Mosca adegua la deterrenza nucleare, Rutte vuole l’Ucraina nella NATO
L’aggiornamento della dottrina nucleare russa, annunciato da Vladimir Putin il 25 settembre è fatto su misura per adeguarsi all’attuale contesto del conflitto in atto tra Ucraina e Russia e per lanciare un monito alle potenze occidentali.
Pochi i cambiamenti rispetto a una dottrina nucleare che già prevedeva il possibile impiego di armi atomiche in caso di attacchi in grado di minacciare la sicurezza nazionale anche se non necessariamente nucleari. Le modifiche proposte da Putin consentirebbero a Mosca di usare armi nucleari anche contro stati che non ne possiedono ma sono sostenuti da potenze nucleari, come nel caso dell’Ucraina.
Oppure di colpire preventivamente con le atomiche qualora vi fossero conferme di un imminente attacco su vasta scala o di ricorrere al nucleare in risposta a un attacco massiccio dal cielo e dallo spazio. Inoltre la Russia si riserva di ricorrere alle armi atomiche in caso di attacco all’alleata Bielorussia che già da un anno ospita testate nucleari tattiche russe.
In questo caso si tratta della copertura assicurata all’unico alleato di Mosca in Europa secondo uno schema ben noto in Occidente, dove il deterrente nucleare statunitense protegge le nazioni della NATO alcune delle quali (Italia inclusa) ospitano da tempo armi nucleari tattiche americane.
L’aggiornamento della dottrina russa deve essere considerato come un avvertimento all’Occidente, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (nella foto sopra)e del resto i documenti dottrinali hanno un evidente obiettivo di deterrenza e vengono resi pubblici proprio allo scopo di “chiarire le idee” ad avversari e competitor.
“E’ un segnale che avverte questi paesi delle conseguenze se partecipano a un attacco al nostro paese con vari mezzi, non necessariamente nucleari”, ha detto Peskov ai giornalisti. Senza menzionare l’Ucraina Peskov ha affermato che la “deterrenza nucleare della Russia è in fase di adeguamento a causa di elementi di tensione che si stanno sviluppando lungo il perimetro dei nostri confini”.
Il 30 settembre Peskov è tornato sull’argomento ribadendo l’importanza di non “prendere sottogamba” il recente annuncio del presidente russo, Vladimir Putin, di “adeguare” la dottrina nucleare della Federazione Russa in base agli sviluppi dell’attuale crisi geopolitica. “Questo documento è estremamente importante, in esso sono state prese decisioni importanti che presto saranno formalizzate”.
Peskov ha precisato che, sebbene al momento non ci siano piani per espandere l’arsenale nucleare russo, la revisione della dottrina nucleare è una risposta alle nuove minacce emergenti assicurando che qualsiasi decisione relativa alla pubblicazione della dottrina nucleare aggiornata sarà comunicata “in modo tempestivo” al pubblico.
Il rafforzamento della deterrenza russa giunge in un momento fatidico per il conflitto in Ucraina. Gli avvertimenti di Putin sembrano aver contribuito a scoraggiare le potenze occidentali, almeno per ora, dall’autorizzare l’impiego delle armi a raggio più esteso (missili ATACMS statunitensi e Storm Shadow franco-britannici innanzitutto) forniti all’Ucraina contro il territorio russo.
Alcuni osservatori sostengono che la decisione definitiva verrà presa dopo le elezioni negli Stati Uniti ma sono state proprio le agenzie d’intelligence statunitensi a sostenere che l’autorizzazione a colpire il suolo russo non avrebbe dato benefici militari tangibili a fronte di gravi rischi, specie dopo che lo stesso Putin aveva detto che Mosca considererebbe belligeranti le nazioni che autorizzassero tale impiego delle armi donate a Kiev.
Ciò nonostante il 3 ottobre il neo segretario generale della NATO, l’olandese Mark Rutte, ha ribadito che “il percorso dell’Ucraina verso la NATO è irreversibile” e l’Ucraina “non è mai stata così vicina alla NATO”. Rutte, in conferenza stampa a Kiev con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha aggiunto che “arriverà il giorno in cui l’Ucraina sarà membro a pieno titolo della NATO e la Russia non ha ne’ voto ne’ veto in merito”.
Affermazioni che cozzano con l’assenza di una road-map per l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica come era già emerso chiaramente al vertice NATO di Vilnius del luglio scorso. Inoltre la gran parte delle nazioni alleate hanno espresso riserve in tal senso e in generale la questione non verrà concretamente affrontata finché il conflitto con la Russia è in corso.
