Aggressori e aggrediti, jihadisti democratici, curdi dimenticati ed europei inconsapevoli
Mentre dagli USA all’Europa politici e media accolgono i nuovi padroni di Damasco come eroi democratici, “ex terroristi e “jihadisti moderati”, il leader di Hayat Tahrir al Sham (HTS) Abu Mohammad al-Jolani, ha pronunciato il primo discorso da “uomo forte” di Damasco all’antica grande Moschea degli Omayyaddi, dinastia il cui Califfato fece da “modello” per l’ISIS.
Al-Jolani del resto si muove bene tra i simboli e i dogmi jihadisti di al-Qaeda e ISIS, organizzazioni presso le quali ha militari fin da dopo l’invasione anglo-americana dell’Iraq in cui combatteva gli statunitensi al fianco di Abu Musaib al-Zarqawi, leader di al-Qaeda in Mesopotamia.
Catturato dagli statunitensi venne detenuto a Camp Bucca dove conobbe Abu Bakr al-Baghdadi, insieme al quale venne liberato per poi recarsi in Siria a combattere sotto le bandiere dell’ISIS le forze di Bashar Assad.
“Questa vittoria, fratelli miei, è’ una vittoria dell’intera nazione islamica e segna un nuovo capitolo nella storia della religione, una storia irta di pericoli che ha reso la Siria un’arena per le ambizioni dell’Iran, diffuso il settarismo e alimentato la corruzione”, ha detto al-Jolani. Parole che non lasciano intendere che la Siria resterà uno stato laico anche se HTS si è impegnato per ora a garantire libertà di culto e a non imporre restrizione alle donne.
Da terroristi a paladini della libertà
Tra i più sfegatati fans degli ex qaedisti c’è la CNN e i media vicini all’Amministrazione Biden, tra i quali l’entusiasmo per la caduta di Bashar Assad, alleato di Russia e Iran, sembra cancellare anche il ricordo degli attentati di al-Qaeda negli Stati Uniti e della lunga guerra contro Osama bin Laden e i suoi seguaci. Non a caso, fonti citate dai media statunitensi valutano che presto HTS verrà rimosso dalla lista dei gruppi terroristici (l’immagine qui sotto è del 2017).
La CNN esalta l’affermazione del jihadista sunnita al-Jolani che di fatto seppellisce l’influenza dell’Iran scita sulla Siria, con un’operazione curiosamente inversa a quella attuata dagli anglo-americani nel 2003 in Iraq, quando deposero il sunnita Saddam Hussein portando al potere la maggioranza scita per poi accorgersi che quella guerra aveva favorito la penetrazione iraniana in Iraq.
Del resto anche lo stesso Joe Biden ha apprezzato parole e toni di al-Jolani dimenticando che gli Stati Uniti hanno posto una taglia da 10 milioni sulla sua testa, evidentemente non per le sue attività caritatevoli.
Il fatto che al-Jolani usi un linguaggio da jihadista appare normale anche se ora vuole apparire un “bravo ragazzo”: così ha rivolto un messaggio alle potenze straniere spiegando che “stiamo purificando la Siria” annunciando la caccia ai membri delle forze di sicurezza e del Partito Baath macchiatisi di crimini ma assicurando l’amnistia a tutti i militari.
Ieri l-Jolani ha detto a SkyNews ha precisato che “i timori del passato erano giustificati perché il Paese era governato dal regime di Assad e dai suoi sostenitori russi e iraniani “colonizzatori”, ha detto Jolani. Ma oggi l’Occidente non ha nulla da temere dalla Siria”.
La normalizzazione a Damasco sembra procedere senza intoppi. Mohamed al Bashir, già alla testa del Governo di Salvezza nazionale istituito dai ribelli nella provincia di Idlib sotto la protezione turca, è stato nominato primo ministro ad interim del governo siriano di transizione entro il 1° marzo 2025.
Il Parlamento ha dichiarato di rispettare la volontà del popolo di costruire “una nuova Siria”, accogliendo “una giornata storica” all’indomani della presa della capitale da parte dei ribelli e della fuga dell’ex presidente Bashar al Assad.
Qualche preoccupazione l’ha espressa dagli Stati Uniti il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, avvertendo che nella nuova fase siriana l’ISIS potrebbe tentare di “approfittare” della situazione sul campo. “Man mano che la situazione si evolve, c’è la possibilità che elementi presenti nell’area, come l’Isis, cerchino di approfittare di questa opportunità e di riacquistare forza”.
