UE e NATO terrorizzati dall’idea che Trump negozi la pace in Ucraina
La schizofrenia di NATO e UE, le cui dirigenze parlano ormai in fotocopia circa la guerra in Ucraina al netto del fatto che i due organismi sono composti in buona parte dagli stessi stati membri, sta raggiungendo il culmine in questi ultimi sgoccioli dell’Amministrazione Biden.
Lo si avverte da numerosi indicatori, inclusa l’evidente irritazione avvertibile in molte cancellerie europee per la possibilità che Donald Trump possa aprire un negoziato che concluda il conflitto in Ucraina.
Una “paura della pace” (o di una “pace non giusta” per citare un’espressione spesso utilizzata dalla politica europea), che tradisce il timore fondato che l’Europa venga ancora una volta tagliata fuori da un negoziato USA – Russia e relegata al solito ruolo di comparsa.
Un timore che colpisce anche l’Amministrazione Biden uscente che nell’aprile 2022 impedì a Kiev di accettare l’accordo con Mosca mediato dalla Turchia e che pochi mesi più tardi, come ha rivelato oggi il New York Times, scoraggiò gli ucraini ad aprire trattative con i russi sull’onda dei successi appena conseguito con le controffensive nelle regioni di Kharkiv e Kherson. All’epoca fu il capo degli stati maggiori riuniti, generale Mark A. Milley, a suggerire tale iniziativa agli ucraini ma il segretario di Stato Antony Blinken (peraltro di origini ucraine) la cassò, convinto che la guerra dovesse continuare.
La preoccupazione che Trump possa trovare una soluzione negoziata al conflitto traspare anche dalla nuova narrazione con cui UE e NATO cercano in ogni modo di nascondere quanto sta avvenendo sui campi di battaglia da cui, ci avrete fatto caso, giungono dai media notizie sempre più scarse mano a mano che la situazione per gli ucraini si aggrava.
Occultate o messe al bando le quotidiane evoluzioni belliche a vantaggio dei russi che giungono dai fronti di Kursk, Pokrovsk, Toretsk, Chasov Yar e dalla regione di Kharkiv (di cui ci occupiamo con qualche dettaglio in un altro articolo), dai vertici occidentali emergono dichiarazioni che suscitano perplessità, poiché del tutto prive di pragmatismo e realismo.
L’11 gennaio il presidente USA uscente Joe Biden ha dichiarato che Vladimir Putin “è in una situazione difficile in questo momento e penso che sia davvero importante che non abbia alcun margine di manovra per continuare a fare le cose terribili che continua a fare. Se l’Ucraina continuerà a ricevere il sostegno dell’Occidente c’è una reale possibilità che possa prevalere”.
A Bruxelles l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Kaja Kallas ha affermato che , in vista dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, la Ue è “pronta a sostenere l’Ucraina se gli Stati Uniti cesseranno il loro impegno”.
Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, a Ramstein ha annunciato che “dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno in termini di addestramento e di equipaggiamento per prolungare la lotta e prevalere”.
Sembra così consolidarsi una narrazione negli ambienti USA (in scadenza) e NATO/UE, che mira a sostenere la prosecuzione del conflitto e degli aiuti militari occidentali abbinati probabilmente all’abbassamento dell’età minima per l’arruolamento dei maschi ucraini dagli attuali 25 a 18/20 anni, già approvata dal parlamento di Kiev.
Questa narrazione sembra essere incentrata su tre punti: i russi non stanno vincendo, l’Ucraina può vincere, occorre continuare ad armare Kiev che può arruolare anche i ragazzi più giovani.
Peccato che nessuno dei tre punti appaia oggi credibile, come abbiamo illustrato in un precedente articolo, poiché i russi stanno vincendo sul campo di battaglia, gli ucraini soffrono una crescente carenza di armi e munizioni e non riescono ad arruolare e soprattutto addestrare reclute in misura sufficiente (nonostante gli arruolamenti coercitivi nelle strade) e gli aiuti militari che possono giungere dai membri UE/NATO sono ormai agli sgoccioli.
Tale narrazione appare quindi destinata ad avere vita breve e a gettare ulteriore discredito su chi la promuove, anche perché è in palese contraddizione con quanto proferito da USA/NATO/UE per oltre due anni.
Le prime avvisaglie di questo imbarazzante contesto si sono viste al Parlamento Europeo dove Mark Rutte ha motivato l’assemblea spiegando le ragioni del riarmo europeo con una spesa che deve raggiungere almeno il 3 per cento del PIL per sostenere l’Ucraina e far fronte alla minaccia di aggressione russa all’Europa.
