La NATO umilia l’Italia ma lamentarsi non è sufficiente

 

L’Italia offesa, umiliata e ancora una volta marginalizzata nei rapporti interni all’Alleanza Atlantica. Il “successo” rivendicato dal governo italiano dopo che il summit NATO di Washington aveva ufficializzato la nomina di rappresentante speciale per i Paesi del Fianco Sud dell’alleanza non rappresentava in realtà nulla di così rilevante.

Specie se si considera che l’Italia chiede da molti anni una maggiore attenzione al South Flank della NATO, quello del Mediterraneo, peraltro reso instabile proprio dai maggiori alleati della NATO considerando che la destabilizzazione di Nord Africa e Sahel è conseguenza diretta delle primavere arabe del 2011 sostenute dall’Amministrazione Obama e della guerra alla Libia di Muammar Gheddafi scatenata da USA, Gran Bretagna e Francia e poi conclusa nell’ottobre di quell’anno in seguito all’intervento aereo della NATO.

L’alleanza, concentrata dal 2008 (vertice di Bucarest) e soprattutto dal 2014 (Maidan) sul Fianco Est e il contrasto alla Russia, ha sempre risposto alle richieste italiane con tante parole e poche concessioni di nessuna rilevanza strategica che Roma ha sempre voluto interpretare come gesti di buona volontà.

Nel 2016 venne istituito a Napoli il NATO Strategic Direction-South HUB, poco più di un centro studi “concepito per aumentare la comprensione da parte della NATO delle dinamiche regionali del Nord Africa, del Medio Oriente, del Sahel, del Sub-Sahara e delle aree adiacenti” come si legge sul suo sito internet.

Al contrario Roma non ha mai lesinato contributi agli sforzi della NATO sul Fianco Est (e sul Fianco Nord tra Norvegia e Artico) né più recentemente alle nuove intese con Australia e Giappone nell’Indo-Pacifico (regione dove in questi giorni Roma schiera una ventina di velivoli di Aeronautica e Marina, la portaerei Cavour e la fregata Alpino) ma non ha mai smesso di chiedere agli alleati maggiore attenzione al Mediterraneo.

La nomina di un rappresentante speciale per il South Flank, approvata al summit di Washington, sembrava quindi costituire un ulteriore “contentino” a Roma, dal valore quanto meno simbolico. Invece il segretario generale uscente della NATO, Lens Stoltenberg, ha attribuito il nuovo incarico allo spagnolo Javier Colomina, uno dei suoi vicesegretari che ha già diverse deleghe rilevanti: Affari Politici e Politica di Sicurezza oltre che Speciale Rappresentante per il Caucaso e l’Asia Centrale.

Ci sono diversi modi per interpretare tale decisione, nessuno dei quali digeribile dall’Italia tenendo anche conto che il vicepremier e ministro agli Affari Esteri Antonio Tajani aveva lasciato intendere che Roma avrebbe avuto buone possibilità di vedere un proprio candidato ricoprire la nuova posizione in ambito NATO.

Affidare a Colomina un ulteriore incarico oltre ai due gravosi che già ricopre significa sminuire proprio il ruolo dello speciale rappresentante per i Paesi del Fianco Sud, con il risultato di ridicolizzare due volte quanto sollecitato dall’Italia: la prima volta attribuendone un peso irrilevante, la seconda negando l’incarico a uno dei tre italiani segnalati da Roma.

Del resto Colomina già si occupa di Caucaso e Asia Centrale, cioè del “ventre molle” della Russia: difficile non intuire quali priorità potrà attribuire al Mediterraneo in una NATO che ha fatto della guerra ai russi con la pelle degli ucraini la sua ragione di sopravvivenza.

Anche la giustificazione, accampata dopo le proteste italiane, che si tratta di una soluzione ad interim modificabile dopo l’insediamento, all’inizio di ottobre, del nuovo segretario generale Mark Rutte lascia il tempo che trova.

