Sul campo di battaglia, a batteria: i veicoli elettrici per l’impiego militare

 

La crescente tendenza del mercato automobilistico civile a proporre veicoli con propulsione elettrica inizia a influenzare, ancora timidamente, anche il settore militare. Silenziosità e praticità si intrecciano a difficoltà ancora persistenti nei tempi e modi di ricarica, ma il progresso sta facendo passi da gigante, sebbene la maggior parte dei veicoli militari, specie quelli più pesanti, continuerà probabilmente per qualche decennio, od oltre, a rimanere a combustione interna o quantomeno a propulsione ibrida.

 

Ancora pionieristico, il settore dei veicoli elettrici terrestri per le forze armate promette di diventare nei prossimi anni un volano per le industrie del settore, stimolando la ricerca per superare i limiti che, per il momento, ne scoraggiano ancora un impiego su vasta scala.

Negli Stati Uniti e in altre nazioni, si sperimentano da qualche tempo veicoli logistici, ma anche tattici, che offrono indubbi vantaggi, rispetto ai veicoli con motori termici, come la facilità di manutenzione dovuta alla riduzione del numero di pezzi e in particolare delle parti mobili, l’intrinseca silenziosità e la ridottissima traccia infrarossa. Ma il peso delle batterie, la loro autonomia ancora relativamente ridotta e le modalità di ricarica lasciano ampi margini di miglioramento.

 

Più vicina sembra invece l’adozione di veicoli tattici a propulsione ibrida, diesel-elettrica, in modo da riservare la fase elettrica alle azioni di combattimento in cui sia necessario abbattere la segnatura. Il che va a corrispondere, in pratica, con quello che, in ambito marittimo, i sottomarini fanno già da più di un secolo. Mezzi ibridi farebbero così da vero e proprio “ponte” per la generalizzazione di veicoli militari totalmente elettrici in un futuro a medio termine, nell’ordine di grandezza di alcuni decenni.

Il processo di elettrificazione dei veicoli militari terrestri, che nella prospettiva più a lungo termine potrebbe, idealmente, coinvolgere anche i veicoli da combattimento più prestanti, come i carri da battaglia o i veicoli corazzati da fanteria, pare essere uno dei rari esempi in cui, a differenza della tendenza prevalente nella storia della tecnologia, è il settore civile a fare da avanguardia e traino per quello militare, e non viceversa.

Ciò anche a partire da mere considerazioni di tipo ecologico, che, se costituiscono di per sé una delle motivazioni principali in ambito commerciale, vengono di fatto “rilette” dai militari nella declinazione del complessivo abbattimento della tracciabilità da parte dei sensori nemici. Beninteso, l’adozione di motori elettrici per veicoli tattici richiederà anche lo studio e la realizzazione di efficaci sistemi di schermatura di tutte le parti attive dal punto di vista elettromagnetico.

Ciò per evitare, anzitutto, che, in un ipotetico conflitto, l’avversario possa rilevare la presenza dei veicoli elettrici captandone le perturbazioni del campo elettrico naturale cagionate dal loro funzionamento. E poi per proteggere i veicoli dagli eventuali arresto o danneggiamento a causa di potenti impulsi elettromagnetici EMP dovuti a esplosioni nucleari o a ordigni dedicati.

 

Il punto a San Diego

Dal 4 al 6 giugno 2024 s’è svolta in grandi padiglioni al porto di San Diego, in California, la fiera TEVCON, alias Tactical Electric Vehicle Conference, in cui, sotto il patrocinio del Dipartimento della Difesa USA, e dell’Energy Defence Council, diretto da Tom Holm, si sono confrontati esperti ed espositori che hanno offerto numerosi esempi di veicoli elettrici che potrebbero essere adottati dalle forze armate americane.

Fra i vari espositori spiccava la divisione militare della General Motors, la GM Defense/GM Evolve, col suo prototipo Electric Military Concept Vehicle -eMCV (nella foto sotto), realizzato sulla base della piattaforma Ultium, il sistema modulare di chassis e batterie che General Motors ha sviluppato a partire dal 2020 per tutta una serie di automobili civili a trazione elettrica.

Prodotta in varie versioni, la piattaforma Ultium consta in sostanza di un pianale a quattro ruote che integra uno o più motori, secondo varie combinazioni di trazione, anteriore, posteriore, oppure integrale. I motori possono essere di due tipi, a induzione e corrente alternata, oppure a magneti permanenti e corrente continua.

Le batterie possono essere al nichel-cobalto-manganese oppure al litio-ferro-fosfato, ma hanno in comune il formato. Sono strutturate per celle a parallelepipedo lunghe 58 cm, larghe 10 e spesse 1 cm, del peso di 1,36 kg l’una. Ogni modulo è formato da un numero di celle che va da 12 a 24, a seconda dell’ingombro, e ogni pacco batterie per veicolo va da 6 a 24 moduli.

Per realizzare l’eMCV, si è partiti dalla combinazione Ultium adottata per l’Hummer EV, la versione elettrica civile del noto HMMWV. Il prototipo militare eMCV monta un pianale con 24 moduli, il che significa che tutto il complesso di batterie pesa 783 kg. Queste alimentano tre motori elettrici che assicurano la trazione integrale con due motori sull’asse posteriore e uno su quello anteriore, per una potenza massima complessiva di 745 kW, o 1000 cavalli.

General Motors è stata finora parca di dettagli, specie riguardo alle esatte dimensioni e pesi del veicolo, seppure siano paragonabili a quelli dell’Hummer, nonché alle prestazioni complete, tuttora sotto analisi. Ha divulgato che può accelerare da 0 a 97 km/h in 3 secondi. La carica completa delle batterie permetterebbe un’autonomia di circa 530 km, ma non è dato sapere il tempo richiesto per la ricarica.

E’ però possibile una procedura di ricarica veloce, limitata a 350 kW in 12 minuti, grazie a un voltaggio di 800 V in corrente continua, che concede 160 km di autonomia.

E’ presente comunque a bordo un piccolo generatore diesel da 12 kW, per la ricarica delle batterie, ma non si può parlare di una vera propulsione ibrida, poiché, a quanto pare, il piccolo apparato a gasolio non è implicato con la trasmissione cinetica alle ruote. Le sospensioni sono le medesime dell’Hummer, ma le ruote sono un po’ più grandi, per migliorare la mobilità fuoristrada, con 37 pollici (93,98 cm) di diametro, anziché i 35 pollici (88,9 cm) originali.

L’eMCV, allora in sviluppo, fu preannunciato nel luglio 2022 da GM, che spiegò come il mezzo fosse stato scelto dall’US Army per la sperimentazione di un veicolo tattico elettrico. Il prototipo fu poi rivelato al pubblico il 27 giugno 2023 all’esposizione Modern Marine Day di Washington. Nella sua configurazione attuale, l’eMCV è un veicolo da 6 posti con abitacolo aperto in tubolari, suscettibili di una successiva integrazione con protezioni blindate.

Sulla sommità dei roll-bar è installata una ralla del diametro di 46 pollici, ossia 116 cm, che può fare da affusto per una mitragliatrice o un cannoncino da 20 mm. Ai lati dell’abitacolo ci sono inoltre due punti d’attacco per armi brandeggiabili laterali.

