Media, censure e facce di bronzo

 

Ha suscitato reazioni aspre quanto ingiustificate in Europa la decisione resa nota il 25 giugno dalle autorità russe di imporre restrizioni nei confronti di 81 media europei impedendone l’accesso tv e internet al territorio della Federazione Russa.

Tra i media europei presi di mira figurano i siti di RAI, LA7, La Stampa e Repubblica, come spiega l’agenzia di stampa Ria Novosti ma anche i giornali tedeschi Der Spiegel, Die Zeit e Frankfurter Allgemeine Zeitung, i quotidiani francesi Le Monde, La Croix e l’agenzia France Presse (AFP) oltre a Radio France Internationale. La Russia ha imposto restrizioni anche ai quotidiani spagnoli El Mundo ed El Pais, all’agenzia di stampa EFE, all’emittente statale austriaca ORF e ai giornali web Politico ed Euobserver.

L’iniziativa russa costituisce una “rappresaglia” sul fronte mediatico rispetto alla decisione assunta il 17 maggio dal Consiglio Europeo di vietare sul territorio dell’Unione la diffusione video e internet dell’agenzia Ria Novosti e dei giornali Izvestia e Rossiyskaya Gazeta: divieto che ha preso il via proprio il 25 giugno.

”In risposta alla decisione presa dal Consiglio della Ue il 17 maggio di vietare ‘qualsiasi attività di trasmissione’ su tre media russi che entra in vigore oggi, 25 giugno, vengono adottate contro-restrizioni all’accesso introdotte dal territorio della Federazione Russa alle risorse radiotelevisive di numerosi media degli Stati membri dell’Ue e degli operatori di tutta Europa, che diffondono sistematicamente false informazioni sullo svolgimento dell’operazione militare speciale” in corso in Ucraina, si legge nel comunicato del ministero degli Esteri russo.

I russi, prosegue la nota, hanno ripetutamente e a vari livelli avvertito che ”le molestie politicamente motivate nei confronti dei giornalisti e i divieti infondati nei confronti dei media russi nella Ue non passeranno inosservati”. Il comunicato nota che ”nonostante ciò, Bruxelles e le capitali dei paesi dell’Unione hanno scelto di intraprendere la strada dell’escalation, costringendo Mosca ad adottare contromisure speculari e proporzionali con un altro divieto illegittimo. La responsabilità di tale sviluppo spetta esclusivamente alla leadership dell’Unione europea e i paesi che hanno sostenuto tale decisione”, ha sottolineato il ministero.

Del resto fin dall’inizio del conflitto la UE aveva messo al bando testate televisive e web quali Russia Today e Sputnik con l’accusa di essere uno strumento mediatico del Cremlino.

La guerra dei media quindi l’ha cominciata la UE mostrando fin dall’inizio del conflitto di temere che il pubblico europeo potesse ricevere informazioni diverse da quelle filo-ucraine e anti-russe che, quasi a reti e testate unificate, vengono diffuse da quasi due anni e mezzo in Europa e in Italia.

Un’informazione settaria e a senso unico che ha dato ampio spazio alla propaganda USA, NATO e Ucraina, ha rinnegato l’informazione equilibrata che aveva caratterizzato molte testate sui temi relativi alla crisi del Donbass prima del 24 febbraio 2022 e in ultima analisi si è coperta di ridicolo raccontando “favole” poi sbugiardate dai fatti.

La cruda realtà dei fatti dimostra che guerra in Ucraina ha gettato il discredito sulla gran parte dei politici e dei media europei negando ad essi ogni presupposto per poter attribuire patenti di credibilità, imparzialità e affidabilità.

La censura, comprensibile nelle nazioni in guerra, rischia di diventare un boomerang nelle democrazie e nei paesi non belligeranti come nel caso dell’Europa poiché evidenzia la debolezza dei governi, dei leader e dei loro messaggi. Non a caso per tentare di eliminare le poche voci dissonanti dal mainstream filo-ucraino sono state rese pubbliche su diversi media, anche in Italia, vere e proprie liste di proscrizione contenenti i nomi di intellettuali e giornalisti definiti “putiniani” e “filorussi”.

Iniziative giustificate dalla narrazione ormai consolidata circa l’influenza delle fake-news russe che a dire di molti rischierebbero di condizionare l’opinione pubblica e persino le elezioni in Occidente.

Alla luce di tutto questo appare decisamente sopra le righe la faccia di bronzo con cui la UE ha reagito alla rappresaglia mediatica russa. Oltre il limite del ridicolo il comunicato dell’Alto rappresentate Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presentato ai media dal portavoce Peter Stano.

“L’Ue condanna la decisione del tutto infondata delle autorità russe di bloccare l’accesso a oltre ottanta media europei in Russia. Questa decisione limita ulteriormente l’accesso all’informazione libera e indipendente ed espande la già severa censura sui media in Russia.

