DUE ANNI DI GUERRA – Le scelte strategiche dell’Occidente a sostegno della “difesa attiva” dell’Ucraina

 

Nel terzo anno di guerra all’Ucraina, Putin è sempre più determinato nella sua svolta autoritaria e bellicista, come dimostrano la morte del perseguitato Alexey Navalny e ancora la narrazione ossessiva sull’ «identità russa» degli ucraini e sull’espansione della Nato.

– Il sostegno all’Ucraina aggredita rimane perciò una priorità per l’Occidente delle democrazie, che dovranno rafforzare la deterrenza. «Sorpresa» e «Resilienza» rimangono i canoni su cui l’Ucraina potrà ancora fermare la Russia, cominciando dalla risposta strategica della «Difesa attiva».

  

A due anni da quel 24 febbraio 2022 in cui  Putin ha intrapreso l’ «operazione militare speciale» contro l’Ucraina si guarda con giustificata apprensione al futuro del conflitto. Il contesto globale peraltro vede l’escalation del disordine internazionale in altre parti del mondo – in Medio Oriente, nel Sahel e nell’Indo-pacifico – mentre la disaffezione del c.d. Global South cresce contro l’Occidente delle democrazie.

Inoltre, se mai ce ne fosse stato bisogno, la morte del dissidente russo Alexey Navalny  – avvenuta il 16 febbraio, dopo due avvelenamenti, in una colonia penale agli estremi del circolo polare Artico – dimostra la deriva estrema che ha assunto la Russia, ormai giunta ai  metodi repressivi dell’impero sovietico. Su questi profili della dimensione ideologica sempre più autoritaria e bellicista che sta connotando il regime imposto da Putin si gioca purtroppo il principale fattore di rischio  per la evoluzione del conflitto in Ucraina. Ed è appunto da questa prospettiva che è necessario partire per un’analisi sui possibili scenari che potranno configurarsi in questo terzo anno di guerra.

 

Lo stato della  «minaccia militare»

Il generale Zalužnyj, il commander-in chief  ucraino  ormai destituito,  a novembre ha concesso una intervista all’Economist piuttosto discussa perché gli argomenti trattati probabilmente non andavano resi pubblici. Sta di fatto che il leader militare – che taluni osservatori danno in predicato per un futuro politico che insidierebbe lo stesso Zelensky – ha comunque delineato le criticità rappresentando uno scenario di estrema vulnerabilità per l’Ucraina.

Lo “stallo” può evolvere negativamente se si verificano due condizioni: 1) se l’Ucraina non estende la mobilitazione assicurando la turnazione al fronte con nuovi soldati addestrati, perché quelli che hanno sinora combattuto sono stanchi fisicamente e psicologicamente; 2) se l’Occidente non fa giungere ancora munizioni, armi, carri armati, aerei, droni e altre tecnologie, perché queste sono necessarie per resistere all’imponente pressione della Russia, che potrebbe anche sferrare una manovra offensiva su larga scala o comunque di lunga durata.

Certamente anche le ultime notizie dal fronte evidenziano che l’Ucraina sta vivendo una fase critica, confermata purtroppo dall’ultima perdita di Avdiivka, ma è prematuro valutare i vantaggi strategici conseguiti dalla Russia, che dopo essere stata qui logorata nella spinta offensiva potrebbe essere anche fermata sulla vicina linea dal fronte dove l’Ucraina si è nel frattempo rafforzata.

Altre analisi infatti offrono prospettive diverse sullo scenario complessivo, come quelle presentate dall’Institute for the Study of War e da analisti militari di Le Grand Continent. Intanto occorre calibrare i termini sulla facile tesi del “fallimento della controffensiva” degli ucraini. Se da questa si attendeva un’azione decisa che portasse a riprendere tutti i territori occupati certo l’ obiettivo non è stato raggiunto, ma questo era l’ obiettivo “massimo”. Nella realtà occorre valutare invece alcuni dati oggettivi del teatro operativo, partendo dal rapporto di forze, attuale e potenziale.