Oltre al General Motors eMCV vari veicoli sono stati protagonisti della TEVCON 2024. Fra le aziende presenti, c’era la Orange EV di Riverside, in Missouri, le cui catene di montaggio principali sorgono però a Kansas City. E’ specializzata dal 2012 in camion elettrici di “classe 8”, secondo la tipologia USA, che significa un peso lordo del veicolo puro (esclusi rimorchi) superiore a 33.000 libbre, cioè quasi 15 tonnellate.

Orange era rappresentata da due modelli, entrambi contrassegnati dalla tipica architettura adottata dall’azienda, ovvero l’abitacolo del guidatore disassato sulla destra della motrice e ampiamente sfinestrato, quasi a ricordare escavatori da cantiere, l’eTriever e l’Husk-e. Dell’eTriever (nelle due foto sotto), presentato nel 2022, l’azienda dichiara un cosiddetto GCWR (Gross combined vehicle weight rating), ovvero il peso massimo di tutto il veicolo, fra motrice e rimorchio, di 81.000 libbre, circa 36 tonnellate. La velocità massima a pieno carico è di 25 miglia all’ora, 40 km/h, mentre lo chassis della motrice, con apparato propulsore a corrente continua e induzione senza spazzole (brushless), è disponibile in 4×2, cioè 4 ruote totali di cui due motrici, o 6×2. Può avere una batteria da 100 o 180 kWh e i tempi di ricarica totale sono compresi entro le 2 ore.

Non è stata ancora divulgata l’autonomia, ma le capacità dell’eTriever, per quanto noto, sembrano adattabili alle esigenze dell’US Army e dell’US Marine Corps, non solo dal punto di vista logistico, ma anche tattico, potendo probabilmente trasportare o rimorchiare lanciatori di razzi e missili tattici, sul tipo dell’HIMARS e ATACMS, o anche piattaforme da difesa aerea Patriot.

Solo il trasporto di carri da battaglia o corazzati medio-pesanti, sembra a esso precluso. Vero è che, per le esigenze militari, parrebbe opportuna una parziale riprogettazione della motrice, allungandola, con l’aggiunta di almeno un asse, in modo da formare un unico veicolo integrato, senza necessità di rimorchi, specialmente nell’ipotesi di ricavarne un veicolo per lancio di vettori tattici. Inoltre, l’attuale versione di base civile ha ruote di diametro relativamente piccolo, che lasciano poca luce tra il fondo stradale e il ventre del mezzo.

Ruote più grandi sono indispensabili per aumentare l’altezza dal terreno e permettere al veicolo di avere una accettabile capacità su suolo almeno moderatamente accidentato. Diversamente, se lasciato nella configurazione civile, può comunque essere impiegato nell’impiego logistico fra le grandi basi che sorgono vicino a infrastrutture stradali.

Anche l’Husk-e (nella due foto sotto), apparso nel 2023, ha ruote piccole e una bassa sagoma, per cui valgono le medesime considerazioni riguardo a possibili modifiche al progetto base a scopo di militarizzazione. In linea di principio, è anch’esso un veicolo di ottime capacità, che Orange EV afferma di aver sviluppato per le operazioni nei porti, con attenzione alla metrica dei vari tipi di container navali, e nei grandi scali merci ferroviari, dove invece il parametro di riferimento sono carichi vagonabili con maggiori limiti in peso e ingombro. Ne sono scaturite due versioni dedicate, Rail e Port.

L’Husk-e Rail ha un GCWR di 90.000 libbre, 40 tonnellate, e a pieno carico può, partendo da fermo, raggiungere la velocità di 32 miglia l’ora, 51 km/h, in meno di 60 secondi. A pieno carico può superare una pendenza fino al 18%. La batteria ha una capacità di 243 kWh che può essere caricata entro 2 ore.

L’Husk-e Port vanta un GCWR doppio, fino a 180.000 libbre, vale a dire 80 tonnellate, e arriva alle 32 miglia orarie in 80 secondi, mentre la pendenza superabile è del 12%. La batteria ha le stesse prestazioni. E’ chiaro che qui stiamo parlando di dati relativi agli Husk-e commerciali, le cui caratteristiche potranno essere implementate per specifiche versioni militari in proporzione a eventuali investimenti resi disponibili dal Dipartimento della Difesa USA.

 

Due ruote e un sellino

Alla TEVCON 2024 era presente anche l’azienda QuietKat di Irvine, in California, una delle imprese trainanti in America nel settore delle biciclette elettriche. Le e-bikes, infatti, possono rivelarsi un’altra potenziale “breccia” da cui far passare una progressiva elettrificazione del parco mezzi terrestri delle forze armate americane, essendo veicoli a misura d’uomo, leggeri, silenziosi, e con notevoli capacitò fuoristrada.

Le bici elettriche possono essere ideali in missioni di ricognizione tattica capillare e a breve raggio, magari integrate con l’uso di piccoli droni portatili operati dai singoli soldati una volta arrivati nella zona d’interesse. Oppure possono venir impiegate da nuclei di incursori e/o sabotatori, magari in azioni notturne in cui l’aggiungersi del buio incrementa l’elusività di questi piccoli mezzi, già intrinsecamente silenti.

La QuietKat da alcuni anni propone vari modelli di e-bikes rustiche per tutta una clientela sportiva e venatoria. In particolare sono quelle per escursioni nelle terre selvagge del Nordamerica, a beneficio di naturalisti e cacciatori, che, per ovvi motivi, più si prestano a una rapida adattabilità militare.

Ma l’azienda guarda anche al mercato militare e delle forze di polizia. A San Diego spiccava in particolare il modello Lynx (nella foto sopra)più somigliante a una motocicletta da cross. Con telaio in alluminio, pesa 45 kg e ha un motore da 1kW, poco più di un cavallo, che adotta la cosiddetta VPO Technology, o Variable Power Output Technology, per dosare potenza e consumi a seconda della situazione. L’autonomia massima della batteria, in regime economico, è di 63 miglia, cioè 100 km, mentre la velocità massima è di 28 miglia l’ora, 45 km/h. Può portare un peso massimo, fra pilota e suoi equipaggiamenti, di 150 kg.

Fra altri modelli della QuietKat c’è anche la Patrol (nelle foto sopra e sotto) sempre con motore da 1kW, più possibilità di pedalata assistita. E’ già stata venduta a corpi di polizia locale statunitensi, i popolari sceriffi, attrezzata con equipaggiamenti installati sul portapacchi posteriore. La Patrol ha un’autonomia massima di 48 miglia, circa 77 km e si affianca ad altri modelli da 750 watt proposti dalla casa californiana.

Fra le prime sperimentazioni militari di e-bikes, si riscontra nell’agosto 2018 l’esempio della Norvegia. La guarnigione di frontiera GSV di Sor-Varanger, schierata lungo il confine artico con la Russia, iniziò allora a utilizzare questi mezzi, sotto al guida del colonnello Jorn Qviller, per consentire ai soldati di pattugliare la fitta boscaglia, in pieno silenzio, laddove non potevano spingersi autoblindo e gatti delle nevi.