Nel dubbio nei giorni scorsi le forze aeree americane hanno bombardato in Siria orientale milizie scite, dello Stato Islamico e truppe regolari siriane fino a quando queste ultime si sono ritirate dall’area di Deir Ezzor lasciando le postazioni alle forze curde.
La inconsapevole irrilevanza della UE
Cauto il ministro Esteri britannico, David Lammy, per il quale la caduta di Assad non comporta alcuna garanzia per la pace mentre la Commissione europea ha ribadito il 9 dicembre di non avere alcun contatto con le forze al potere in Siria inclusa Hayat Tahrir al-Sham e il suo leader.
Un’affermazione che lascia sconcertati da parte del portavoce della Commissione Europea, Anouar El Anouni che da un lato evidenzia la totale irrilevanza dell’Europa nello scenario siriano e dall’altro dovrebbe ricordarci che HTS è ancora considerata un’organizzazione terroristica dall’Unione Europea, come dagli Stati Uniti. La Ue è pronta a rivalutare le sanzioni poste a 400 esponenti del governo di Assad, oggi riciclatisi con gli insorti a quanto sembrerebbe.
L’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, Kaja Kallas, ha definito la fine del regime di Assad uno “sviluppo positivo e atteso da tempo” ma si è mostrata cauta nei confronti delle forze al potere oggi a Damasco peraltro accolte come “liberatori” da governi e media europei.
L’Europa (del tutto assente dallo scenario siriano e mediorientale con l’eccezione dell’Italia che aveva riaperto recentemente l’ambasciata a Damasco) riteneva una jattura Assad (il cui regime subisce da anni sanzioni occidentali che hanno colpito soprattutto la popolazione) ma rischia di considerare una “benedizione” o qualcosa del genere l’avvento di milizie che la stessa UE definisce “terroristi”, termine che in molti già hanno rimpiazzato con “ex terroristi”.
Meglio forse “terroristi pentiti”, che peraltro abbiamo avuto anche in Italia attribuendo però loro sconti di pena non mettendoli al governo.
Mentre diversi stati europei stanno sospendendo l’esame delle richieste di asilo formulate da migranti e profughi siriani, che ora potranno tornare nella loro terra “liberata”, la Turchia, oggi vera “padrona” della Siria, ha già iniziato a rimandare a casa i profughi accolti durante la guerra civile e ha annunciato la riapertura del valico di frontiera di Yayladagi, chiuso dal 2013 e dal quale transitano ora 20 mila siriani al giorno diretti a casa.
“Dopo 13 anni è arrivato il momento per i siriani di tornare a casa” ha detto ieri il presidente Recep Tayyip Erdogan rivolgendosi ai 4 milioni di profughi siriani che in Turchia hanno trovato rifugio negli anni del conflitto ma che da tempo stavano creando problemi di consenso al presidente turco.
Gli interessi russi in Siria
I russi sembrano puntare a mantenere le loro basi (aerea e navale) sulla costa siriana circa le quali dovrebbero aver negoziato garanzie con la Turchia che ha garantito corridoi sicuri per le colonne dei militari russi che da diverse aree della Siria stanno confluendo sulle due basi più grandi, a Hmeimim e Tartus.
I rilievi satellitari citati dal Financial Times non evidenziano ritiri delle forze russe dalla Siria. Due fregate, un sottomarino e una nave di supporto hanno lasciato il porto di Tartus ma restano a una decina di chilometri dalla costa: una precauzione per evitare che vengano colpite in caso di scontri tra diverse milizie siriane.
Oggi il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha affermato che “manteniamo i contatti con coloro che attualmente controllano la situazione in Siria e ciò è necessario perché le nostre basi si trovano lì, la nostra missione diplomatica si trova lì e, naturalmente, la questione relativa alla garanzia della sicurezza di queste nostre strutture è estremamente importante e di fondamentale importanza”.
L’accordo tra Russia e Siria per la base navale di Tartus ha una validità di 49 anni ed è al momento difficile del resto credere che Erdogan, che si è fatto garante dell’integrità territoriale della Siria, rischi di compromettere i rapporti con Putin: del resto in un incontro pubblico a Gaziantep ha affermato che “in questo momento, tra i leader nel mondo già sono rimaste solo due persone. Una sono io, l’altra è il presidente russo Vladimir Putin”.
