Divide et Impera: come il Fianco Sud potrebbe sbloccare il Fianco Est

 

di Marco Manna 

L’attuale quadro geopolitico mondiale vive un momento di grande trasformazione e graduale, quanto inesorabile, variazione dell’ordine costituito alla fine della Guerra Fredda.
In primis la necessaria analisi su cui occorre focalizzarsi è quella del ruolo egemone degli Stati Uniti nello scacchiere geopolitico mondiale, il cui andamento ha dettato, inequivocabile, il passo degli equilibri tra le potenze regionali e mondiali, influenzando aree del mondo in maniera più o meno efficace.

 

Flessione del ruolo egemonico USA

Se misurati sulla base di parametri di potenza convenzionali, gli Stati Uniti rimangono l’indiscusso soggetto superiore dell’ordine mondiale corrente. Dispongono non solo di una (per il momento) indiscussa superiorità militare, ma anche di una eccezionale capacità di proiezione globale grazie alla capillare distribuzione delle sue basi, grandi e piccole, permanenti e temporanee. Secondo alcuni studi, nel 2021 il numero si stimava intorno alle 642 basi nel mondo, in 170 paesi su 195 riconosciuti a livello internazionale, per un totale (approssimato) dell’87% del globo. Le ultime, drammatiche crisi in Ucraina e Medio-Oriente hanno evidenziato ancora una volta l’indispensabilità securitaria e diplomatica degli Stati Uniti.

Tuttavia, resta innegabile che il ruolo egemone degli USA ha avuto delle flessioni negli ultimi 20 anni circa, con ripercussioni inevitabili sul network di potere mondiale. Dopo il finire della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza mondiale a cui era affidato il compito dei check and balance del mondo, garante dell’equilibrio e del rispetto dei dettami del Diritto Internazionale.

Ruolo che gli Stati Uniti hanno svolto spesso seguendo quello che i detrattori politici hanno poi definito come “doppi standard”, in riferimento a particolari scelte come quella di non riconoscere la Giurisdizione della Corte Penale Internazionale nel 1998 o quella di agire unilateralmente, intraprendendo azioni militari senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Iraq 2003) e adottando metodi e strumenti che violavano il diritto internazionale e di guerra (nella cosiddetta “guerra al terrore” dopo l’11 settembre). Già nel 2007, nel celebre discorso di Monaco , Vladimir Putin evidenziava il sistema dei doppi standard americani e il non rispetto del Diritto Internazionale, in favore di un imposizione unilaterale del punta di vista americano a livello globale.

Tale pubblica denuncia strizzava l’occhio ai nascenti BRICS del tempo e a tutti i sistemi governativo-culturali non allineati con il pensiero USA.

Altro elemento alla base della flessione egemonica statunitense è stata la frammentazione politica nel corso degli anni. Frammentazione in termini di comunicazione, che parlava sia all’interno che all’esterno con la stessa chiave di lettura nazionalista, che funzionava in termini assoluti nell’opinione pubblica a stelle e strisce, ma che alienava, sul lungo periodo, la comunità internazionale. L’elemento di frammentazione più determinante, tuttavia, è costituito da un’acuita polarizzazione della politica americana.

Una polarizzazione che finisce per prendere in ostaggio la stessa politica estera, esponendola a oscillazioni spesso radicali che ne minano continuità e coerenza. Lo notiamo bene in alcuni dossier fondamentali – dall’impegno al dialogo multilaterale sul cambiamento climatico ai negoziati sul nucleare iraniano – rispetto ai quali le amministrazioni repubblicane e democratiche del XXI secolo (Bush Jr, Obama, Trump, Biden) non solo hanno assunto posizioni diametralmente opposte le une rispetto alle altre, ma hanno anche immediatamente rovesciato le decisioni prese da chi le aveva precedute.

 

Trump e la Russia

Considerate le premesse sul ruolo americano, la polarizzazione della politica estera trumpiana in chiave quasi autarchica (se accostata a quella dei suoi predecessori) ha dato ampi spazi di manovra alle potenze emergenti del nostro tempo. E gli equilibri geopolitici non sono indenni all’horror vacui.

Così tra il 2017 ed il 2021 le azioni USA si sono concentrate dal punto di vista militare (e mediatico) principalmente su Corea del Nord e Siria, attaccando in campo economico la Cina, mentre, a latere, l’introduzione di dazi nei confronti di alcune materie prime dell’Unione Europea segnava una rilevante crepa nel pluriennale rapporto privilegiato con i Paesi del Vecchio Continente. Con la Russia di Vladimir Putin, invece, i rapporti tendevano ad essere di un sostanziale equilibrio, nonostante la polarità inversa dell’ultimo periodo dell’amministrazione Obama.

