Niger: lento ritiro USA, arrivano i contractors turchi (ma Ankara smentisce)
Il ritiro del migliaio di militari statunitensi presenti in due basi sul territorio del Niger (Niamey e Agadez) si concluderà solo il 15 settembre. Lo hanno concordato il 15 maggio le autorità della giunta militare nigerina e del Pentagono riunitesi a Niamey nel quadro di una Commissione congiunta di disimpegno.
Nella nota diffusa alla stampa al termine dell’incontro si precisa che le due delegazioni hanno confermato le garanzie di protezione e sicurezza alle forze statunitensi durante il loro ritiro, consapevoli dei “sacrifici comuni delle forze nigerine e statunitensi nella lotta contro il terrorismo” . Il ritiro delle forze statunitensi dal Niger, si legge ancora, “non pregiudica la continuazione delle relazioni di sviluppo tra Stati Uniti e Niger”, due Paesi che rimangono “impegnati nel dialogo diplomatico per definire il futuro delle loro relazioni bilaterali”.
Il ritiro statunitense, che richiederà il trasferimento di velivoli, UAV e materiale di vario tipo in altre aree sotto la responsabilità dello US Africa Command (probabilmente a Camp Lemonnier, Gibuti), fa seguito a quello delle forze francesi e all’arrivo dei primi consiglieri militari russi la cui presenza è costante e crescente nelle tre nazioni dell’Alleanza del Sahel (Niger, Mali e Burkina Faso) rette da giunte militari che hanno spalancato le porte a Russia, Ciona e Turchia.
Proprio i turchi, che stanno investendo molto in Niger, secondo fonti citate da Radio France International e riprese in Italia da Agenzia Nova, hanno inviato nella nazione africana un migliaio di contractors per proteggere gli interessi e i progetti gestiti da aziende nazionali.
Si tratterebbe per lo più di ex combattenti siriani che hanno militato nel conflitto civile tra le fila delle milizie filo-turche del nord in seguito assunti dalla PMC (compagnia militare privata) turca Sadat (di cui Analisi Difesa si è ampiamente occupata nel giugno 2018 con un articolo di Pietro Orizio) e impiegati per garantire la sicurezza delle miniere gestite da compagnie turche nella regione di Tillabery, nel sud-ovest del Paese (area caldissima per le frequenti incursioni delle milizie jihadiste lungo il confine tra Niger, Mali e Burkina Faso), assicurare la protezione ai convogli e la sicurezza ai cantieri stradali dove società turche stanno realizzando nuove vie di comunicazione.
Le prime indiscrezioni in proposito erano state diffuse dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione con sede nel Regno Unito legata alle opposizioni siriane, che aveva riferito che il reclutamento di combattenti siriani da inviare in Niger è in corso da diversi mesi. “Abbiamo confermato che circa 1.100 combattenti siriani sono già stati schierati in Niger dal settembre dello scorso anno”, ha affermato a Voice of America (VOA) Rami Abdulrahman, direttore dell’Osservatorio siriano, secondo il quale cittadini siriani vengono reclutati da aree sotto il controllo della Turchia e da gruppi armati siriani sostenuti dalla Turchia nel nord-ovest della Siria.
Anche l’organizzazione non governativa Siriani per la Verità e la Giustizia (STJ), un gruppo per i diritti umani con sede in Francia, ha affermato di aver documentato tali reclutamenti. “Questi combattenti siriani vengono trasportati dalla Siria alla Turchia e quindi, utilizzando gli aeroporti turchi, vengono inviati (in Niger) da aerei militari turchi”, ha detto a VOA Bassam Alahmad, direttore esecutivo di STJ.
In passato la Turchia ha impiegato combattenti siriani reduci dalle milizie che combatterono il governo di Bashar Assad in Azerbaigian e Libia (nella foto sopra), così come altri ex miliziani siriani filo-governativi sono stati segnalati accanto alle forze russe regolari in Ucraina e al Gruppo Wagner nella Cirenaica libica.