Nel luglio 2020 l’esercito della Nuova Zelanda cominciò a collaudare bici UBCO Tauranga (nella foto sotto)per ricognizione, sorveglianza, sicurezza aeroportuale e trasporto leggero. Si tratta di veicoli del peso di 65 kg, con autonomia della batteria di 120 km e velocità massima di 50 km/h.

Anche l’Italia fu tra le prime nazioni a effettuare test simili. Nel marzo 2021 furono consegnate 9 e-bike della nota azienda Fantic Motor di Treviso alla base addestrativa del 6° Reggimento Alpini di Villa Bassa, in provincia di Bolzano, nell’ambito di un accordo tra la Fantic e Difesa Servizi.

L e bici (nella foto sopra), ottimizzate per l’impiego militare e di alta montagna, furono sottoposte per almeno sei mesi a intensa sperimentazione, anche in boschi innevati d’alta quota, da parte di elementi scelti delle brigate Julia e Taurinense. Dalla fine del 2021 furono inoltre consegnate all’Arma dei Carabinieri le prime di almeno 120 e-bike modello FIVE F90, (nelle due foto sotto) costruite dallo stabilimento di Bologna della FIVE, alias Fabbrica Italiana Veicoli Elettrici, con marchio Italwin.

Si tratta di “velocipedi” (per usare un sinonimo arcaico) adattati all’uso fuoristrada e destinati ai reparti di Carabinieri distaccati nei parchi nazionali e nelle aree protette. Dunque in un ambiente rustico e forestale non dissimile da quello degli Alpini. Dotate di telaio in alluminio, hanno una batteria al litio della capacità di 630 Wh corrispondente a un’autonomia che si aggira sui 150 chilometri.

 

L’Ucraina fa scuola

La sperimentazione di e-bikes militari è aumentata negli ultimi due anni sulla spinta delle reali, e pionieristiche, esperienze compiute dagli ucraini nella guerra contro i russi.

Fin dai primi mesi dell’invasione russa, infatti, alcuni nuclei di fanteria dell’esercito di Kiev hanno eletto le due ruote a batteria a mezzi ideali per ricognizione e trasporto di medicinali, ma anche per dare mobilità a soldati armati di fucili da cecchino o di missili anticarro portatili. I ciclisti-soldati ucraini possono sgusciare tra boschi ed edifici, appostarsi in agguato contro i russi, fare fuoco e poi svignarsela, contando sul fatto che un uomo in bicicletta è un bersaglio dalla sagoma ridottissima.

L’uso di biciclette elettriche nel conflitto russo-ucraino è documentato almeno dal maggio 2022, quando il Washington Post ha scritto della fabbrica ucraina di biciclette Eleek, situata a Ternopil, città della Galizia ex-polacca annessa all’Ucraina sovietica nel 1945.

Dall’inizio dell’invasione russa, nel febbraio 2022, la Eleek ha donato all’esercito bici a batteria di produzione commerciale. Poco dopo, il direttore della fabbrica, Roman Kulchytskyi, mentre era in un rifugio antiaereo durante i primi attacchi aerei russi, ha avuto l’idea di sviluppare una bici elettrica apposita per i militari.

Così la Eleek ha prodotto la Atom (nella foto sopra),  realizzata con batterie al litio e con pezzi di recupero tratti da sigarette elettroniche donate dalla popolazione. E’ una bicicletta a pedali, con ruote fuoristrada tipo mountain bike, ma dotata anche di un motore elettrico da 3 KW, la potenza elettrica di un appartamento.

Pesa 70 kg, porta un carico di 150 kg e le batterie durano per 150 km. Ha una sella allungata per due persone. La velocità massima dichiarata è di 90 km/h su strada. Insomma, pare quasi più una moto elettrica che una bici, ma con le batterie scariche avanza a pedali e in entrambi i casi è silenziosa e agile. Inoltre la batteria ha una presa da 220 V con cui i soldati possono ricaricare smartphone e antenne-modem con cui collegarsi a Internet tramite la rete Starlink donata da Elon Musk.

Sul territorio ucraino è attiva anche un’azienda americana di bici elettriche, la Delfast di Whittier, in California, che negli anni scorsi aveva linee di produzione in Cina, ma dal 2021 le ha trasferite a Kiev, tramite accordi con la fabbrica locale Elmiz. Le e-bike Delfast, come ha spiegato il padrone della fabbrica, Daniel Tonkopy, di origine ucraina egli stesso, hanno un’autonomia di 320 km e una velocità massima di 80 km/h, inoltre possono portare un piccolo lanciarazzi anticarro NLAW.

E’ chiaro che l’impiego in operazioni tattiche di combattimento di e-bikes può essere limitato a certe nicchie specifiche, come le operazioni in lande silvestri o urbane la cui topografia offre tutta una serie di coperture, siano esse rocce, vegetazione o edifici. In campo aperto sarebbe invece impensabile, soprattutto nell’ipotesi di fuoco nemico di saturazione di area, con granate d’artiglieria o razzi.

Un veicolo sul tipo di una bicicletta, o motocicletta, letteralmente a misura d’uomo, non può trasportare alcun tipo di protezione balistica di livello accettabile e la sua vulnerabilità risulta, in sostanza, pari a quella di un fante, mitigata soltanto dalle maggiori velocità e agilità, rispetto a un uomo appiedato, che possono ostacolare, ma non eliminare, l’ingaggio da parte degli armamenti avversari per il tiro di precisione. Velocità e agilità che, del resto, diventano praticamente inutili nel caso di esteso fuoco areale.

A riprova della validità del concetto operativo, almeno in alcune specifiche situazioni tattiche, il 18 aprile 2024 il governo tedesco ha confermato di aver consegnato, a partire dall’ottobre 2023, alle forze speciali dell’esercito ucraino circa 50 esemplari della e-bike EMU, cioè Electric Multiple Unit (nella foto sotto), prodotta dalla ditta tedesca ACS di Friedberg, in Baviera.

L’EMU pesa 80 kg, e grazie a un motore da 11 kW, dalle batterie ricaricabili in 2 ore e 15 minuti, tocca 77 km/h, con un’autonomia massima di 60 km.

L’esempio ucraino è stato studiato e ha fatto preso scuola in altre nazioni. In Gran Bretagna, per esempio, dove dal luglio 2023 soldati del British Army hanno cominciato a collaudare la bici elettrica Stealth H-52 (nella foto sotto) nel poligono di Lulworth Range, simulando, come dice il nome stesso del mezzo, l’avvicinamento furtivo a un obbiettivo per incursioni di precisione.

La H-52, prodotta dalla fabbrica australiana Stealth Electric Bikes di Melbourne, ha un’autonomia di 60 km e una velocità massima di 80 km/h. La potenza massima è di 6,2 kW e la batteria, con capacità di 2,5 kWh, richiede 3 ore per la ricarica completa.

Si è posto l’accento sulla silenziosità e perciò non ha pedali, catene, cinghie o ingranaggi classici, in senso stretto è quindi più una motocicletta elettrica che una bici, per quanto già la definizione di “e-bike” comprenda, di suo, entrambe le declinazioni.

