq e Siria o colpire la Francia avvelenando l’acqua, il cibo, o investendo in strada le proprie vittime.
Video e foto che attraverso i social network mirano a mobilitare altri giovani francesi a militare con la causa jihadista e, al tempo stesso, far pagare al governo di Parigi l’intervento militare in Iraq (l’ultimo raid dei caccia Rafale è del 19 novembre) con il terrore sul fronte interno. La leader del Front National, Marine Le Pen – citando fonti di intelligence – parla addirittura di “quattromila francesi” impegnati con il Califfato.
Un identikit del jihadista francese è stato tracciato da uno studio del Centro di prevenzione delle derive settarie (Cpdsi), realizzato sulle testimonianze di più di 160 famiglie. Gli aspiranti jihadisti francesi hanno tra i 15 e i 21 anni, provengono da famiglie di ceto medio per lo più atee. Sono ragazzi dal profilo “ordinario”, ha fatto notare la ricercatrice e antropologa Dounia Bouzar, fondatrice del Cpdsi. Più in dettaglio, dallo studio emerge che la grande maggioranza di questi giovani hanno un’estrazione sociale media (67%) e non popolare come spesso si pensa (16%).
Solo il 17% di loro vengono da famiglie più benestanti. Solo il 5% di questi giovani, si apprende ancora, ha commesso atti di piccola delinquenza. Sono soprattutto (40%) giovani “iper sensibili” che hanno conosciuto periodi di “depressione” e “si pongono delle domande sul senso della vita”.
Gli aspiranti jihadisti, che si convertono all’Islam radicale, non crescono in famiglie musulmane praticanti. L’80% di loro proviene da famiglie che si dichiarano “atee”. E solo il 10% ha genitori immigrati. Internet e i social network sono nel 91% dei casi i principali strumenti utilizzati dai gruppi terroristi per reclutare nuovi giovani combattenti. Anche al di là della Manica le valutazioni sull’impatto dello Stato Islamico destano non poche preoccupazioni.
Secondo il Times il governo britannico ha controllato in segreto negli ultimi due anni l’attività di 55 associazione benefiche islamiche nel Regno Unito perché sospettate di sostenere e fomentare il radicalismo e l’estremismo.
A coordinare l’inchiesta la Charity Commission che si è concentrata in particolare su 4 di queste associazioni che sono riuscite a raccogliere decine di milioni di sterline. Cinque di queste strutture operano in Siria inclusa al-Fatiha Global per cui lavorava Alan Henning, uno dei due britannici decapitati da Isis.
La scorsa settimana, Londra ha annunciato di aver messo al bando, vietandone l’ingresso nel Regno Unito, i jihadisti che si sono uniti all’IS in Iraq e Siria. «Ci servono nuovi poteri per tenere il Paese al sicuro dalla sfida esistenziale dell’Isis» ha affermato Cameron. Il suo nuovo piano prevede il divieto al rientro nel Regno per i jihadisti “irriducibili” che non vogliono rinnegare il loro passato al servizio dello Stato Islamico. A loro verranno applicati i cosiddetti “ordini di esclusione temporanea”, della durata di due anni, rinnovabili. Diventeranno in pratica apolidi, senza passaporto, e i loro nomi saranno inseriti su una lista nera delle compagnie aeree, in modo da impedire loro di volare.
Sarà permesso il ritorno in patria una volta trascorsi i due anni a meno che gli ex volontari dell’Isis non si dichiarino alla frontiera sottoponendosi a rigidi controlli di polizia e anche, eventualmente, ad un processo. Londra prevede anche nuove regole per bloccare i tanti giovani “foreign fighters”.
Queste misure, parte del Counter-Terrorism Bill, che dovrebbe entrare in vigore entro gennaio, sono state fortemente criticate. Secondo il gruppo per i diritti civili Liberty «scaricare i cittadini sospetti come rifiuti tossici e venir meno alle proprie responsabilità verso la comunità internazionale è un modo molto strano di promuovere il rispetto della legalità».
In risposta Cameron (nella foto sopra) ha affermato di aver preso in considerazione queste obiezioni ma le misure sono «necessarie per la sicurezza dei britannici». Secondo le stime oltre 500 sudditi di Sua Maestà sono andati a combattere in Iraq e Siria e circa la metà sarebbero ritornati in patria: nel 2013 sono stati 200 gli arresti per terrorismo.
Del resto l’intera Europa si prepara ad affrontare un enorme numero di ritorni da Siria e Iraq e tra le contromisure in atto o allo studio vi sono il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e la cooperazione dei giganti di Internet per combattere la propaganda jihadista sul web. La Ue vuole inoltre creare una squadra speciale presso l’Europol specializzata nel contrasto ai foreign fighters, incluso esperti nel monitoraggio dei siti Internet.
Il 9 ottobre scorso i ministri Ue hanno concordato anche sulla necessità di estendere «al massimo del consentito» i controlli «non sistematici» per i cittadini europei del Sistema informativo di sicurezza (Sis, database delle forze di polizia) alle frontiere esterne.
Si valuta inoltre la possibilità di allargare le categorie di cittadini che possono essere inseriti nel Sis, che attualmente si limitano a persone con precedenti o colpite da mandati di cattura. Un’estensione che potrebbe prevedere l’inserimento di individui che potenzialmente costituiscono una minaccia.
L’impressione è che in questo clima di allarmismo generale manchi però una valutazione politica e sociale più complessiva che metta in luce gli errori compiuti nel rapporto con l’islam. L’Europa e più in generale l’Occidente combattono il terrorismo islamico ma non l’estremismo islamico che ne costituisce il propulsore, né contrasta i Paesi che lo sostengono e lo finanziano come le monarchie petrolifere del Golfo che, al contrario, sono apprezzati e ricchi partner economici, politici e commerciali dell’Occidente.
E poi puntare a bloccare i jihadisti che tornano nel Regno Unito, mentre da anni le autorità britanniche tollerano l’applicazione della sharia in interi quartieri di Londra e altre città, è come voler svuotare il mare con un colabrodo.
Foto: Stato Islamico. Reuters, Youtube,
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.