I media europei vietati lavorano secondo principi e standard giornalistici. Forniscono informazioni concrete, anche al pubblico russo, anche sulla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Al contrario, i mezzi di disinformazione e propaganda russi, contro i quali l’Ue ha introdotto misure restrittive, non rappresentano media liberi e indipendenti.

Le loro attività radiotelevisive nell’Ue sono state sospese perché queste emittenti sono sotto il controllo delle autorità russe e sono determinanti nel sostenere la guerra di aggressione contro l’Ucraina”.

In pratica il responsabile per la politica estera dell’Unione dice ai russi che i loro media sono pessima propaganda putiniana ed è giusto bandirli dall’Europa mentre i nostri organi d’informazione sono fonti indipendenti, libere e professionali e a Mosca dovrebbero gioire per l’opportunità di abbeverarsene.

Non pago, Borrell ha concluso sottolineando che “il rispetto della libertà di espressione e dei media è un valore fondamentale per l’Ue che continuerà a supportare la disponibilità di informazioni concrete anche per il pubblico russo. Ecco perché condanniamo la decisione russa come totalmente infondata”.

In realtà la quasi totale sudditanza nei confronti dell’informazione ufficiale e della propaganda Ucraina/NATO /UE senza alcuna analisi critica ha reso gran parte dei media italiani ed europei inaffidabili strumenti propagandistici, amplificatori di informazioni non verificate e spesso rivelatisi inattendibili, non tanto agli occhi dei russi ma a giudizio degli stessi lettori e spettatori europei, come dimostra il crollo dell’audience e delle copie vendute.

Un fenomeno che in Italia ha raggiunto proporzioni tali da mettere ormai in forse la sopravvivenza stessa del giornalismo, rimpiazzato in buona parte da servilismo e piaggeria nei confronti di politica, potenze straniere e lobby di potere.

Inevitabile che anche il ministero degli Esteri italiano condannasse la decisione della Federazione Russa di bloccare l’accesso sul suo territorio alle trasmissioni e ai siti di diversi media europei, tra cui gli italiani Rai, La7, La Repubblica e La Stampa. Sorprendono semmai i toni utilizzati.

“Esprimiamo rammarico per la misura ingiustificata adottata nei confronti di queste emittenti e testate giornalistiche italiane, che hanno sempre fornito un’informazione oggettiva e imparziale sul conflitto in Ucraina”, recita una nota della Farnesina. “Questi media hanno seguito criteri di informazione oggettiva, e comunque legata a una interpretazione autonoma dei fatti conseguenti all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa”.

Definire “oggettiva” l’informazione dei media italiani sul conflitto in Ucraina non è esagerato, è esilarante! In proposito si potrebbero scrivere interi volumi ma è sufficiente limitarsi a ricordare che il direttore di Repubblica e la corrispondente RAI da Kiev sono stati decorati dal presidente Volodymyr Zelensky per i servigi resi all’Ucraina ed entrambi hanno espresso compiacimento per questo riconoscimento.

Abbiamo visto inviati in Ucraina ostentare con orgoglio il simbolo del Tridente Ucraino sul giubbotto o utilizzare le note di linguaggio imposte USA e NATO circa il conflitto. Quasi tutti i media italiani in due anni e mezzo di guerra si sono distinti nel fornire un’informazione a senso unico offrendo ampio spazio alla propaganda ucraina spacciata per verità e censura sulle fonti e le informazioni dei russi.

Alla RAI resteranno nella storia alcune interviste “in ginocchio” a Zelensky, episodi eclatanti di una tendenza che non ha mai visto nessuno porre al leader ucraino neppure una domanda scomoda  sulle opposizioni messe fuori legge, sui giornalisti incarcerati, sulla “questione nazista”, sulla eliminazione dei “filorussi” nelle regioni orientali, sugli arruolamenti forzati nelle strade di “carne da cannone”, o sulle elezioni rinviate sine die nel momento di massima impopolarità del presidente.

Che dire poi della copertura politica e mediatica tesa a evidenziare un preciso ordine di Putin di uccidere Aleksey Navalny, notizia “pompata” pur in assenza di riscontri concreti da tutti gli 0rgani d’informazione in occasione della morte del dissidente: gli stessi media (e politici) che hanno del tutto ignorato (ma non Analisi Difesa) la notizia della morte per cause naturali di Navalny resa nota da una fonte non certo sospettabile di “putinismo” quale il capo dell’intelligence militare ucraino (GUR),  Kyrylo Budanov, in altre circostanze fonte quotatissima presso i nostri giornali e TV.

