DUE ANNI DI GUERRA – Il conflitto che ha fatto deragliare l’Europa

 

di Claudio Masci*

L’attacco del 7 ottobre 2023 – eseguito da Hamas in territorio israeliano – ha posto in secondo piano la guerra russo/ucraina, che si avvia verso il terzo anno consecutivo in termini di morti e distruzioni reciproche. All’orizzonte non si avverte ancora una soluzione negoziale del contenzioso sebbene negli USA emergano iniziative tese ad anemizzare i finanziamenti all’Ucraina, surrogati sia dalla Gran Bretagna sia da alcuni Stati europei.

Questi ultimi appaiono orientati a incrementare le spese militari, nel timore di un successo russo che possa estendere la minaccia a ovest anche se occorrerebbe chiedersi se è il caso di attribuire credibilità a quanti sostengono la tesi del neo imperialismo russo o del revanchismo sovietico di Putin.

Ma è lecito porsi anche altri dubbi: cioè se gli USA abbiano volutamente provocato una proxy war (“conflitto per procura”) con la Russia per verificarne le potenzialità offensive e logorarne le capacità operative in vista di un eventuale confronto USA-CINA nel Pacifico.  La questione è controversa sia perché non c’è documentazione ufficiale in merito – ma solo dichiarazioni di intenti di varia natura – sia perché personalità di rilievo statunitensi sono schierate in favore sia dell’una sia dell’altra ipotesi.

Vari autori occidentali, per sostenere che il conflitto russo-ucraino sia stato una provocazione dell’Occidente, hanno ripreso le dichiarazioni dell’ex Presidente sovietico Michail Gorbaciov il quale affermò in una intervista al The Daily Telegraph (7 maggio 2008):

Gli americani ci promisero che la Nato non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la sua riunificazione, ma adesso che metà dell’Europa centrale e orientale ne sono membri mi domando dove sono le garanzie che ci erano state accordate? La loro slealtà è un fattore molto pericoloso per un futuro di pace perché ha dimostrato al popolo russo che di loro non ci si può fidare

È evidente che si tratta di un argomento controverso, che si presta bene – da ambo le parti – sia per operazioni di propaganda sia di PSYOPS (Operazioni Psicologiche) mirate ad influenzare l’opinione pubblica, spesso e volentieri mettendo il bavaglio – anche negli Stati democratici – alla libertà di pensiero e di espressione.

 

Il post Guerra Fredda

Per uscire dall’impasse occorre affidarsi alle Relazioni Internazionali intercorse nel tempo fra i due blocchi dopo la fine (dicembre 1991) della cosiddetta “Guerra Fredda”.

Infatti il 20 e 21 ottobre 1993 durante l’incontro dei Ministri della Difesa della NATO – svoltosi a Travemünde (Germania) – gli Stati europei, che non facevano ancora parte dell’Alleanza Atlantica, erano: Albania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Finlandia.

Questi ultimi – unitamente alla ex Unione Sovietica – approvarono, sul piano bilaterale, un programma il cui fine era realizzare un Forum Consultivo denominato Partenariato per la Pace (in inglese Partnership for Peace PfP) – mirato ad incrementare la fiducia tra la NATO ed i Paesi ex U.R.S.S.

Il PfP fu formalmente costituito il 10 – 11 gennaio 1994 (vertice NATO di Bruxelles), ed ai Paesi che avrebbero aderito venne richiesto l’impegno di rispettare i principi fondamentali quali democrazia, soluzione negoziale dei conflitti, ecc.  Nel dicembre 1994, il Consiglio dell’Alleanza Atlantica annunciò la decisione di intraprendere uno studio sull’ampliamento della NATO, basato su numerosi principi fra cui:

  • la difesa degli interessi vitali dell’Alleanza e la promozione della stabilità in tutta l’Europa;
  • l’adesione alla NATO doveva essere formulata a domanda degli Stati europei che intendevano aderire e nessuna domanda di adesione sarebbe stata esclusa;
  • l’accoglimento della domanda sarebbe stata esclusiva prerogativa della NATO;
  • l’adesione avrebbe comportato l’impegno solenne degli USA di un trattato di difesa tramite il quale sarebbe stato esteso loro l’ombrello nucleare statunitense;
  • l’esortazione per un’adesione parallela ad altre organizzazioni come l’UE o l’UEO, al fine di evitare nuove divisioni in Europa.

Successivamente – dal 1995 al 1996 – il Consiglio definì alcuni elementi che avrebbero determinato la fase successiva del processo di adesione e cioè:

  • consultazioni bilaterali e multilaterali intensive su base individuale con coloro che desideravano proseguire sulla via dell’adesione;
  • rafforzamento del Partenariato per la Pace volto ad approfondire i legami con l’Alleanza Atlantica per permettere a coloro che avrebbero aderito di prepararsi ed agli altri di intensificare il partenariato;
  • costituzione delle “Combined Joint Task Forces” (CJTF), strutture operative tramite le quali veniva consentito agli alleati europei di avvalersi di mezzi NATO per condurre azioni ove gli Stati Uniti non volessero impegnarsi. Tale impiego era previsto anche per i Paesi PECO (Stati dell’Europa centrale e orientale con il quale la Comunità Europea aveva concluso accordi di associazione allo scopo di avviare relazioni più strette in vista della rispettiva adesione all’Unione Europea).