Mosca ha bisogno di consolidare le garanzie circa la sicurezza delle sue installazioni in Siria anche alla luce del ruolo svolto dal servizio d’intelligence militare ucraino (GUR) nel supporto all’offensiva dei ribelli siriani dell’HTS.
Ruolo rivendicato dallo stesso GUR, poi smentito da Kiev, ma rilanciato oggi dal Washington Post le cui fonti di servizi d’intelligence occidentali hanno rivelato che il GUR avrebbe inviato a fine ottobre una ventina di propri operatori con circa 150 droni FPV al quartier generale dei ribelli a Idlib per sostenere le operazioni di Hayat Tahrir al-Sham.
I curdi, “eroi” dimenticati
Con la miopia e il semplicismo che ormai contraddistinguono l’Europa abbiano concentrato la (scarsa) attenzione riservata ai fatti siriani alla galoppata verso Damasco di HTS, ignorando che le milizie jihadiste filo-turche stanno da giorni cacciando i curdi da diverse aree del nord, lungo il confine turco: interi quartieri di Aleppo, Tal Rifaat e ieri Manbji sono cadute in mano alle milizie fedeli ad Ankara sostenute da aerei e cannoni turchi mentre ieri è stata espugnata anche Deir Ezzor. Gli scontri tra le forze filo-Ankara e filo-curde hanno provocato 218 morti in tre giorni nel nord della Siria, ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Eppure solo dieci anni or sono i curdi siriani erano i nostri eroi, coccolati da tutti i media quando difendevano Kobane dagli assalti dei jihadisti dell’ISIS favoriti dalla Turchia. Oggi che i nostri eroi sono diventati gli ex terroristi jihadisti con la faccia ripulita, i curdi li abbiamo dimenticati in una situazione che potrebbe diventare presto ancor più tragica.
Se gli Stati Uniti con Donald Trump ritireranno il migliaio di uomini che presidia alcune basi nell’est della Siria, i curdi potrebbero pagare il prezzo più alto del cambio di regime a Damasco, schiacciati dalle milizie filo turche (che dispongono di forze più numerose dei 30 mila combattenti curdi) e dalla fedeltà ad Ankara del nuovo governo siriano.
Aggressori e aggrediti?
La presenza statunitense in Siria è illegale per il diritto internazionale, una forza di occupazione giustificata solo dalla volontà di impedire ad Assad di rimettere le mani sui pozzi di petrolio che avrebbero permesso di avviare la ricostruzione postbellica.
Curioso che nessuno abbia mai usato la formula “aggressori e aggrediti” per l’invasione americana di lembi di territorio siriano ma oggi il ritiro di quei mille militari USA sarebbe giustificato dalla fine dell’esigenza di indebolire Assad oltre che dalle pressioni di Ankara che ha intimato a Washington di cessare ogni forma di sostegno ai “terroristi” curdi.
A proposito di “aggressori e aggrediti”, appare curioso che in Europa non vi siano finora reazioni energiche all’invasione israeliana di ampi lembi di territorio siriano tra il Golan e Damasco. Dopo aver sofferto negli scontri contro Hezbollah lungo i confini libanesi e aver ricevuto un grande regalo dal “nemico” Erdogan, poiché il crollo del regime di Assad impedirà agli iraniani di continuare a rifornire Hezbollah, le forze di difesa israeliane (IDF) sembrano non fidarsi dei nuovi padroni di Damasco e approfittando del cambio di regime hanno assunto il controllo di una fascia di territorio siriano a est delle alture del Golan e sul Monte Hermon.
Secondo alcune fonti, smentite dalle IDF, hanno raggiunto Qatana, a 25 chilometri da Damasco. In ogni caso si tratta di un’occupazione arbitraria che viola il diritto internazionale, peraltro non giustificata tenuto conto che né HTS né altre milizie jihadiste siriane che hanno preso il potere in Siria hanno mai attaccato Israele.
Semmai gli attacchi allo Stato ebraico dal territorio siriano provenivano dalle milizie scite filo-iraniane che HTS e alleati hanno cacciato.
Europa in silenzio anche davanti alle 450 missioni israeliane (350 raid aerei e 130 attacchi terrestri) che hanno distrutto depositi di armi, il centro di ricerca scientifica di Barzeh (in cui Damasco sviluppò il suo arsenale chimico e affondato le 15 navi della Marina Siriana nel porto di Latakya e nella baia di Minet el Beidain; incursioni motivate dal governo israeliano dalla necessità di impedite che tali armi e mezzi finissero in mano alle milizie insediatesi a Damasco.