Il telaio del mezzo anglo-australiano è stato adattato con rastrelliere per le armi, che possono essere immediatamente impugnate dal soldato-biker. In particolare, alla base di Lulworth, ci si è addestrati a organizzare attacchi di precisone, armando i ciclisti con lanciarazzi spalleggiabili anticarro Carl Gustaf da 84 mm. Il che fa immaginare lo studio di attacchi mordi-e-fuggi in un contesto di forze speciali, o nuclei di fanteria scelta, analoghi a quelli attuati dagli ucraini in sella alle loro due ruote.

In Francia, nel gennaio 2024, la Section Technique de l’Armée de Terre, o STAT, l’ente tecnico dell’esercito di Parigi, ha testato ben due modelli di e-bike di fabbricazione nazionale, sviluppati dalla LMX di Jonage, vicino a Lione. Si trattava della LMX 56, una bicicletta elettrica propriamente detta, munita di pedali, con velocità massima di 45 km/h e potenza di 2,5 kW, e della LMX 161, più una motocicletta elettrica, che invece sviluppa 9 kW di potenza, l’equivalente di 12 cavalli, e arriva a 80 km/h.

Le prove sono state condotte da personale del gruppo Battle Lab Terre dello STAT, che ha così fatto un primo bilancio: “Questa sperimentazione, che sarà ulteriormente sviluppata nel corso del 2024, dovrebbe confermare le prospettive di utilizzo di questi veicoli all’interno delle unità, per quanto riguarda la valutazione delle loro prestazioni, come velocità, autonomia e discrezione, per missioni definite, come trasmissione di informazioni, consegna di attrezzature, infiltrazione/esfiltrazione”.

Fra le più recenti novità nel settore delle e-bikes militari, il 6 giugno 2024 l’azienda americana Hi-Power Cycles, di Los Angeles, ha annunciato la creazione di una sua “defense division” dedicata a prodotti per le forze armate, svelando già un primo prototipo studiato allo scopo.

E’ la Revolution W (nella foto sotto) che è già stata reclamizzata come la “e-bike militare più veloce del mondo”:  avrebbe infatti una velocità massima di ben 80 miglia l’ora, ossia 130 km/h!

Inoltre, adottando il sistema tedesco Schlumpf High-Speed Drive, esiste l’opzione con pedalata assistita fino a 80 km/h. Il motore ha una potenza di 10,5 kw e l’autonomia tocca 160 km. Particolare cura è stata posta alle sospensioni della Revolution W, per esaltare le capacità fuoristrada, tanto che l’asse anteriore ha un’escursione di 8 pollici, oltre 20 cm, l’asse posteriore di 9 pollici, quasi 23 cm. Questo nuovo mezzo potrebbe suscitare l’interesse dell’US Army e/o dello US Marine Corps.

 

Una storia avvincente

Contrariamente a quanto possa pensare la maggior parte della gente, l’impiego di veicoli terrestri a propulsione elettrica è antico quanto quello di veicoli con motori termici. Ciò che, per oltre un secolo, ne ha limitato enormemente la diffusione, se non in nicchie ristrette come per esempio i tipici “muletti” industriali da movimentazione carichi, è stato un intreccio di cause.

Anzitutto motivi tecnologici, come il peso e la scarsa durata delle prime batterie. Ma anche ragioni di organizzazione economica e infrastrutturale, cioè l’abbondanza di petrolio fin dagli anni a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, col conseguente rapido sviluppo di reti di distribuzione commerciale di benzina e gasolio che permisero alla diffusione della motorizzazione, lungo tutto il XX secolo, di essere indipendente dalla rete elettrica, non sovraccaricandone l’espansione.

A riprova del potenziale che i veicoli elettrici avevano già alla fine dell’Ottocento, dopo che si erano affermate le prime batterie ricaricabili agli acidi di piombo, si pensi che la prima automobile che superò 100 km/h era elettrica. Il record s’inquadrò in un’avvincente sfida che vale la pena narrare in poche righe.

In Francia, fin dal 1881 l’ingegnere Charles Jeantaud costruì una vettura elettrica, la Tilbury, considerata la prima della storia. Incoraggiato dagli esperimenti, aprì a Parigi nel 1893 una fabbrica che per alcuni anni sfornò, a beneficio di clienti danarosi, quelle che in pratica erano carrozze in cui le batterie e gli avvolgimenti di rame avevano preso il posto dei cavalli.

Verso la fine del secolo Jeantaud sviluppò il veicolo Duc, con elettromotore da 26,8 kW, circa 35 cavalli, affidato a un pilota di fiducia, il conte Gaston de Chasseloup-Laubat. Ad Achères, il 18 dicembre 1898 la vettura stabilì il primo record di velocità al mondo per automobili, segnando una punta di 63 km/h.

A questo punto entrò in scena lo sfidante, il costruttore belga Camille Jenatzy, che pilotando una sua auto elettrica, la GCA Dogcart, si alternò più volte, fra il gennaio e il marzo 1899, a Jeantaud come detentore del record, sul campo di Achères. Dopo un’altalena, il 4 marzo, il primato tornò a Jeantaud e al conte Gaston grazie a una nuova versione, più profilata aerodinamicamente, della sua Duc, che registrò 92 km/h.

A quel punto Jenatzy lavorò a una nuova versione della sua auto, la N.25 “La Jamais Contente” (“La mai contenta”). Era monoposto con scocca a forma di siluro in lamiera di “partinium”, una lega d’alluminio arricchito con tungsteno e magnesio. Lunga 3,8 metri, pesava 1450 kg, di cui metà spettavano alle batterie, accumulatori Fulmen in 100 elementi da 2 V l’uno. I motori elettrici erano due Postel-Vinay da 25 kW l’uno, per una potenza totale di 50 kW, ovvero 68 cavalli. Sempre ad Achéres, il 29 aprile 1899 Jenatzy si pose alla guida del suo “siluro” e lanciandolo su un rettilineo di circa 2 km lo spinse alla vertiginosa, per l’epoca, velocità di 105 km/h. Per la prima volta un’automobile superava i 100 all’ora, ed era mossa dall’elettricità.

La sfida Jeantaud-Jenatzy illuse molti costruttori, ma alla fine, dopo il 1900, furono i veicoli a combustione interna ad affermarsi su quelli elettrici, per le ragioni sopra esposte. Non mancarono, però, tentativi interessanti di veicoli elettrici militari, specie durante la Prima Guerra Mondiale.

In Francia, per risolvere il problema del superamento delle trincee, Gustave Gabet progettò e costruì nel 1915, insieme al collega Aubriot, uno strano triciclo corazzato, il Cuirasse Aubriot-Gabet derivato da un trattore Filt, che era mosso da un motore elettrico alimentato non da batterie, bensì da un lungo cavo che partiva da un generatore presso le trincee amiche. Aveva un equipaggio di due uomini e un cannone da 37 mm in torretta rotante. Fu subito scartato, per l’ovvia vulnerabilità dell’alimentazione via cavo.