Nel 2008, anno dell’elezione di Barack Obama, la presidenza americana aveva tentato quello che da alcuni media è stato definito un “Russian Reset” con l’allora presidente russo Dmitrij Medvedev: Washington apre alla Russia le porte dell’Organizzazione mondiale del commercio e firma un nuovo trattato sulla riduzione delle basi missilistiche.

Il cosiddetto Euromaidan e la conseguente annessione della Crimea nel 2014 mettono però la parola fine al tentativo di distensione: gli USA e i suoi alleati espellono la Russia dal G8 e la Casa Bianca inizia a imporre sanzioni economiche contro Mosca, spingendo l’Europa a seguire il suo esempio.

Trump, invece, nonostante l’ostilità verso Mosca condivisa da entrambi i partiti al Congresso e da figure chiave del Dipartimento di Stato, del Pentagono e dell’amministrazione americana, mantiene un atteggiamento di apertura verso il Cremlino. Il presidente ha più volte invitato i membri del G7 a riammettere la Russia nel gruppo, ha sostenuto che la NATO – pilastro della deterrenza europea verso Mosca – sia obsoleta, ha indicato Mosca come un potenziale alleato nella lotta al terrorismo internazionale.

 

I tre Fianchi della NATO

In questo scenario di formale condanna, ma di sostanziale laissez-faire, gli USA hanno dato spazio alla Russia che, assistendo ad una progressiva adesione alla NATO di molti Stati dell’Ex Patto di Varsavia, ha iniziato una pressione geopolitica, militare ed economica su tre direttrici, o Fianchi.

Il Fianco Nord, nell’Artico, dove, anche se con una postura essenzialmente difensiva, la Russia sfrutta una storica capacità logistica più sviluppata dei suoi competitor regionali. Da evidenziare che dei 5 Paesi con sbocco sulle acque del Mar Glaciale Artico (USA, Canada, Norvegia, Danimarca e Russia) l’ex stato sovietico è l’unico non appartenente alla NATO. Nel frattempo nell’area inizia ad affacciarsi con sempre più determinazione anche la Cina.

Il Fianco Est, nel quale a partire dall’Euromaidan del 2014 e, più di recente, con “l’operazione speciale” in Ucraina del 2022, le forze di Vladimir Putin hanno riportato la tensione in Europa a distanza di molti decenni, costringendo le potenze europee a riprendere consapevolezza della vicinanza del minaccia russa, in termini di portata di sistemi d’arma e di influenza su un Europa dell’Est composta da un coacervo di nazioni e popoli che hanno diversi gradi di fedeltà e fiducia verso l’Alleanza Atlantica.

Una deriva filorussa in paesi come la Romania e l’Ungheria, ad esempio, non è da escludere del tutto, per non parlare di un paese come la Serbia il cui orientamento filorusso non è mai stato particolarmente celato. Lo stesso recente cambio di passo della Slovacchia che propone il proprio suolo per i negoziati di pace è, di per sé, un elemento nuovo quanto inaspettato.

Nel Fianco Sud, invece, l’approccio russo è leggermente diverso, oltre che essere solo uno dei fattori e degli attori di un Mediterraneo Allargato sempre più multipolare. Il parziale disimpegno degli Stati Uniti e la frammentazione dell’azione europea hanno pertanto creato uno spazio per l’attivismo di attori come Russia e Turchia, i cui interessi si sovrappongono in aree strategiche quali la Libia, la Siria e il Mediterraneo orientale.

A questi si aggiunge la crescente influenza economica della Cina, che tramite la “Belt and Road Initiative” mira a trasformare i porti del Mediterraneo in snodi cruciali per le proprie rotte commerciali globali, consolidando così la sua proiezione nell’area Area che ormai è diventata a tutti gli effetti un punto di pressione per una innumerevole serie di motivi che vanno dai flussi migratori, al contrabbando di petrolio in Nordafrica, passando per il sensibile network di cavi sottomarini ed approdando, infine, all’ elemento che con più evidenza ha sottolineato l’importanza dei cosiddetti “choke points” delle rotte commerciali: la crisi degli Houthi e del Mar Rosso in generale.

Il Mediterraneo, quindi, è diventato un vero e proprio punto critico mondiale per le Line of Communications del Maritime Domain europeo e non solo, sortendo devastanti effetti in termini economici. Per questo motivo è stato coniato il termine di Mediterraneo Allargato, che allarga i confini prettamente geografici del bacino mediterraneo al Mar Rosso ed all’Oceano Indiano Occidentale.