Stoltenberg ci ha abituato a gaffes e dichiarazioni sopra le righe (tema di cui Analisi Difesa si è già occupata in tempi recenti e con un editoriale intitolato Alla NATO Stoltenberg fa più danni di Putin) e recentemente è stato smentito anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani quando ha affermato che l’alleanza valutava di schierare armi nucleari ai confini russi: ciò detto il segretario generale ha sempre risposto ai “principali azionisti” della NATO, cioè gli anglo-americani, non certo alla collegialità dei 32 stati membri e le sue dichiarazioni hanno sempre rispettato persino le note di linguaggio anglo-americane.

Nulla avrebbe vietato di rimandare la nomina del nuovo rappresentante speciale all’insediamento di Rutte, circa il quale è meglio non farsi troppe illusioni in Italia. L’approccio dell’ex premier olandese nei confronti di Roma lo ricordiamo bene in ambito UE (altro contesto in cui Roma sta incassando sganassoni) sul tema del deficit di bilancio ben esemplificata dal noto video del 2020 in cui l’allora premier rassicurava per strada un gruppo di netturbini che gli chiedevano di “non concedere soldi all’Italia”.

Inoltre non può essere ignorato il fatto che il governo di centro-destra italiano, pur uscito dalle recenti elezioni europee come il più stabile, non risulta certo gradito agli attuali esecutivi delle maggiori potenze NATO e UE quali USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna….

 

Le reazioni di Roma

Il governo italiano ha espresso “forti perplessità” per l’indicazione di un inviato “personale” di Stoltenberg a poco più di due mesi dalla scadenza del suo mandato in una lettera inviata allo stesso Stoltenberg dal rappresentante permanente dell’Italia alla NATO, l’ambasciatore Marco Peronaci, in cui si legge che “le autorità italiane hanno appreso della tempistica della decisione con grande sorpresa e disappunto”. E si ricorda che “per essere efficace la politica della NATO verso il Sud necessita di un rinnovato approccio, non di una ridenominazione”.

Nella missiva lamenta inoltre “l’assenza di un’adeguata consultazione con gli alleati” su una decisione così strategica.

Alcuni osservatori hanno evidenziato che Stoltenberg si è già distinto per una serie di nomine e promozioni a fine mandato che hanno suscitato più di un malumore tra gli alleati ma il caso italiano è diverso. A Colomina non è stata attribuita una promozione né era privo di incarichi: semplicemente a lui è stato offerto un ulteriore incarico per cui è facile ritenere che l’obiettivo fosse non attribuirlo a un italiano. Sembra che il presidente del consiglio Giorgia Meloni abbia affrontato direttamente Stoltenberg sulla vicenda a margine della riunione della Comunità Politica Europea (CEP) svoltasi giovedì scorso a Woodstock, in Gran Bretagna.

L’Italia non sembra quindi considerare chiusa la partita ma sarebbe umiliante se al di là delle proteste formali Roma si limitasse ad attendere la nomina di Rutte ad ottobre per sperare di rivedere la questione. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in una intervista a La Stampa, ha definito la nomina di Colomina “quasi un affronto personale, una profonda delusione. Ho scritto a Stoltenberg un messaggio durissimo. Mi ha fatto infuriare e ci saranno conseguenze sul piano dei rapporti personali. Il suo è stato il tradimento di un principio: era l’Italia a essersi battuta per introdurre il ruolo di inviato per il Fronte Sud. Stoltenberg non voleva. Ha dovuto metterlo nella risoluzione perché lo voleva l’Italia e così si è vendicato.

Ha concluso i suoi 9 anni alla guida della NATO nel modo peggiore. L’Italia non ha un problema con la NATO, ha un problema con Stoltenberg. E’ lui l’unico responsabile, forse perché guidato da logiche di appartenenza politica, venendo meno alla prima delle sue responsabilità: essere super partes” ha aggiunto Crosetto.

Una interpretazione che tende a personalizzare la responsabilità della decisione nella figura del segretario generale uscente ma che non salva l’Italia dall’umiliazione, anche perché “Stoltenberg è la NATO”, lo è stato finora e lo sarà per altri due mesi.

Crosetto evidenzia che Stoltenberg non vuole la nomina di un rappresentante speciale per il Fianco Sud ma in tutti questi anni è apparso chiaro che è sempre stata la NATO, e soprattutto i suoi “principali azionisti” a non volerla. Se così non fosse l’alleanza avrebbe soddisfatto già da tempo almeno in parte le richieste italiane.