La popolazione della Russia è tre volte quella dell’Ucraina, ma i condizionamenti cui Putin è sottoposto dalla classe media cittadina lo limitano fortemente nella mobilitazione costringendolo ad affondare il reclutamento nelle regioni periferiche e più povere, e persino promuovendo l’arruolamento di ergastolani.

Sta di fatto che – pur potendo contare su un paio di milioni di riservisti – nei territori occupati ucraini non vi sarebbero che 420.000 soldati russi, un numero probabilmente superato/superabile dai reclutamenti degli ucraini. Secondo le analisi statunitensi, 500.000 uomini di entrambi gli eserciti sarebbero stati feriti o uccisi in azione: la Russia avrebbe subito le perdite più pesanti, con 120.000 morti e 170.000–180.000 feriti, rispetto ai 70.000 morti e 100.000–120.000 feriti dell’Ucraina.

Altri dati possono meglio inquadrare la progressione territoriale e qualche successo strategico a favore dell’Ucraina. Se prima dell’invasione del 20 febbraio 2022 la Russia controllava il 7,04% del territorio ucraino, più di 42.000 km², il controllo militare russo oggi è su circa il 17% dell’Ucraina, ovvero oltre 100.000 km². E tuttavia va ricordato che i russi in un anno hanno perso il 10% dei territori occupati a marzo 2022 e hanno subìto perdite del 20% del tonnellaggio della flotta del Mar Nero colpita dai droni ucraini, tanto da doversi ritirare dalle acque della Crimea, mentre sul fronte degli innumerevoli attacchi dal cielo lo scudo ucraino ha di molto contenuto la potente minaccia russa di missili e droni.

 

Le sfide dopo lo “stallo”

In sostanza, se di “stallo” si parla – come precisa l’analista Eric Ciaramella della Carnegie Endowment For International Peace – in termini scacchistici tradizionali lo “stallo” implica che non c’è mossa che nessuna parte può fare per cambiare l’immagine sulla scacchiera. Per cui «quello che sta succedendo qui è una corsa al riarmo.

In questo caso, quello cui stiamo assistendo è una ricostituzione militare russa in corso». L’ Institute for the Study of War prospetta un programma di implementazione della produzione bellica della Federazione Russa con al centro il potenziamento dei droni affidato ad imprese nelle aree di Izhevsk, nella Repubblica di Udmurtia, di Tomsk, Samara e della stessa San Pietroburgo. Mosca starebbe anche lavorando a stretto contatto con Teheran per costruire una fabbrica in Iran in grado di produrre fino a 6.000 droni all’anno entro l’estate del 2025.

In cambio il regime iraniano vuole acquisire l’equivalente di attrezzature militari russe, come aerei da combattimento, elicotteri, sistemi di difesa aerea per far fronte alle emergenze dello scenario mediorientale. Anche secondo l’International Institute for Strategic Studies di Londra la Federazione Russa ha aumentato le spese militari del 60 % rispetto allo scorso anno, arrivando al 7,5 % del suo Pil, incidendo per un terzo del bilancio complessivo.

Le analisi internazionali evidenziano comunque criticità nel comparto produttivo militare russo, su cui persino la testata russa ultranazionalista Tsargrad ha denunciato la corruzione e l’inefficienza di grandi aziende statali e monopolistiche del settore.

Rimane dunque da chiarire cosa l’Ucraina possa fare, essendo condizionata dall’incerto sostegno di un’Unione Europea che potrebbe dividersi sugli aiuti a Kiev, e di quello più serio degli Stati Uniti che potrebbero vedere il ritorno del filo-putiniano Trump. Su quest’ultimo, per inciso, si può anche sperare che lo spirito identitario e conservatore dei repubblicani lo induca a riconsiderare la concreta minaccia che rappresenterebbero anche per gli americani una Ucraina sconfitta e un’Europa a rischio.