 

Mediterraneo allargato

L’espansionismo Russo e Cinese, l’uno in chiave militare e di sicurezza l’altro dirompentemente economico, ha ormai eroso quasi del tutto la presenza francese nel continente nero. Giova evidenziare come, dopo il 2014, la cooperazione militare è passata in primo piano nei nuovi legami della Russia con l’Africa, come attesta la firma di venti accordi di cooperazione militare tra il 2017 e il 2021, più della metà dei quali con Paesi che non avevano precedenti legami militari con la Russia.

Si tratta di accordi militari e di sicurezza, che prevedono contratti per la vendita di armi e varie forme di cooperazione militare, tra cui anche l’uso dei porti africani da parte della flotta russa e la facilitazione all’insediamento di contingenti paramilitari e di sicurezza russi (principalmente privati) sul continente.

Concentrandoci però alla ridotta dimensione prettamente geografica del bacino mediterraneo, ciò che desta le maggior preoccupazioni in termini di instabilità politica potenziale è il Nordafrica, con particolare riferimento allo scenario libico.

Senza addentrarsi nello specifico contesto del Paese diviso tra Tripolitania e Cirenaica, l’ulteriore crisi nel Medioriente con la caduta del regime siriano di Assad mette la Russia davanti alla scelta quasi obbligata di accelerare l’istituzione di un porto militare nel Mediterraneo, presumibilmente su Tobruk, fondamentale per continuare a mantenere una presenza stabile nell’area.

Benghazi si è dimostrata hub strategico della Russia nei giorni successivi alla caduta del regime siriano e l’importanza della Cirenaica nello scacchiere russo non sembra destinata ad affievolirsi. E se, come sembra, Haftar senior è intenzionato a passare il testimone al figlio Saddam, una maggiore presenza russa potrebbe passare per un endorsement ufficiale di colui che ha guidato l’incursione a Gadames in estate durante la crisi della Banca Centrale libica.

 

Il ruolo dell’Italia

Allo stato attuale, considerate alcune complesse vicissitudini di politica interna di Francia e Germania, l’Italia si trova in una posizione di vantaggio in politica estera verso il Nordafrica.

Tuttavia, l’intensificarsi della già determinante presenza russa in Libia andrebbe, tra le altre cose, a destabilizzare il Piano Mattei italiano. Come suggerisce il nome, da quello del fondatore dell’Eni Enrico Mattei, il piano del governo italiano vorrebbe trasformare l’Italia nello snodo energetico chiave tra continente africano e Unione europea, specie nel campo del gas, dopo il taglio delle importazioni dalla Russia, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

In parallelo, con il Documento Programmatico Pluriennale Della Difesa 2024-2026, l’attuale governo ha puntato al raggiungimento di obiettivi estremamente sfidanti per il comparto difesa. Il DPP stabilisce nel breve termine l’obiettivo di dotarsi di mezzi e capacità per poter condurre in autonomia una Limited Small Joint Operation (L-SJO) ad alta intensità e per un periodo di 6/8 mesi.

Questa ambizione risulta particolarmente rilevante per le sue implicazioni operative e strategiche. Il raggiungimento del livello di autonomia prefissato dal documento implica, ad esempio, un certo grado di indipendenza quanto ad abilitatori strategici finora forniti da alleati e fondamentali per il raggiungimento, la permanenza e l’uscita dal teatro operativo.

Tale level of ambition andrà messo inevitabilmente a sistema con due fattori endogeni: il primo di natura tecnico-economica, ossia disponibilità dei fondi e prontezza del sistema industriale nazionale, il secondo di natura politica.

Da una parte il tentativo di costruire una propria autonoma forma di deterrenza militare nazionale va in contrasto con i dettami costituzionali del belpaese che potrebbero minarne la credibilità di deterrenza già in partenza, dall’altro la tradizionale polarizzazione politica italiana, che ha visto l’attuale governo essere tra i 7 governi più longevi della storia repubblicana con soli 2 anni e qualche mese all’attivo, potrebbe inficiare tutti i progetti a lungo termine della governance attuale.

Ai fattori endogeni, che sono già di per sé grandi “showstopper” da superare, vanno aggiunti i fattori esogeni degli altri attori in partita: soprattutto la Turchia che potrebbe voler bissare la manovra siriana in Libia, considerando che già il governo di Tripoli è stato tra i primissimi a riconoscere la “nuova Siria”.

 

Riassetto delle sfere d’influenza e scenari futuri

Alla luce di quanto detto, è presumibile, da parte degli Stati Uniti un defilarsi dalla situazione del Mediterraneo allargato per concentrarsi sullo scenario pacifico in chiave cinese.