Tra il 1996 ed il 1997 aderirono all’Alleanza Atlantica, in ordine temporale: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Successivamente: Slovacchia, Romania, Bulgaria, Slovenia, Estonia, Lituania, Lettonia.  Inoltre, in occasione della riunione dei Ministri degli esteri NATO a Sintra – Portogallo, maggio 1997 – venne approntata una Carta di partenariato NATO/Ucraina la cui firma fu rinviata al successivo vertice di luglio a Madrid.

Nello stesso anno (1997) al vertice della NATO a Parigi, nel contesto dei rapporti NATO – Federazione Russa, fu istituito il Consiglio Permanente Congiunto (PJC) tra Alleanza Atlantica e Federazione Russa, quale foro per discutere temi di sicurezza d’interesse comune.  Relazioni che ebbero il loro culmine il 28 maggio 2002, con l’incontro avvenuto a Pratica di Mare (Roma), ove fu inaugurato il Consiglio NATO-Russia (NRC). Questo nuovo organo era finalizzato a contrastare il terrorismo – 2001 attacco alle Torri Gemelle) – e al quale partecipavano tutti i Paesi su base paritaria.

Ma questa idilliaca collaborazione non era destinata a durare. Il primo raffreddamento fra i due blocchi avvenne nel 1999 in seguito alla guerra nel Kosovo ed ai bombardamenti della NATO avvenuti senza l’autorizzazione dell’ONU poiché Russia e Cina avevano esercitato il loro diritto di veto. Ma gli USA risposero “in modalità” “Marchese del Grillo”. La risposta provocò la prima rottura di un ampio disegno strategico che avrebbe visto un’alleanza fra Heartland e Rimland in funzione di contenimento della crescita cinese. Crescita già all’orizzonte, successivamente annunciata dal Presidente cinese Xi Jinping a settembre del 2013 – con l’attuazione della “Nuova via della seta”.

 

 L’inizio della crisi

Nel 2002 la Russia rese noto di aver rafforzato la cooperazione militare della CSTO – Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva- tramite la costituzione di “Forze Armate collettive di reazione” unitamente a Comando Unificato con Quartier Generale in Russia. A tale Organizzazione – resa operativa il 15 maggio 1992 da Russia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan – aderì, nel 2002, anche la Bielorussia.  Il salto di qualità della CSTO assunse rilevanza quale embrione di un contraltare militare alla stessa NATO.

Ma la rottura definitiva si ebbe a seguito del conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008 allorquando le relazioni tra NATO e Russia conobbero forti tensioni, con conseguente raffreddamento dei rapporti di fiducia e collaborazione in precedenza sottoscritti.

Infatti, il 21 agosto 2008 Mosca comunicò alla NATO la sospensione di tutte le attività di cooperazione militare e annullò la visita programmata del 17 ottobre a Mosca del Segretario generale della NATO.  Inoltre, al vertice di Bucarest dello stesso anno, fu concessa l’adesione alla NATO anche di Croazia e Albania e venne dichiarato che anche la Georgia e l’Ucraina avrebbero potuto farne parte.

Nel novembre 2010 al summit della NATO di Lisbona, i Paesi del Partenariato per la Pace (PfP) – ormai inclusi nell’Alleanza Atlantica, esclusa la Russia – sottoscrivevano all’unanimità l’accordo per il dispiegamento del sistema di difesa missilistica, a protezione dell’area est europea, asseritamente in funzione anti Iran e anti Corea del Nord.

Nel maggio 2012, il Generale Nikolai Makarov – Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe e Primo Vice Ministro della Difesa (dal 2007 al 2012) – dichiarava esplicitamente che, valutata «la natura destabilizzante del sistema missilistico», Mosca non escludeva un attacco alle installazioni dello scudo Nato. E lo stesso Generale, facendo seguire alle parole i fatti, prescriveva l’allestimento dello schieramento di missili tattici a Kaliningrad, area russa tra Polonia e Lituania.

A gettare benzina sul fuoco intervenne la rivoluzione ucraina del 2014 – nota anche come rivoluzione di Maidan – caratterizzata da scontri violenti tra manifestanti e forze di sicurezza nella capitale Kiev, culminati con la caduta di un governo filo russo nonché con il cambiamento del sistema politico dell’Ucraina filo occidentale e sottoscrizione di un accordo di associazione con la UE.  La Russia rifiutò di riconoscere il nuovo governo e definì la rivoluzione un colpo di Stato, accusando gli Stati Uniti d’America e l’UE di aver finanziato e diretto la rivoluzione, assumendo contestualmente – quale contro risposta – il controllo della penisola di Crimea.