“Saremo in grado di estendere un invito all’Ucraina ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte” si leggeva nella dichiarazione conclusiva del vertice NATO di Vilnius che Rutte dovrebbe aver letto. Così come dovrebbe aver letto l’Articolo 10 del Trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949 relativo alle nuove adesioni all’alleanza.
Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni Stato così invitato può divenire parte del Trattato depositando il proprio strumento di adesione presso il governo degli Stati Uniti d’America. Il governo degli Stati Uniti d’America informerà ciascuna delle parti del deposito di ogni strumento di adesione.
A Vilnius è apparso chiaro che non c’è l’accordo unanime sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO e a ben guardare è difficile affermare che tale adesione contribuisca alla sicurezza della regione.
Certo in seguito occorrerà valutare in quali condizioni Kiev uscirà dal conflitto e in base a quale situazione sul campo o intese raggiunte le ostilità cesseranno tenuto conto che un’Ucraina neutrale è una delle condizioni poste da Mosca per una trattativa.
Anche ieriu il ministro egli Esteri ungherese Peter Szijjártó ha affermato che “non c’è alcuna possibilità che l’Ucraina entri nella NATO e, a porte chiuse, questa posizione è condivisa dalla stragrande maggioranza dei membri dell’alleanza”.
Negli ultimi giorni sono circolate ipotesi per un accordo che ponga fine al conflitto che veda Kiev cedere territori alla Russia in cambio dell’ingresso nella NATO. Ipotesi che al momento appare azzardata sia perché Mosca ha sempre posto come condizione di un accordo che l’Ucraina resti neutrale (la Russia vuole un “cuscinetto” tra i suoi confini e la NATO non una nuova “Cortina di Ferro”) ma anche perché Zelensky ha appena ribadito il no più secco alla cessione di territorio.
Inoltre non si può escludere che l’eventuale tracollo militare dell’Ucraina con la perdita di ampi territori orientali caduti in mano ai russi, non induca anche la Polonia a far valere le sue pretese sulla Galizia. Varsavia sta costituendo il più imponente esercito d’Europa e da tempo i rapporti con Kiev sono ai ferri corti per il mancato riconoscimento dei massacri di civili polacchi compiuti nel 1943 -44 dall’esercito nazionalista ucraina (UPA) alleato del Terzo Reich.
In attesa di sviluppi sul campo di battaglia il segretario generale Rutte sembra voler seguire le orme del suo predecessore, il norvegese Jens Stoltenberg (nella foto qui sotto l’avvicemdamento tra i due), con dichiarazioni che esprimono valutazioni personali o quanto meno non condivise dai 32 membri dell’alleanza che l’ex premier olandese dovrebbe rappresentare.
Inoltre le dichiarazioni di Rutte offrono un ulteriore elemento a Mosca per rafforzare la sua deterrenza nucleare e per rinunciare a negoziare la fine delle ostilità puntando invece a una vittoria totale sull’Ucraina che, indipendentemente dal fatto che sia o meno conseguibile da Mosca, in ogni caso prolungherà la guerra.
Le vane pretese di Zelensky di coinvolgere direttamente le potenze occidentali nel conflitto mostrano la crescente debolezza dell’Ucraina sui campi di battaglia di cui, non a caso, si parla sempre meno nei consessi politici pubblici e sui media in Italia e in Europa.
Mentre Zelensky propone il suo “Piano per la vittoria” le truppe ucraine continuano a subire sconfitte e a perdere terreno su tutti i fronti incluso quello di Kursk, la regione russa di confine in cui gli ucraini erano penetrati il 6 agosto scorso.
L’Ucraina è a corto di armi, munizioni, difese aeree e velivoli da combattimento, inclusi gli F-16 che i russi sostengono di aver in buona parte distrutto al suolo. Ogni giorno le forze di Mosca espugnano territorio e centri abitati nelle regioni di Kharkiv, Luhansk e soprattutto Donetsk dove è caduta la roccaforte di Ugledar che da due anni resisteva agli assalti russi.
Vale la pena sottolineare, solo per ribadire il contesto politico – mediatico occidentale, che Ugledar è divenuta subito dopo la sua caduta, come a suo tempo Bakhmut dopo la vittoria russa, località di scarso valore strategico per la propaganda ucraina a cui si è repentinamente allineata la narrazione di gran parte dei media in Italia e in Europa.
Foto: Presidenza Russa e NATO
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.