Gli Usa rimangono in ogni caso i maggiori investitori nelle spese militari con 905 miliardi dollari (erano 839 l’anno precedente), una cifra che rappresenta il 40% del dato mondiale e il 70% in ambito Nato.

Per l’Ucraina dunque non mancano i progetti di rafforzamento grazie alla disponibilità data dallo sblocco dei 50 miliardi di euro dell’Unione Europea e dallo stanziamento di circa 3 miliardi di dollari concessi in uno storico “accordo per la sicurezza” sottoscritto dal Regno Unito, seguito ora da altri accordi con Francia e Germania. Kiev spera anche che nell’Unione Europea si anticipi la consegna promessa di carri armati e artiglierie missilistiche di ultima generazione, come anche degli attesi aerei F-16 (certamente 42 dai Paesi Bassi e 19 dalla Danimarca) che insieme ai droni potrebbero rappresentare l’elemento di svolta per bloccare gli sforzi offensivi russi e rilanciare i contrattacchi ucraini. Quanto alle altre progettualità dell’Ucraina sono significative alcune dichiarazioni dei suoi leader politici.

Il Vice Primo ministro Mykhailo Fedorov, si è fatto sfuggire che Kiev sta puntando su una nuova tecnologia di difesa: il «mantello dell’invisibilità», pensato per confondere le telecamere termiche russe e i droni che ne sono equipaggiati, offrendo così un’ulteriore protezione ai soldati ucraini.

 

La risposta strategica della «Difesa attiva»

Di più ampia visione è l’annuncio dato da Zelensky sul lancio di una nuova scelta strategica: la «Difesa attiva». Si può discutere che nella dottrina militare – sia sotto il profilo strategico (cioè rivolto agli obiettivi finali e su larga scala, propri della “manovra difensiva”) sia sotto il profilo tattico (riferito al contesto operativo più ravvicinato, nel tempo e nello spazio, dai c.d. “sbarramenti” e “capisaldi” fino alle “reazioni dinamiche” areali) – è la stessa definizione di «difesa» che non è mai intesa in senso passivo, e prevede auspicabilmente sempre un aspetto o una fase proattiva per riguadagnare terreno o spazi di manovra. Con il termine di «difesa attiva» Zelensky sembrerebbe però non volersi sbilanciare rinunciando al progetto rimasto incompiuto della «controffensiva».

Il primo obiettivo è dunque rallentare ogni ulteriore progressione del nemico, e quindi il programma difensivo degli ucraini prevede una sorta di «linea Zelensky» in risposta alla «linea Surovikin» realizzata dai russi a protezione del sud occupato e della Crimea.

Si tratta di un sistema di fortificazioni su più linee e barriere, scandite da campi minati estesi e fronti di denti di drago e altri ostacoli per carri armati e mezzi meccanizzati, supportati dalla potenza di fuoco dell’artiglieria missilistica e dallo scudo di aerei e di droni. Per gli analisti vi sarebbe anche un non-detto, che rimarrebbe nei piani segreti del vertice politico strategico. Si vuole certo partire da una posizione di forza che – con il potenziamento delle strutture difensive, appunto – riesca a bloccare i prossimi attacchi dei russi.

Ma Zelensky ha cambiato la leadership militare anche per rilanciare un elemento di vantaggio degli ucraini: la capacità di compiere operazioni speciali audaci, tattiche d’inganno e innovative, come accaduto all’inizio del conflitto con i colpi mirati che hanno “neutralizzato” i comandanti russi (peraltro con uno sforzo risibile, visto che sono stati sfruttati i social e le localizzazioni dei telefonini), oppure con le manovre diversive a sud per riconquistare Kherson, e con gli attacchi imprevedibili alla marina, al ponte di Crimea e quelli in profondità nella stessa Russia.

Nelle scelte del nuovo stato maggiore potrebbero esserci ora altre iniziative inaspettate per i russi, come la progettazione di altri droni hitech immuni ai sistemi di disturbo elettromagnetici per puntare ad attacchi in profondità o sui principali capisaldi dell’offensiva russa, o anche nuovi strumenti della cyber war, specie per puntare ai centri logistici e ad altri obiettivi nevralgici nelle retrovie russe.