Intanto, nell’Impero Austro-Ungarico l’allora giovane ingegner Ferdinand Porsche, che già nel 1900 aveva creato la vettura civile elettrica Lohner-Porsche, realizzava per la Austro-Daimler un trattore d’artiglieria a propulsione ibrida, entrato in servizio nel 1916 con l’Imperial-regia Armata degli ultimi Asburgo.

Era il cosiddetto “treno benzo-elettrico” Artillerie-Generatorauto M16 (nella foto sotto) un sistema formato da un autocarro 4×2 che montava un motore a benzina Daimler a 6 cilindri da 150 cavalli innestabile su una dinamo da 70 kW. Alla motrice, che essa sola pesava 9 tonnellate, erano agganciati uno o più rimorchi dotati di motori elettrici alimentati da un cavo che partiva dalla motrice. Poteva raggiungere una velocità massima di 14 km/h e trasportare anche gli obici d’assedio Skoda da 380 e 420 mm.

Su strada poteva trainare fino a 5 rimorchi, che salivano però a 15 su rotaia, essendo adattabile anche al movimento ferroviario sostituendo le ruote stradali con diametro di 103 cm con cerchioni da 72 cm. Dopo il 1918, alcuni esemplari residuati del treno benzo-elettrico di Porsche vennero reimpiegati come prede belliche da Italia e Cecoslovacchia.

Rimase invece un unico prototipo sperimentale il carro armato americano Holt Gas-Electric Tank, frutto di un progetto comune avviato nel 1917 tra la fabbrica di trattori Holt e la famosa General Electric.

Cingolato ibrido, fu completato all’inizio del 1918 e risultò una specie di vagone squadrato lungo 5 metri e pesante 23 tonnellate. Privo di torrette, era armato con un obice da montagna Vickers da 75 mm in casamatta nel muso, più due mitragliatrici Browning da 7,62 mm in barbette laterali.

Gestito da un equipaggio di 6 uomini, aveva un motore a benzina Holt a 4 cilindri da 90 cavalli che azionava un apparato General Electric costituito da un generatore collegato a due motori elettrici, uno per ogni cingolo. La velocità massima era di 10 km/h e l’autonomia di 50 km, prestazioni abbastanza in linea con quelle dei veicoli corazzati di un secolo fa. Tuttavia, probabilmente per problemi di bilanciamento dei pesi, si dimostrò troppo scarso nel superamento delle pendenze.

Sempre sul finire della Prima Guerra Mondiale, i francesi svilupparono un veicolo simile al treno benzo-elettrico di Porsche, facendone il loro primo semovente d’artiglieria cingolato. Si trattava del Canon de 194 GPF, prodotto dalle officine Saint Chamond e progettato da Emile Rimailho.

Era un veicolo multiplo formato da due complessi cingolati a motore elettrico. L’avantreno portava un motore a benzina Panhard da 120 cavalli che azionava il generatore elettrico, nonché le munizioni. Il secondo cingolato, collegato al primo da una barra rigida e dal cavo elettrico, costituiva l’affusto dell’arma, un cannone da 194 mm con gittata massima di 20 km. Il prototipo del 194 GPF era ancora incompleto nel 1918 e non fece in tempo a partecipare alla Grande Guerra. Fu però prodotto in 50 esemplari entrati in servizio con l’esercito francese dal 1920 e ancora attivi all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni esemplari, catturati nel 1940 da tedeschi e italiani, furono da essi utilizzati sporadicamente fino al 1944.

Come si vede, l’inadeguatezza delle batterie di allora, spinse presto i prematuri tentativi di elettrificazione dei veicoli terrestri militari nella direzione dell’ibrido. Lo stesso Porsche, memore del suo treno benzo-elettrico, non esitò a optare per il sistema ibrido quando, nel 1941, il governo della Germania nazista indisse la gara d’appalto che lo vedeva opposto alla Henschel per la realizzazione del nuovo carro armato pesante Tiger.

Il 20 aprile 1942, giorno del 53° compleanno di Adolf Hitler, al dittatore vennero presentati, a mo’ di “regalo”, i due prototipi concorrenti per il programma Tiger, quello della Henschel, a motore convenzionale, che poi risultò vincitore, e quello di Porsche.

Quest’ultimo, designato VK.45.01 (P), o Tiger (P) per distinguerlo dal Tiger (H) della Henschel, era un colosso da 60 tonnellate, lungo 6,7 m, escluso il cannone Krupp da 88 mm la cui torretta era all’estrema prua dello scafo.

L’apparato propulsivo constava di due motori Porsche a benzina, 10 cilindri a V, da 320 cavalli l’uno, che azionavano due generatori Siemens che a loro volta alimentavano due motori elettrici Siemens da 230 kW, uno per cingolo. La velocità massima era di 35 km/h e l’autonomia di soli 105 km su strada, che scendeva a poche decine fuoristrada.

I collaudi del Tiger (P) andarono avanti per alcuni mesi, ma il Panzer ibrido di Porsche rivelò problemi di mobilità, complessità meccanica, specie in fatto di manutenzione e surriscaldamento, unitamente al fatto che la sua fabbricazione in massa avrebbe richiesto troppo rame.

Nell’agosto 1942 fu la Henschel a poter iniziare la produzione in serie del suo noto Tiger, mentre il progetto di Porsche venne solo in parte salvato derivandone i semoventi Elefant. Ma di fatto, l’elettricità sul campo di battaglia restava emarginata.

 

Uno scarabeo francese

Eclissato per decenni a dispetto della lunga storia che abbiamo solo riassunto in breve, l’uso dell’elettricità per veicoli militari si è in realtà occultato temporaneamente, riemergendo come un fiume carsico all’inizio di questo XXI secolo.

Alla base della rinascita, la graduale diffusione di automobili civili elettriche, originata a sua volta dalla diffusione, dopo il 1990, delle moderne batterie al litio, che di riflesso ha stimolato ulteriori ricerche nel settore, nonché dalle crescenti preoccupazioni per l’inquinamento da combustibili fossili. Era inevitabile che, per i citati vantaggi di silenziosità e ridotta traccia termica, l’elettrico tornasse a interessare le industrie militari, anche in una prospettiva strategica di lungo periodo volta a svincolarsi, gradualmente, dai condizionamenti geopolitici dovuti alle risorse petrolifere.

Uno dei primi esempi del rinnovato interesse è l’autoblindo ibrida ad alta mobilità francese Scarabée, che il colosso Arquus ha studiato e costruito come iniziativa privata fin dal 2018, presentandola per la prima volta all’edizione di quell’anno del salone Eurosatory.

La vera piattaforma di lancio dello “scarabeo” francese è stata però nel 2021 il salone IDEX di Abu Dhabi, prima sua trasferta all’estero per essere proposto sul mercato mondiale.

Anche se ancora non in servizio operativo, né in Francia né altrove, lo Scarabée è stato in lizza per sostituire almeno 700 VBL (Véhicules Blindés Légers) attualmente operativi nell’Armée de Terre. Molto compatto e con linee stealth, il veicolo pesa circa 8 tonnellate e ha un motore diesel a 6 cilindri a V da 300 cavalli, posizionato nel comparto posteriore. A esso è abbinato un motore elettrico da 70 kW.