Nel dicembre 2015, nel corso di un dibattito presso il Chicago Council on Global Affairs, George Friedman (fondatore del Centro di Analisi Strategiche “Stratfor”) espresse con estrema franchezza la sua opinione in ordine alla strategia che gli USA avrebbero dovuto seguire per mantenere il dominio mondiale. Nel merito, riportammo nell’articolo “Un’Europa allo sbando in balìa di nemici ed (ex) alleati” le linee essenziali di questa strategia.

Tre erano i fattori più significativi di questo disegno strategico e cioè:

  • l’Unione Europea non veniva mai riconosciuta come un’unica entità politica o come partner paritetico degli USA che anzi la consideravano solo come un “ammasso” di Stati, ciascuno con proprie caratteristiche, proprie ambizioni, propri differenti interessi nazionali divergenti che presto o tardi sarebbero tornati a provocare guerre;
  • l’unico vero problema per gli Stati Uniti era la rinata potenza economica e militare russa di cui si paventava un asse d’intesa con la Germania, che sarebbe stato pernicioso per oltre oceano;
  • per contrastare la realizzazione del suddetto asse, gli USA avevano già posato le carte in tavola realizzando un “corridoio” dal Baltico al Mar Nero quale cordone sanitario anti russo, con il metodo della destabilizzazione ovvero delle cosiddette “rivoluzioni colorate”.

Per il primo fattore strategico sopra indicato, ci avvaliamo della recentissima opera di Gianandrea Gaiani dal titolo: L’ultima guerra contro l’Europa – Come e perché fra Russia, Ucraina e NATO le vittime designate siamo noi”. 

In tale opera viene ben tracciato l’autolesionismo dell’Unione Europea nella gestione della crisi e poi della guerra russo-ucraina, quasi l’immagine allo specchio di quella descritta dal succitato Friedman.

In ordine al secondo fattore, ci corre l’obbligo di ricordare e sottolineare che l’ideazione di una Comunità Europea sorse come concetto luminoso, concepito nel 1941 in Italia con “il manifesto di Ventotene”, in seguito alle vicende della 1a e 2a Guerra Mondiale. Idea che fu ripresa e caldamente sollecitata dal nostro alleato atlantico il 3 aprile 1949, nel corso di una conversazione – riservata – svoltasi alla Casa Bianca, tra il Presidente americano Harry Truman ed i leader europei.

Allora per gli USA occorreva, in sintesi, che nell’Europa occidentale si realizzasse una nuova concezione di Unione di Stati: un nuovo progetto politico tale da ridare vigore a spiriti cinici e prostrati dalla guerra, ritenuti l’unico antidoto contro il “canto delle sirene” del comunismo internazionale. 

Ma nel 2014, nel discutere le iniziative per una soluzione della crisi in Ucraina, l’Unione Europea non era più necessaria. Tant’è che Victoria Nuland – sottosegretario del Dipartimento di Stato – al telefono con l’ambasciatore americano a Kiev affermò: “Fuck the EU” (letteralmente “l’Unione Europea si fotta”) senza immaginare che la conversazione telefonica era stata intercettata dai russi.

La terza componente del citato disegno strategico prefigura chiaramente tutti gli eventi successivi che ci hanno condotto al conflitto Russia-Ucraina tuttora in atto.  Infatti attraverso la destabilizzazione in Ucraina e tramite le “rivoluzioni colorate”, nonché l’adesione alla NATO di quasi tutti i Paesi dell’Europa Orientale, si è stato realizzato quel “cordone sanitario” per impedire alla Russia l’espansione verso Ovest della sua influenza.

Inoltre, il taglio delle forniture di gas e la distruzione del gasdotto Nord Stream 2 hanno tagliato quel cordone ombelicale che collegava la Germania alla Russia, impedendo l’abbraccio dell’UE con l’orso siberiano.

È chiaro quindi che l’essenza della controversia riguarda la sfera di influenza decisa a Yalta e la sua rimessa in discussione – in maniera unilaterale – ed è paragonabile alla Crisi di Cuba del 1962. Crisi che sfiorò il confronto diretto delle due superpotenze di allora, in quanto l’eventuale installazione di missili statunitensi in Ucraina – come previsto dal PfP – annienterebbe le capacità di reazione della Russia, come sarebbe avvenuto agli USA se i missili sovietici fossero rimasti a Cuba in risposta a missili analoghi statunitensi schierati all’epoca in Italia e Turchia.

È altresì chiaro che la mancata ricerca di soluzioni diplomatiche del conflitto appare finalizzata al logoramento delle forze russe che sono dovute ricorrere ad approvvigionamenti di armi dall’Iran e dalla Corea del Nord.

Una cosa è certa: la guerra in Ucraina ha fatto deragliare la locomotiva europea che correva a Est, trascinando nel deragliamento tutti i vagoni ad essa agganciati.

Foto: Ministero Difesa Ucraino, Telegram, Ministero Difesa Russo e RIA Novosti

 

*Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare. E’ autore di studi, docenze e pubblicazioni sui temi legati alla sicurezza, l’intelligence e l’analisi geopolitica delle aree di crisi. 

 

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