Le IDF hanno reso noto di aver distrutto circa l’80 percento delle capacità militari siriane: sistemi di difesa aerea, depositi di missili, impianti di produzione di armamenti, droni, elicotteri, aerei da combattimento, carri armati, radar, navi e siti di armi chimiche.
Israele pretende quindi che la Siria venga “demilitarizzata” affinché non possa minacciare Israele: a ben guardare le stesse pretese di Vladimir Putin circa l’Ucraina che hanno determinato però una forte reazione in Europa e Stati Uniti.
In attesa di vedere UE e NATO applicare i propri principi inderogabili fornendo armi e appoggio agli ex terroristi islamici siriani per difenderli dall’aggressore israeliano, vale la pena rilevare le singolari e paradossali dichiarazioni rese ieri dal portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby.
Difendendo l’invasione israeliana del territorio siriano, Kirby l’ha definita “operazioni urgenti per eliminare quelle che ritengono essere minacce imminenti alla loro sicurezza. E noi riconosciamo certamente che vivono in un contesto difficile e che hanno, come sempre, il diritto di difendersi”. Difendersi da chi Kirby non lo ha però specificato.
Israele, come del resto fanno da molti anni anche gli Stati Uniti, continua a bombardare ovunque e chiunque nel nome dei suoi interessi col rischio oggi di destabilizzare una Siria fragile che potrebbe piombare nel caos più totale.
Gli europei sembra non abbiano nulla da dire in proposito e questo riduce ulteriormente la nostra già scarsa credibilità. Neppure quando Benjamin Netanyahu giustifica l’invasione del territorio siriano affermando che gli accordi del 1974 assunti con Hafez Assad (padre di Bashir) circa il Golan occupato da Israele e la zona smilitarizzata oggi non valgono più perché è caduto il regime. Quindi ogni accordo o trattato internazionale impegna le nazioni firmatarie solo fino alla caduta dei governi che li firmano?
L’Iran resterà a guardare?
Eppure non è difficile comprendere che i raid e la penetrazione israeliana in territorio siriano potrebbe determinare un nuovo fronte nel conflitto mediorientale e scatenare una risposta da parte dell’Iran, finora unico vero sconfitto dal cambio di regime a Damasco.
Non si può infatti dare per scontato che gli iraniani accettino di venire cacciati dalla Siria. L’Iraq grande alleato di Assad e di Teheran, teme che la vittoria delle milizie sunnite in Siria minacci di scatenare una nuova rivolta nelle regioni settentrionali irachene, atee sunnite dove trovarono consensi prima al-Qaeda e poi lo Stato Islamico.
Baghdad ha chiuso e blindato il confine con la Siria dopo aver accolto oltre 4mila militari di Assad in fuga dalla regione di Hasaka. In assenza di solide garanzie da Ankara, iraniani e iracheni potrebbero tentare di cogliere la rivincita nella Siria Orientale, anche fornendo aiuto militare alle milizie curde sotto attacco della Turchia e delle milizie siriane a lei fedeli. Ieri Baghdad ha condannato le operazioni militari israeliane condotte nella zona cuscinetto al confine con la Siria, definendo l’iniziativa “una flagrante violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni internazionali pertinenti”.
Il ministero degli Esteri iracheno ha esortato la comunità internazionale, in particolare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ad adempiere ai propri obblighi denunciando “l’aggressione” di Israele e adottando le azioni necessarie per “fermare queste violazioni che approfittano dell’attuale crisi siriana”.
La visita in Giordania del premier iracheno Mohammed Shia’ al Sudani, accolto oggi ad Amman da re Abdullah II (accompagnato dal primo ministro Jafar Hassan, dal ministro degli Esteri Ayman Safadi, e dai vertici dell’intelligence) conferma come le operazion israeliane in Siria e l’avvento a Damasco di milizie jihadiste vengano considerati estremamente pericolosi anche nel regno hashemita, che a differenza dell’Occidente sembra ricordare molto bene le azioni di al-Qaeda e ISIS sul proprio territorio.
Di fatto tutti i giochi restano aperti ma l’Europa sembra assistere da spettatore inconsapevole a quanto sta accadendo alle porte di casa.
Foto: CNN, Telegram, IDF, Ambasciata USA in Siria e TASS
Mappa: Institute for the Study of the War
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.