Le batterie al litio, ricaricabili dal motore termico, hanno una capacità di 12 kWh e sono studiate per consentire allo Scarabée di operare in zona di combattimento per l’equivalente di 10 km, abbattendo la rumorosità. La velocità massima è di 130 km/h e la maneggevolezza è implementata dalla doppia sterzatura, su entrambi gli assi, che da un lato consente un’inversione a U in un raggio di soli 11 metri, dall’altro, angolando gli assi in parallelo, gli permette di procedere quasi di lato, letteralmente come un granchio. Tutte prodezze ideali in ambiti angusti, come quelli urbani. Il che fa perfino sospettare che i progettisti di Arquus abbiano, forse, avuto in mente le banlieu.

Il veicolo francese, stando a quanto dichiarato da Arquus, assicura una notevole protezione balistica ai suoi 4 membri d’equipaggio, grazie a una vera e propria cellula di combattimento. Il pilota ha una visuale di 200 gradi, grazie alle ampie sfinestrature in blindovetro.

Nasce idealmente come veicolo tattico esplorante che potrebbe precedere in avanscoperta le formazioni con mezzi corazzati, appoggiandole contro la fanteria avversaria e indicando gli obbiettivi grazie a sensori e piccoli droni da ricognizione imbarcati.

L’armamento principale varia a seconda delle versioni proposte, ma in sostanza ruota attorno alla torretta a controllo remoto Hornet, prodotta essa stessa da Arquus. Può montare una mitragliatrice Browning da 12,7 mm, un cannone da 30 mm o un lanciagranate da 40 mm, ma anche vari tipi di missili anticarro a cominciare dal MILAN. Sotto l’affusto principale, inoltre, la torretta Hornet dispone di una corona coassiale con lanciafumogeni.

Dall’altra parte dell’Atlantico, la General Motors, prima di sviluppare la citata eMCV, ha realizzato nel 2021 un veicolo assai più leggero dello “Scarabeo”, ovvero la versione elettrica dell’ISV, Infantry Squad Vehicle, basato sul telaio dell’autoveicolo civile Chevrolet Colorado ZR2.

E’ l’eISV, che a differenza del veicolo originale porta solo 5 soldati, anziché i 9 originari, ma dispone di un pianale di carico. Pesa solo 2,2 tonnellate ed è facilmente trasportabile per via aerea, perfino paracadutabile.

Non è certo un veicolo da prima linea, essendo privo di protezione, con la sua architettura aperta in tubolari, ma può essere prezioso per l’appoggio logistico a livello di plotone, l’avvicinamento e il rapido disimpegno. L’eISV ha un motore elettrico trifase eCrate a magnete permanente e corrente alternata trifase da 150 kW, ovvero 200 cavalli, alimentato da una batteria al litio da 66 kWh.

 

Tra pianificazione, politica e propaganda

A differenza di altri paesi, negli Stati Uniti l’elettrificazione dei veicoli militari segue una tabella di marcia fissata, forse più per motivi ideologici che pratici, dalla stessa amministrazione del presidente Joe Biden, che nel dicembre 2021 ha pubblicato il suo Federal Sustainability Plan, che richiede di abbattere entro il 2035 le emissioni inquinanti di tutti i veicoli appartenenti al governo federale, considerando che tutti i mezzi afferenti al Dipartimento della Difesa concorrono per il 56% delle emissioni di gas serra.

Biden s’è fatto prendere la mano da questa battaglia e il 22 aprile 2022, parlando a Seattle per la Giornata della Terra, ha affermato: “Stiamo iniziando il processo che renderà ogni veicolo militare degli Stati Uniti, ogni veicolo, un amico del clima. Ogni veicolo!”.

Ma è chiaro che c’è dietro anche molta propaganda. Nel commentare le uscite del presidente, il deputato repubblicano Jim Banks (nella foto a lato), della Commissione Forze Armate della Camera USA, nonché ex-ufficiale della US Navy, ha sbottato: “Chiunque abbia un minimo di esperienza nella logistica militare, sa che il mandato di Biden sui veicoli elettrici è una farsa politica”.

E un ex-vice consigliere della Sicurezza Nazionale con un passato da ufficiale dei Marines, Matt Pottinger (nella foto sotto): “Ho incontrato molti ordigni IED sulle sporche strade dell’Afghanistan, ma nessuna stazione di ricarica. Dipendiamo dalla Cina per la maggior parte delle nostre catene di rifornimento in termini di veicoli elettrici e questa tendenza è preoccupante. Era già dura quando dipendevamo dagli alleati del Medio Oriente per i nostri bisogni energetici. Ma mettere questi bisogni, compresi quelli dei militari, nelle mani del nostro principale avversario è, per usare un termine tecnico, piuttosto stupido”.

Considerato il ruolo preponderante della Cina nella produzione industriale di batterie, pannelli solari e quant’altro sia legato alla “rivoluzione Green”, sembra quindi temerario che il governo USA si autoimponga una politica di elettrificazione forzata, per giunta in tempi forse troppo brevi affinché si possa adeguatamente rimediare con una riorganizzazione industriale e finanziaria del settore. L’US Army, sulla scia del governo, ha pubblicato una propria Climate Strategy che indica il 2035 come anno limite entro cui adottare veicoli tattici ibridi, e il 2050 come scadenza per arrivare a veicoli tattici puramente elettrici.

Nell’ottobre 2023 l’esercito americano ha preannunciato di essere pronto a varare un programma di futuri prototipi per rispondere al concetto di Electric Light Reconnaissance Vehicle, o eLRV. A tale scopo, il direttore del Ground Vehicle Systems Center, Dean McGrew, ha spiegato che, per familiarizzare il personale dell’US Army coi parametri che serviranno a definire gli standard per le specifiche eLRV, sono stati condotti esperimenti con vari tipi di SUV civili elettrici al Michigan’s Joint Maneuver Training Center e alla base di Fort Moore, in Georgia, per rendersi conto se sia fattibile l’obiettivo di un’autonomia “all-electric” di 50 miglia (80 km) su terreno vario, comprese le distese sabbiose.

Come ha spiegato McGrew: “E’ molto più facile per noi iniziare da un veicolo leggero facendo leva su capacità commerciali che tentare di progredire da soli su un pesante trattore”. In base agli esperimenti il concetto dell’eLRV è quello di un veicolo da esplorazione che dovrebbe pesare non più di 6 tonnellate, circa, mosso da una potenza compresa fra 250 e 300 kW.

 

Un carro tutto elettrico?

L’US Army sta spendendo sempre di più in ricerche sui veicoli elettrici. Si parla di 47,8 milioni di dollari nel 2022, quasi raddoppiati a 78,4 milioni nel 2023 e in seguito quadruplicati a 270,6 milioni nel 2024.

Ma le perplessità sono più diffuse tra i militari statunitensi di quanto si creda, specie riguardo al traguardo, forse troppo ambizioso di un veicolo corazzato da combattimento elettrico. Nel giugno 2023 il generale Ross Coffman ha ammesso: “Non esiste la tecnologia per un carro armato interamente elettrico che possa ricaricarsi nella finestra di tempo tatticamente rilevante di 15 minuti che i servizi richiedono”.