Rutte non è stato però in grado di fornire una risposta precisa alla domanda dell’onorevole Roberto Vannacci (Patrioti/Lega) che, da generale, su temi militari può vantare una certa autorevolezza.
In sintesi l’eurodeputato italiano ha chiesto perché dovremmo spendere tanto di più per la Difesa se già oggi la spesa militare russa (140 miliardi di euro nel 2024) è pari a un terzo di quella delle nazioni europee e a quasi un decimo della NATO (inclusi gli USA), soprattutto se si tiene conto che i leader di UE e NATO non fanno che raccontarci da quasi tra anni le difficoltà dei soldati russi (combattono coi badili, sono senza calzini invernali, rubano le schede elettroniche dalle lavatrici ucraine….) peraltro alle prese con perdite spaventose che avrebbero superato 700 mila morti e feriti (secondo la NATO) che salgono addirittura a 815 mila secondo le fonti ufficiali ucraine.
Se i russi hanno subito perdite così elevate e hanno così gravi difficoltà come potrebbero attaccare l’Europa entro qualche anno?
Perplessità e interrogativi già peraltro espressi da Analisi Difesa.
I casi sono due: o in tre anni la propaganda NATO/UE ci ha raccontato una mole gigantesca di frottole (ben supportata in questo compito da un circo mediatico in buona parete prono che infatti continua a perdere copie, audience e credibilità), oppure le fandonie le sta raccontando adesso ingigantendo la minaccia russa per l’Europa.
Pur non escludendo, come terza ipotesi, che le fake-news abbondassero ieri come oggi, appare evidente che la narrazione NATO/UE che ha accompagnato i primi due anni di guerra è in contraddizione con quella degli ultimi mesi.
A Ramstein il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha evocato l’invio di truppe occidentali (che sarebbero eventualmente solo europee) come uno degli “strumenti migliori per costringere la Russia alla pace. Credo che tale dispiegamento di contingenti dei partner sia uno degli strumenti migliori”.
Difficile però credere che i governi europei siano disposti a inviare brigate a combattere in Ucraina soprattutto perché nessuna società europea reggerebbe perdite elevate (in Europa anche poche decine di caduti in battaglia risulterebbero forse troppi), per giunta in un conflitto che in pochi percepiscono come la “nostra guerra” e contro una Russia che in pochi percepiscono nemica, come confermano del resto diversi sondaggi.
I governi ne sono consapevoli così come sanno che le forze armate delle nazioni europee non potrebbero sostenere più di poche settimane lo sforzo bellico a causa della penuria di mezzi, armi e munizioni e dai consumi e logorio imposti da una guerra simile.
Sul piano politico appare però chiara la reale percezione che la sconfitta dell’Ucraina sarà anche quella dell’Europa che ha sacrificato sovranità, sicurezza energetica ed economica e oltre 100 miliardi di euro in armi e munizioni per supportare Kiev: oggi si ritrova più povera, più disarmata, meno coesa e lo sforzo si sta rivelando inutile a evitare agli ucraini la sconfitta.
Donald Trump invece appare così determinato a chiudere il conflitto da affermare, il 7 gennaio a Mar-e-Lago, di comprendere le ragioni di Putin di fronte all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
”La Russia per molti anni ha detto che non si sarebbe mai potuto avere un coinvolgimento della NATO in Ucraina. Ed era come scritto nella pietra! Biden ha detto invece che (gli ucraini – NdR) dovrebbero poter entrare nella NATO, quindi sulla soglia di casa della Russia. Potrei capire i loro sentimenti (dei russi -NdR) al riguardo” ha dichiarato Trump seppellendo quasi tre anni di retorica propagandistica circa la “brutale e ingiustificata aggressione russa all’Ucraina” (note di linguaggio USA/NATO/UE) e la contrapposizione morale aggressore/aggredito.
“Quando ho sentito il modo in cui Biden stava negoziando, gli ho detto: ‘finirai in una guerra’ e così è stato. Ma potrebbe esserci un’escalation che renderà la guerra molto peggio di come è adesso. Io sono convinto ci fosse un accordo che Biden ha fatto saltare, e quell’accordo era soddisfacente per l’Ucraina e per tutti gli altri. Ma Biden ha detto ‘no, l’Ucraina deve essere parte della NATO”.
Del resto non è difficile immaginare come reagirebbero gli Stati Uniti (e lo stesso Trump) se russi, cinesi o altri stati rivali schierassero forze militari e basi sul confine canadese o messicano degli USA.