Per fare ciò l’obiettivo a breve termine per gli USA in chiave NATO sarà di disinnescare la crisi del Fianco Est probabilmente lasciando margine di manovra nel Mediterraneo allargato alla Russia e stabilendo una sorta di tregua “unofficial” tra le due superpotenze storiche, evidenziando lo spauracchio del ritorno del terrorismo jihadista che potrebbe seguire dal nuovo assetto in Siria, situazione di cui la Russia per anni si era fatta “garante”, ruolo che quest’ultima potrebbe mettere sul tavolo delle trattative per riequilibrare la sua credibilità internazionale.

Un “divide et impera” potrebbe risultare vincente per Mosca che alimentando il focolaio del Fianco Sud a ridosso dell’ingresso ufficiale sulla scena politica di Trump, costringerebbe l’Europa a scegliere tra sostenere l’Ucraina nel Fianco Est ed investire risorse nella gestione del Fianco Sud tra flussi migratori, minacce ai cavi sottomarini e un’ennesima esplosione del conflitto libico. Situazioni in cui gli Stati Uniti di Trump difficilmente interverranno se non a difesa di interessi diretti.

Quindi, se nel breve termine il Fianco Est potrebbe abbassarsi di intensità, nel medio termine (se non in contemporanea) il fianco Sud potrebbe tornare ad essere una priorità regionale, una nuova sfida operativa della NATO che vedrà una presenza russa più vicina alle coste di stati occidentali quali Italia, Grecia, Francia e Spagna. In particolare, la presenza russa potrebbe sensibilmente interferire con gli interessi nazionali proprio dell’Italia, che si troverà a dover decidere come modificare il proprio approccio nel futuro scenario nordafricano.

Altro elemento sul medio e lungo termine è un presumibile nuovo attivismo di matrice terroristica che potrebbe riportare alla ribalta scenari operativi che ormai sembravano sulla via del tramonto. Per quanto riguarda il dominio aereo, se negli ultimi anni la minaccia “renegade” (aerei dirottati e impiegati come armi terroristiche – NdR) post 11 Settembre iniziava lentamente ad affievolirsi, un’ipotetica nuova recrudescenza del terrorismo islamico abbinato alla prossima comparsa di voli commerciali a velocità supersonica, porrebbe vecchie sfide sotto nuove vesti.

Nel breve periodo, per il dominio marittimo, invece, la possibile presenza strategica russa in pianta stabile sulle coste della Libia porterebbe ad una maggiore attenzione delle marine del vecchio continente, considerando le sempre più frequenti notizie di attività sospette della cosiddetta “marina ombra” russa, soprattutto in ragione dell’enorme mole di cavi sottomarini di telecomunicazioni che transita nel Mediterraneo Centrale.

Tuttavia, una volta disinnescato il Fianco Est con una vittoria, anche formalmente esaltata da un punto vista mediatico, ma mutilata nella sostanza, difficilmente la Russia costituirà una minaccia diretta dopo un conflitto durato circa 3 anni con innominabili perdite, sia in termini di vite umane che economiche. Piuttosto consoliderà la sua posizione di rinata superpotenza che ha dimostrato di poter sostenere un conflitto ad alta intensità per circa 3 anni con un appoggio militare esterno risibile, almeno in termini di truppe.

Potrebbe piuttosto sfruttare a suo vantaggio l’inevitabile caos che seguirà nel mondo arabo in tutte quelle realtà al limite che, con il rovesciamento di un regime in pochi giorni come quello siriano, saranno pronte a rimettersi in gioco, specialmente con il lavoro sottotraccia di Ankara.

In conclusione, il riassetto delle aree di influenza USA e russe, a valle dell’ufficiale ingresso in scena di Trump, potrebbe costringere la NATO ad una maggiore attenzione sul Fianco Sud del Mediterraneo Allargato, a cui saranno chiamati a rispondere i paesi europei dell’Alleanza Atlantica, per i quali, alla luce di una affermata difficoltà di coordinamento sotto l’egida dell’Unione Europea, dovranno affidarsi necessariamente alla più rodata struttura NATO, nella quale però gli Stati Uniti giocheranno un ruolo marginale, ma non del tutto secondario (a differenza di quanto potrebbe apparire dall’infodemica strategia comunicativa del tycoon).

L’Alleanza Atlantica, quindi, nel medio–lungo termine potrebbe dover affrontare le conseguenze di una Primavera Araba 2.0, trovandosi, paradossalmente, a cercare la sponda proprio della Russia. L’Italia, poi, dovrà rivedere le sue aspirazioni di soft power nel Nordafrica alla luce dei recenti cambiamenti geopolitici, interloquendo inevitabilmente con la Turchia di Erdogan. La recente cessione dell’italiana Piaggio Aerospace alla turca Baykar assume un valore, in quest’ottica, ben più profondo e significativo.

Immagini: NATO,  X, Difesa.it, US DoD, Lockheed Martin, Truth e Presidenza Russa

 

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