Per caricare le batterie di un veicolo cingolato da, poniamo, 50 tonnellate, in un quarto d’ora, servirebbe un generatore da 17 MW, quasi 20 volte più grande dei generatori mobili tuttora a disposizione dell’US Army.

Ecco perché Coffman ha osservato: “Elettrificare veicoli di supporto operanti nelle retrovie è una cosa, ma per veicoli pesanti che possono incassare un pugno e sferrare un altro pugno, la quantità di batterie necessarie sulle grandi distanze, e l’abilità di caricarle in fretta, sono una sfida per noi”.

Ricordando che, a differenza dei veicoli leggeri, in cui si può capitalizzare facilmente tutto un patrimonio tecnico proveniente dall’automobilismo elettrico civile, nel caso di mezzi molto pesanti ci si trova a fare tutto praticamente da zero: “Non c’è ritorno industriale nell’investimento per rendere pienamente elettrico un carro da 70 tonnellate”.

Un’esperienza molto pionieristica, anche se limitata a un cingolato corazzato da fanteria (IFV, Infantry Fighting Vehicle) e non a un carro pesante da battaglia (MBT, Main Battle Tank), è stata condotta dal Rapid Capabilities and Critical Technologies Office (RCCTO) dell’US Army, che ha collaudato due M2 Bradley modificati a propulsione ibrida diesel-elettrica dalla BAe Systems e dalla Qinetiq, che avevano iniziato questo programma nel 2020 grazie a un contratto da 32 milioni di dollari.

Il Bradley, come noto, pesa 27 tonnellate ed è armato con una mitragliera pesante Bushmaster da 25 mm, due missili anticarro TOW e una mitragliatrice M240 da 7,62 mm. Normalmente è mosso da un motore diesel Cummins da 600 cavalli, ha una velocità massima di 56 km/h e un’autonomia di 400 km.

La modifica è consistita nell’installare una propulsione elettrica, i cui dettagli non sono rivelati, alimentata da un generatore mosso sia dal motore, sia da sistemi di recupero cinetico sviluppati dalla Qinetiq per veicoli cingolati, e che sono ispirati ad analoghi sistemi che sulle automobili civili recuperano energia dalle frenate. I due ibridi, designati BHEV (Bradley Hybrid Electric Vehicle) sono stati provati a partire dal 28 gennaio 2022, inizialmente al centro collaudo della BAe a Sterling Heights, in Michigan. Dal luglio 2022 sono state condotte nuove prove al poligono militare dell’Aberdeen Proving Ground, in Maryland, e in seguito allo Yuma Proving Ground dell’Arizona.

Il direttore dell’RCCTO, generale Robert Rasch, ha definito ufficialmente conclusi gli esperimenti sui due Bradley ibridi il 25 agosto 2023, limitandosi a dire che “sono stati accumulati buoni dati” e che i due prototipi hanno in totale marciato per “500 miglia” (oltre 800 km).

Poi, il 4 ottobre, il vicepresidente di BAE Systems, Jim Miller, ha preannunciato che un simile sistema ibrido verrà adattato su uno dei nuovi AMPV (Armored Multi-Purpose Vehicle), cingolati da fanteria derivati dal Bradley (nella foto sotto), che la ditta sta consegnando all’US Army dal 2023 per rimpiazzare i vecchi M-113.

Lo stesso generale Rasch ha evocato “nuovi sforzi di prototipazione ibrido-elettrica durante il 2024 guardando principalmente all’AMPV e forse allo Stryker (che è un’autoblinda a 6 ruote, n.d.r.)”. Secondo Rasch, infatti, “il Bradley ha un compartimento motore molto piccolo, così, se io riesco a realizzare dentro di esso un apparato ibrido, potrò poi riportarlo in scala su altri mezzi”. Miller, inoltre, incalza: “C’è il potenziale per mutuare questa capacità su veicoli anche di 40 o 60 tonnellate con pochi aggiustamenti”.

Meno ottimista è il Corpo dei Marines. Il capo del Marine Corps’ Expeditionary Energy Office, Reginald Thomas, ha ammesso che il corpo è più cauto dell’esercito e mantiene attualmente una posizione da osservatore: “ l’Esercito si è posto questo obiettivo ma non c’è nulla che l’USMC abbia adottato”.

I Marines hanno per loro natura preoccupazioni logistiche dovute al timore di non poter ricaricare adeguatamente i veicoli nel caso di operazioni su spiagge desolate, ma anche a causa della possibile vulnerabilità dei veicoli elettrici in ambiente acquatico, che richiedono accortezze progettuali.

Tutti i veicoli tattici dei Marines devono poter procedere in acqua profonda almeno 1,5 metri. Ma è noto che molti veicoli elettrici si sono incendiati in caso di alluvioni, specie in ambiente di acqua marina, per il fenomeno detto “fuoriuscita termica”.

Tuttavia i Marines stanno iniziando a studiare un possibile sistema ibrido-elettrico per il loro nuovo programma Medium Tactical Truck che dovrebbe sostituire i loro mezzi logistici entro il 2042. Si tratta, per ora, di un dimostratore tecnologico lungo 3,5 metri che sta prendendo forma all’Office of Naval Research in collaborazione col Nevada Automotive Test Center. Inoltre, fra 2024 e 2025 i Marines lavoreranno anche a un prototipo ibrido da circa 100 kW ottenuto modificando un veicolo tattico leggero Polaris MRZR (nella foto sopra), normalmente spinto da un turbodiesel da 90 cavalli.

 

Pro e contro

Abbiamo visto come la sperimentazione di veicoli militari elettrici stia procedendo a passi da gigante, ma molti restano i problemi sul campo. Anzitutto, l’impressione è che per molti anni sarà decisamente impossibile spingersi al di là del sistema ibrido per i veicoli da combattimento.

Una propulsione interamente elettrica, presuppone infatti fonti sicure di ricarica. Ma se queste possono essere disponibili in grandi basi allacciate a una rete elettrica funzionante, il che in tempo di guerra può essere decisamente un lusso, come risolvere il problema nel caso di operazioni ad alta intensità in territori devastati oppure lontani dal proprio territorio metropolitano?

Una notevole spinta verso l’elettrico, anche solo “emozionale” era stata data dalla volontà di non trovarsi, come i russi in avanzata su Kiev nel marzo 2022, condizionati dalla dipendenza da lunghe colonne logistiche, con centinaia di autocarri carichi di carburante, come in quella colonna di 60 km che avanzava, vulnerabilissima in fila indiana, sulla rotabile verso la capitale ucraina, esposta ad attacchi sui fianchi.

Ma, anzitutto, se si opta per l’ibrido, è chiaro che il motore a combustione interna a cui è deputata la ricarica delle batterie del propulsore elettrico, consuma esso stesso benzina o gasolio, dunque non ne azzera il bisogno.

E’ vero che nei vari esperimenti nel settore sono stati registrati mediamente risparmi del 20% di carburante, a parità di distanza percorsa, rispetto al medesimo veicolo in versione con solo motore termico.