Certo la “comprensione” di Trump verso la Russia è funzionale ad attaccare Biden oltre che a facilitare i colloqui che intende avviare con Putin, ma non è curioso che l’Europa suicidatasi seguendo supinamente l’amministrazione statunitense uscente sia oggi in tremendo imbarazzo di fronte all’ipotesi di un accordo che faccia terminare questo disastroso conflitto?
Non stupisce che l’arrivo di Donald Trump preoccupi gli europei e gli altri alleati degli Stati Uniti come rivela un sondaggio del think-tank European Council on Foreign Relations (ECFR) reso noto il 15 gennaio e realizzato subito dopo l’elezione di Trump nel novembre scorso, su un campione di 28.549 persone in 24 Paesi, otto dei quali extraeuropei.
La maggioranza dei non europei ritiene che il ritorno di Trump sarà positivo per la pace nel mondo, per il proprio Paese e per gli stessi americani. Tendenza particolarmente marcata in India in cui l’82% degli intervistati si è espresso in questi termini.
Invece Gran Bretagna, Unione Europea ma anche la Corea del Sud pensano l’opposto: nei Paesi europei in media solo il 22% degli intervistati valuta positivamente un secondo mandato di Trump e nel Regno Unito il 50% ha espresso un giudizio del tutto negativo. Infine, in Ucraina regna la prudenza: il 55% degli intervistati ha scelto di non pronunciarsi a fronte di un 26% che si dichiara invece ottimista.
In vista di possibili negoziati che potrebbero scaturire dal faccia a faccia tra Trump e Putin atteso a breve, le bellicose (sulla pelle degli ucraini) “potenze” europee provano a riciclarsi nel caso eventuale che “scoppi la pace”.
Il 16 gennaio il primo ministro britannico Keir Starmer e il presidente francese, Emmanuel Macron hanno discusso la possibilità di inviare loro militari in Ucraina come parte di una “forza di pace” o di interposizione che separi i contendenti nel caso venga raggiunto un accordo che ponga fine al conflitto.
Secondo quanto riferisce il quotidiano “The Telegraph”, Macron avrebbe già discusso l’idea con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro polacco Donald Tusk (ma la Polonia ha fatto sapere che non parteciperà a una missione del genere), mentre Starmer non ha ancora espresso il suo pieno sostegno.
Secondo una fonte governativa interpellata dal “Telegraph”: “Ci sono sfide legate alla forma di sostegno e alla minaccia a cui le truppe potrebbero essere esposte, considerando il rischio di un’escalation”. Resta però improbabile che truppe britanniche o francesi o di altre nazioni NATO/UE possano venire accettate come forza di interposizione dopo aver sostenuto Kiev e applicato sanzioni a Mosca.
Del resto ucraini e occidentali accetterebbero “forze di pace” bielorusse o nordcoreane a presidiare un’eventuale area smilitarizzata?
In genere i contingenti di questo tipo appartengono a nazioni neutrali, quali né Gran Bretagna né Francia possono sperare di assomigliare dopo tre anni di aperto sostegno all’Ucraina e demonizzazione della Russia (persino dei suoi atleti e artisti). Un’eccezione potrebbe forse valere per Ungheria, Slovacchia e Austria, che non hanno fornito armi a Kiev.
Non certo per la Gran Bretagna il cui pesante ruolo militare nella guerra in Ucraina è ben noto ed è stato rafforzato da Starmer che ha firmato il 16 gennaio a Kiev un accordo di partenariato volto a rafforzare i legami di difesa bilaterali, a garantire ulteriori aiuti militari a Kiev per 3 miliardi di sterline annui dopo i 12,8 (15 miliardi di euro) già forniti da Londra e a sostenere l’ingresso di Kiev nella NATO.
Suscita perplessità anche quanto dichiarato oggi dal ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, nel quadro di un eventuale accordo di cessate il fuoco tra Ucraina e Russia in cui venga imposta una zona demilitarizzata tra le due nazioni in conflitto. “E’ ovvio che dovremo svolgere un ruolo e assumerci delle responsabilità”, ha detto alla Suddeutsche Zeitung.
Pistorius, che difficilmente sarà ancora ministro dopo le elezioni tedesche di fine febbraio, dovrebbe ricordare che tra le condizioni poste da Mosca per trattare c’è la pretesa che il territorio dell’Ucraina sia privo di truppe, armi e basi delle nazioni aderenti all’Alleanza Atlantica. Difficile credere che la Russia possa accettarle mascherate da “forze di pace”.
Foto: NATO, Presidenza Ucraina, Presidenza Russa, Parlamento Europeo e Telegram
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.