La propaganda è merce comune di tutti in tutto il mondo e viene utilizzata ovunque per gli stessi scopi. La classifica della libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e guidata da Norvegia, Danimarca e Svezia vede l’Italia occupare il 46° posto (5 posizioni in meno del 2023, comunque dietro a Macedonia del Nord, Figi, Samoa, Capo Verde, Mauritania, Montenegro….) e la Russia il 162°, ma questo non rende meno legittima la rappresaglia russa che risponde con la censura dei nostri media alla censura attuata dalle nazioni aderenti alla UE nei confronti dei media russi.

Piuttosto dovremmo chiederci quanto l’Italia (che in Russia mantiene consistenti interessi economici e su molte questioni legate alla guerra in Ucraina ha assunto posizioni meno belliciste di tanti partner Ue), abbia interesse ad aderire a boicottaggi e messe al bando degli organi d’informazione a cui inevitabilmente fanno seguito misure analoghe di ritorsione.

Qui non si tratta di stabilire chi meriti o meno censure e boicottaggi, che non dovrebbero esistere per nessun organo d’informazione in nessuna nazione e tanto meno nel “mondo libero”, semplicemente perché se davvero abbiamo ragioni forti e la nostra informazione è indipendente e oggettiva non dovremmo temere la propaganda altrui.

Il tema vero è come possiamo lamentarci oggi del fatto che i russi mettano al bando i nostri media quando noi abbiamo per primi cominciato a bandire i media russi fin dal 2022?

Del resto che all’Europa non stia così a cuore la libertà d’informazione lo dimostrano le tante dichiarazioni contro il pericolo delle fake-news russe che di fatto puntano a sollecitare un maggiore controllo sui media, tesi subito recepita dall’Unione Europea: un allarme tanto di moda quanto fondato su basi discutibili con cui i leader dell’Occidente cercano di attribuire alla disinformazione di Mosca i loro insuccessi determinati invece dalle politiche fallimentari adottate.

A meno che non vogliamo davvero credere che i siti fake di “Lastampa.in” e “Repubblica.in”, creati clonando quelli dei due quotidiani italiani (opera dei russi secondo il rapporto della East StratCom Task Force della UE, posta alle dipendenze dell’Alto rappresentante per la politica Estera) per diffondere in tutto una decina di articoli su temi per lo più economici con aspre critiche nei confronti della UE, abbiano influenzato marcatamente il voto dell’8 e 9 giugno. O che iniziative simili abbiano ugualmente influenzato nello stesso modo milioni di elettori anche in Francia, Germania, Polonia, Spagna e altre nazioni europee.

Quanto la UE sia preoccupata per la mancanza di libertà di stampa lo si evince bene anche dall’assordante silenzio delle istituzioni e (guarda un po?) di quasi tutti i media di fronte alle denunce di violenze contro i giornalisti in Ucraina.

Come scrive lo statunitense Politico, il regime di Kiev sta prendendo di mira i giornalisti che indagano sulla corruzione tra i funzionari pubblici e mette a tacere i critici del governo. Evgeniy Shulgat ha subito minacce per un articolo sulla corruzione nel Servizio di sicurezza ucraino (SBU).
Anche altri giornalisti ucraini che si occupano della corruzione nel paese, come Alexander Salizhenko e Yuriy Nikolov, affermano che il governo utilizza varie tattiche intimidatorie. Tutti loro sono soggetti a molestie online, accuse di evasione dal servizio militare e minacce di essere mandati in prima linea.

Prima ancora di Politico l’organizzazione Reporters sans Frontières ha più volte lamentato le difficoltà dei giornalisti ucraini e il 19 giugno ha lamentato che “la pressione contro i media indipendenti in Ucraina è in aumento da diversi mesi. Sorveglianza, minacce di arruolamento nell’esercito, maggiore controllo da parte delle autorità…

Sui media ucraini crescono pressioni politiche e ostacoli. Dall’inizio del 2024, almeno cinque giornalisti sono stati sorvegliati o minacciati a causa di pubblicazioni sulla corruzione.

RSF denuncia la nomina di un militare a direttore dell’agenzia di stampa nazionale Ukrinform il 24 maggio e la rivelazione il 29 maggio della diffusione di un elenco di ospiti da escludere dai programmi e l’impossibilità di fornire notizie attendibili sull’andamento (pessimo per Kiev) della guerra.

Su questi temi, nel febbraio 2023, chiudemmo l’editoriale intitolato “Credere, Obbedire, Soccombere” con questa frase, probabilmente ancora attuale: “Ci troviamo nel mezzo della prima guerra convenzionale combattuta sul nostro continente dal 1945 e le sue gravi conseguenze strategiche, energetiche ed economiche hanno colpito duramente l’Europa e l’Italia mentre il futuro potrebbe portarci a fare i conti con sviluppi e realtà concrete ben diversi da quelli prefigurati dalle fanfare propagandistiche che ci siamo sorbiti finora”.

@GianandreaGaian

Foto: Sky News, Carlson Tucker, MR online, Il Fatto Quotidiano, Newsweek,  Euronews, East StratCom Task Force e WSJ

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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