O almeno così è stato dichiarato. Ma è evidente che gli eserciti continueranno per molto tempo a non poter fare a meno di motori termici. Se veicoli molto piccoli, come le e-bikes, possono essere eventualmente caricate con pannelli solari, lo stesso è impossibile, all’attuale stadio tecnologico, con veicoli di mole già automobilistica, per non parlare di camion o cingolati. L’elettricità, del resto, non è una fonte di energia di per sé, ma solo una forma di trasmissione e utilizzazione della medesima. La vera fonte primaria può essere solare, oppure termica, come nel caso dei veicoli ibridi. Ma, in ultima analisi, anche quando le batterie vengono ricaricate mediante un cavo connesso a una rete, la fonte può essere una centrale termoelettrica.

Sotto tale aspetto si potrebbe dire quindi che un veicolo ibrido non fa che avere a bordo la sua propria centrale termoelettrica “privata”. Ma in tal caso deve avere anche il combustibile necessario.

Anche per l’alimentazione a celle combustibile di idrogeno, in origine occorre sempre una rete elettrica che a monte ottenga l’idrogeno per idrolisi dell’acqua. Veicoli interamente elettrici, specie in ambito militare, sembrano difficili da immaginare per ruoli che non siano di retrovia, dove c’è abbondanza di connessioni alle infrastrutture energetiche.

In caso contrario occorrerebbe spostare il concetto dalla ricarica delle batterie alla loro continua sostituzione sul campo con batterie nuove e colme provenienti dai sicuri retroterra industriali del paese belligerante. In questo scenario, le colonne logistiche cariche di carburante per i mezzi assetati verrebbero semplicemente rimpiazzate da altrettante autocolonne cariche di pesanti batterie nuove, in un pazzesco viavai aggravato dalla necessità di riportare alle basi e/o alle industrie le batterie esauste, presumibilmente troppo costose per essere abbandonate sul campo, affinché vengano ricaricate per poi tornare al fronte.

Rischierebbe di diventare un incubo logistico, tenuto conto anche che si dovrebbero fare i conti del rapporto fra peso trasportato ed energia effettivamente erogata dal carico, in potenza e in durata, rispetto al potenziale intrinseco del carburante chimico.

Un’alternativa teorica, ma soltanto teorica, potrebbe intravedersi nella miniaturizzazione di migliaia di reattori nucleari, a fissione o più semplicemente a radioisotopi, le sole fonti energetiche in grado di garantire una potenza apprezzabile, di grande durata nel tempo (nell’ordine delle settimane o mesi) e di notevole compattezza.

E’ quanto già accade da decenni in campo navale, specialmente sui sottomarini, ma una diffusione così capillare di sistemi nucleari sulle migliaia di veicoli, tattici o logistici, che compongono un esercito moderno, magari attraversante territori fittamente abitati, è fuori discussione per ovvi motivi di sicurezza.

Le inevitabili distruzioni di mezzi causate dai combattimenti diffonderebbero ovunque sostanze radioattive. Inoltre rendere disponibile un numero altissimo di mini-reattori nucleari alla massa di soldati che compongono un esercito espone a rischi anche legati a manutenzione e gestione di sistemi che richiedono perlomeno una preparazione specializzata di tipo universitario. Senza contare che aumentare esponenzialmente rischi ambientali legati al nucleare dopo aver demonizzato i carburanti chimici perché dannosi suonerebbe letteralmente, e tragicamente, ridicolo.

In sostanza, l’applicazione dell’elettricità ai veicoli terrestri militari è certamente, nel suo complesso, foriera di fattori positivi in numerose nicchie d’impiego, ma, a meno di evoluzioni tecnologiche ancora imprevedibili, non sembra avere ancora, almeno per vari decenni a venire, quel carattere rivoluzionario tale da poter davvero mandare in pensione in modo totale il rombo dei cilindri.

 

Gestione e manutenzione in sicurezza

L’adozione di veicoli ibridi (HEV . Hybrid Electric Vehicle) ed elettrici (BEV – Battery Electric Vehicle) da parte delle Forze Armate o di altri corpi dello Stato (come i Vigili del Fuoco che in Italia hanno ordinato alcune decine di mezzi) comporta necessariamente l’aggiornamento delle attrezzature e delle procedure di manutenzione e/o di intervento in caso di incidente con modalità e dotazioni specifiche per questo tipo di veicoli.

Quando si interviene su veicoli a propulsione ibrida o elettrica, per un’operazione di soccorso o per la manutenzione, è necessario adottare specifiche misure di sicurezza per ridurre al minimo sia il rischio elettrico, determinato dall’alta tensione della batteria, sia il rischio meccanico, dato dal fatto che il veicolo possa muoversi inavvertitamente nel corso dell’intervento.

Ricercatori, specialisti ed aziende stanno sviluppando strumenti idonei a gestire in sicurezza gli interventi manutentivi e quelli di soccorso su veicoli ibridi ed elettrici incidentati, limitando i rischi di incendio delle batterie e di movimento involontario.

Grazie ad una collaborazione tra ingegneri italiani e tedeschi, è stato sviluppato dall’azienda BREMI il dispositivo EV-SaFe, in grado di verificare lo stato di sicurezza dei veicoli PHEV (Plug.In Hybrid Electric Vehicle) e BEV (Battery Electric Vehicle) attraverso una tecnologia all’avanguardia.

L’utilizzo di un microprocessore RISC a 32bit e un’interfaccia WiFi permettono all’utilizzatore di collegare lo smartphone, rendendolo uno strumento innovativo e rivoluzionario.

Robusto e compatto, EV-SaFe è stato concepito per un utilizzo autonomo in situazioni gravose, quali gli interventi di soccorso su veicoli PHEV (Plug.In Hybrid Electric Vehicle) e BEV (Battery Electric Vehicle) coinvolti in incidenti, ed è stato per questa ragione già adottato da alcuni reparti dei Vigili del Fuoco.

Grazie alla batteria interna agli ioni di litio, si ricarica da una qualunque presa di corrente rendendolo autonomo nell’utilizzo.

Collegato alla presa di ricarica del veicolo, EV-SaFe in pochi secondi entra in comunicazione con i sistemi elettronici di bordo (protocollo SAEJ1772), da cui riceve informazioni fondamentali sull’isolamento elettrico delle batterie, sulla temperatura dello chassis del veicolo e procede all’immobilizzazione dello stesso. Le luci LED, rossa o verde, indicano lo stato di sicurezza del veicolo.

EV-SaFe di BREMI racchiude tre utili funzioni in un unico strumento portatile: messa in sicurezza dei veicoli ibridi ed elettrici, diagnosi di efficienza dell’interfaccia della presa di ricarica e ricarica della batteria del veicolo nel rispetto dei più alti standard di sicurezza.

 

Foto: Tevcon, General Motors Defence, QuietKat, UBCO, Bremi, D-Move, Eleek, ACS, Steath Bike, Italwin, FIVE, LMX, HI-Power Cycles, Wikipedia, Warthunder, Arquus, CBS , WSJ, US Army, BaE Systems e Polaris.

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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