Un contractor siriano citato dall’Agenzia France Presse ha detto di essere stato reclutato per il servizio in Niger “con un contratto di sei mesi e uno stipendio di 1.500 dollari mensili” mentre un altro ha affermato che, dopo due settimane di addestramento gli è stato assegnato il compito di sorvegliare un sito vicino a una miniera in Niger. “Chi viene ferito in battaglia riceve un risarcimento fino a 30.000 dollari”, ha detto Abdulrahman, mentre “per coloro che vengono uccisi, le loro famiglie ricevono fino a 60.000 dollari.”
Il ministero degli Esteri turco ha smentito la presenza di contractors in Niger ma anche Sadat International Defense Consultancy (che offre una gamma completa di servizi di sicurezza ma anche di addestramento e consulenza militare in ambito aereo, terrestre e navale) ha smentito con decisione ogni coinvolgimento in Niger con un comunicato rilasciato il 17 maggio e pubblicato sul sito della società.
SADAT accusa i media di voler “denigrare la Turchia e l’azienda” e di aver raccontato falsità. “L’affermazione secondo cui la Difesa SADAT avrebbe inviato mercenari siriani in Niger non ha assolutamente nulla a che fare con la realtà. SADAT Defense non ha svolto ad oggi alcuna attività riguardante la Siria e/o il Niger. SADAT Defense non è un’organizzazione paramilitare.
Nei notiziari si vede anche che si sta cercando di creare l’impressione che SADAT operi sotto il comando dello Stato turco in Niger. Sebbene SADAT Defense sia una società commerciale indipendente, non ha venduto alcun servizio alla Repubblica di Turchia come principale contraente o subappaltatore (poiché lo Stato della Repubblica di Turchia non ne ha bisogno grazie al suo avanzato sistema di difesa e sicurezza).
Pertanto, le affermazioni diffamatorie che non si basano su prove non sono valide, indipendentemente da come le si guardi. Ad oggi, abbiamo dato a coloro che hanno preso di mira la nostra azienda con false accuse l’opportunità di dimostrare le proprie affermazioni davanti a un tribunale presentando cause per danni presso i tribunali civili. Tuttavia, vediamo che fino ad oggi nessuno dei nostri interlocutori è stato in grado di fornire un solo elemento di prova per dimostrare l’infondatezza delle loro affermazioni. Desideriamo informare l’opinione pubblica che non permetteremo azioni di propaganda negativa nei nostri confronti e che continueremo il nostro lavoro con determinazione”.
In Niger sono presenti circa 250 militari italiani della MISIN con compiti di addestramento delle forze locali, una presenza che la giunta militare sembra voler mantenere e incoraggiare come hanno dimostrato recenti visite di autorità italiane militari e dei servizi d’intelligence a Niamey e gli articoli della stampa nigerina.
Di certo il Niger ha bisogno di rafforzare la sicurezza soprattutto nella “regione dei tre confini” dove 7 militari nigerini sono morti in un attacco condotto miliziani jihadisti al confine con il Burkina Faso. Lo ha reso noto il 21 maggio il governo di Niamey, aggiungendo che le sue forze hanno risposto uccidendo “diverse decine di terroristi”.
L’attacco ha preso di mira una postazione militare nella zona di Boni, città vicina al confine. Quattro veicoli dell’esercito sono stati “distrutti”, mentre “diverse decine di terroristi” sono stati “neutralizzati” e i loro veicoli “distrutti”, ha aggiunto. Nel comunicato, inoltre, il ministro della Difesa della giunta, il generale Salifou Modi, “rassicura la popolazione sull’incrollabile determinazione delle forze di difesa e di sicurezza a continuare la lotta contro la minaccia terroristica”.
Foto: US DoD, Edition de Presse Niger, SADAT Defence, Libya Observer
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.