E in una analisi della Carnegie Endowment si è posto anche il problema di «riconsiderare le limitazioni politiche poste agli attacchi a lungo raggio contro obiettivi militari all’interno della Russia vera e propria».

Il tema però pone il rischio di una risposta nucleare tattica che va sempre temuta in uno scenario di escalation. Il 15 febbraio scorso dal New York Times si è appreso che al Congresso e agli alleati europei sarebbero giunte informazioni di intelligence su nuove capacità nucleari russe che nel tempo potrebbero diventare serie per la sicurezza internazionale, anche se sono in fase di sviluppo.

Per Politico.eu le informazioni riguarderebbero pure i propositi di Mosca di sviluppare una pericolosa «arma antisatellite nello spazio», che potrebbe interdire le attività dei satelliti occidentali. A Bruxelles intanto si è tornato a parlare della minaccia ai Paesi Baltici, e di una deterrenza nucleare europea guardando con maggiore interesse alle potenzialità di quella francese offerta da Macron. In ogni caso, «sorpresa» e «resilienza» rimangono i canoni su cui l’Ucraina potrà ancora fermare la Russia, pur senza superare la linea rossa della «minaccia esistenziale» per una potenza che nella sua dottrina prevede il ricorso all’arma nucleare.

Anche per questi aspetti rimarrà fondamentale che l’Ucraina continui ad avere al suo fianco l’Occidente per assicurare la deterrenza necessaria, considerando peraltro che questa può essere utile anche per rafforzare una diplomazia più efficace per la fine del conflitto. Su questi profili anche le conclusioni della recente Munich Security Conference hanno evidenziato un più deciso orientamento dei Paesi europei e Nato nel potenziamento strategico dell’industria militare: un dato davvero singolare per un forum che ha come slogan Peace through Dialogu, ‘La pace attraverso il dialogo’, a dimostrazione di una maggiore consapevolezza sul ruolo della deterrenza per imporre la pace.

 

Deterrenza e diplomazia

In conclusione, la strada dei negoziati che escludano una “resa” di fatto del Paese aggredito passa dal convincere Putin e il resto del mondo che questo è quello che vogliono non solo gli Stati Uniti, ma soprattutto l’Unione Europea che vede negli ucraini un popolo che combatte anche per le libertà e i confini europei. Per questo l’Ucraina deve essere ancora sostenuta per riconquistare la maggior parte possibile del terreno perduto, ma soprattutto l’Occidente dovrà essere capace di contrastare con più convinzione il disegno di Putin con le armi efficaci di cui può disporre: la deterrenza e la diplomazia. Entrambe rimangono fondamentali nella prospettiva di un conflitto che nel terzo anno di guerra si presenta ancora logorante, ma con possibilità di variabili estreme e imprevisti, che potrebbero anche far fallire le ambizioni imperiali di Putin.

Foto: Ministero Difesa Ucraino e Ministero Difesa  Russo. MSC, RIA Novosti  e Telegram

Maurizio Delli Santi è anche autore de “La guerra in Ucraina e le sfide per il nuovo ordine internazionale” (Aracne)

 

Maurizio Delli SantiVedi tutti gli articoli

Membro della International Law Association, dell'Associazione Italiana Giuristi Europei, dell'Associazione Italiana di Sociologia e della Société Internationale de Droit Militaire et Droit de la Guerre - Bruxelles. Docente a contratto presso l'Università Niccolò Cusano, in Diritto Internazionale Penale/Diritto Internazionale dei Conflitti Armati e Controterrorismo, è autore di varie pubblicazioni, tra cui "L'ISIS e la minaccia del nuovo terrorismo. Tra rappresentazioni, questioni giuridiche e nuovi scenari geopolitici", Aracne, 2015. Collabora con diverse testate italiane ed europee.

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