Del resto quanto vengano tenuti in considerazione l’Italia e il Fianco Sud lo si deduce anche dal fatto che in 75 anni la NATO ha avuto due segretari generali italiani (Manlio Brosio e Sergio Balanzino, quest’ultimo in carica solo per un anno) e uno spagnolo (Xavier de Solana): per il resto la partita se la sono sempre gestita tra nord europei, nazioni strettamente legate a USA e Gran Bretagna.

Prima del norvegese Stoltenberg l’incarico di vertice politico era ricoperto dal danese Anders Fogh Rasmussen (oggi a capo della International Task Force on Security and Euro-Atlantic Integration of Ukraine) e prima ancora da Jaap De Hop Scheffer, olandese come Rutte (nella foto sopra) che assumerà l’incarico ad ottobre creando un contesto assai singolare per una nazione di appena 18 milioni di persone le cui spese per la Difesa raggiungono quest’anno i 23 miliardi di euro, peraltro di poco sotto il 2 per cento chiesto a gran voce dalla NATO.

Per tre mesi, tra ottobre e dicembre di quest’anno, l’Olanda esprimerà le due cariche più importanti della NATO, segretario generale e capo del Comitato Militare con l’ammiraglio Rob Bauer, che a inizio 2025 verrà sostituito dall’attuale capo di stato maggiore Difesa italiano, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone.

Dettagli utili a comprendere che nella NATO (come nella UE) nomine, incarichi e nazionalità non sono casuali né dipendono dal capriccio o dalle antipatie personali di qualcuno.

 

Possibili risposte

“Mi auguro che la scelta del prossimo segretario generale sia più equilibrata e più rispettosa delle richieste italiane” ha detto  Tajani, a margine del Consiglio Esteri a Bruxelles. Il governo italiano sembrerebbe quindi orientato ad attendere ottobre sperando in una nomina nazionale per il Fianco Sud ma questa scelta non mitigherebbe l’umiliazione subita né mostrerebbe ai nostri alleati la determinazione italiana a ottenere maggiore attenzione per l’area del Mediterraneo.

Roma dispone però di molti mezzi per evidenziare tale determinazione e inviare messaggi concreti molto chiari alla NATO.

Innanzitutto potrebbe richiamare in Patria i contingenti dell’esercito schierati nei dispositivi NATO dislocati nelle nazioni del Fianco Est confinanti con l’Ucraina nell’ambito della NATO enhanced Forward Presence: abbiamo truppe in Lettonia, Ungheria e Bulgaria e un reparto aereo dell’Aeronautica in Polonia. Se la NATO si disinteressa del Mediterraneo toccherà a noi presidiarlo e ritirare queste forze dimostrerebbe che per l’Italia si tratta di una priorità, anzi della priorità.

Per la stessa ragione potremmo richiamare dall’Australia aerei e navi oggi dislocati a Port Darwin per l’esercitazione Pitch Black e domani destinati a raggiungere il Giappone: se per i nostri alleati il Mediterraneo non è poi così importante dovrebbe esserlo per noi l’Indo-Pacifico?

Ulteriori iniziative rapidamente attuabili potrebbero riguardare il rallentamento o lo stop dei nostri aiuti militari all’Ucraina, oppure la rinuncia a finanziare il fondo che raccoglierà 43 miliardi di euro da fornire all’Ucraina entro la fine del 2025, proposta messa a punto proprio da Stoltenberg.

O ancora la rinuncia dell’Italia a prendere parte con proprie forze alla nuova missione, varata dalla NATO al summit di Washington su proposta sempre di Stoltenberg, che coinvolgerà 700 militari per coordinare il sostegno militare a Kiev e l’addestramento delle truppe ucraine. Anche l’Ungheria si è chiamata fuori da questa missione negoziando in cambio il via libera alla nomina di Rutte.

Certo si tratta di contromisure che il governo potrebbe prendere in esame, far trapelare o attuare facendo valere il peso dell’Italia nei dispositivi alleati. Per tutelare sovranità e interessi nazionali spesso non bastano le lamentele.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Governo Italiano, NATO e X

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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