Dissociati dalla realtà
Una valanga di provocazioni ha caratterizzato la prima settimana alla Casa Bianca di Donald Trump in politica estera, dove la foga di imporre il nuovo corso dell’America “tornata grande” sembra portare il neo presidente ai ferri corti con alleati, vicini e rivali dall’Europa al Medio Oriente, dalla Groenlandia alla Russia, dai BRICS all’America Latina.
Che si tratti di passi falsi o dell’ostentazione della forza che Washington intende utilizzare o forse solo minacciare per dirimere le contese con alleati e rivali solo il tempo potrà dirlo.
Il monito lanciato a Vladimir Putin affinché negoziare sull’Ucraina ha fatto seguito a molti segnali di distensione verso il Cremlino. Se non accetterà di negoziare per porre fine alla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti porranno nuove ulteriori sanzioni alla Russia e ai suoi alleati ha fatto sapere Trump due giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, in un messaggio pubblicato su Truth Social.
“Ho sempre avuto un ottimo rapporto con il presidente Putin. Non voglio danneggiare la Russia. Farò alla Russia, la cui economia sta fallendo, e al presidente Putin, un grandissimo favore. Raggiungete un accordo ora e fermate questa ridicola guerra! Non potrà’ che peggiorare!”.
Mostrando aperture verso Mosca Trump ha aggiunto che “non dobbiamo mai dimenticare che la Russia ci ha aiutato a vincere la Seconda Guerra Mondiale, perdendo quasi 60 milioni di vite umane”. Una gaffe storica non proprio edificante per il neo presidente e il suo staff.
Trump aveva definito l’Ucraina “un Paese raso al suolo dalla guerra”, sottolineando l’enorme tributo di sangue che il conflitto è costato ad entrambi i belligeranti auspicando che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, voglia porre fine quanto prima al conflitto ma, aggiungendo che per conseguire tale obiettivo è necessaria una reale apertura al dialogo da parte di Putin, benché “Zelensky non sia un angelo”, come ha ricordato Trump dando un colpo al cd4rchio e uno alla botte.
Le esternazioni del neo presidente statunitense potrebbero indicare la raggiunta consapevolezza che la sua mediazione non potrà fermare la guerra in Ucraina “in 24 ore” come aveva affermato in campagna elettorale. Come ha detto nel discorso di insediamento, Trump vorrebbe passare alla Storia come “il pacificatore” e di certo sa bene che a lui non attribuiranno il Nobel per la Pace “sulla fiducia” come accadde a Barack Obama.
Eppure il suo appello minaccioso a Putin rischia di apparire inefficace, non solo perché appare più di facciata che concreto e poi perché oltre dieci anni di sanzioni occidentali finora non hanno piegato la Russia e la sua economia. Anzi, proprio mentre Trump scriveva il suo messaggio su Truth l’agenzia Bloomberg certificava come nel dicembre scorso le entrate dello stato russo avessero stabilito un record assoluto.
Nei giorni scorsi uno studio del think-tank britannico RUSI ha rilevato che “la resilienza economica della Russia sta sfidando le aspettative dell’Occidente, consentendo al Cremlino di sostenere lo sforzo bellico in Ucraina nonostante le crescenti sfide e sollevando dubbi sulle speranze di una rapida risoluzione”.
Come spiega il RUSI, questo non significa ovviamente che Mosca non paghi un tributo elevato al conflitto in Ucraina ma Trump sembra non vedere che i russi stanno vincendo sui campi di battaglia e difficilmente accetteranno un negoziato che non soddisfi tutte le loro richieste che costituiscono gli obiettivi dell’Operazione Militare Speciale: annessione di 4 (per ora) regioni ucraine e un assetto politico che veda Kiev priva di armi offensive, neutrale e senza la presenza di forze della NATO sul suo territorio.
Anche le valutazioni espresse nei giorni scorsi da Trump circa la necessità russa di negoziare dopo aver subito perdite di oltre 700 mila morti e feriti o più rischia di risultare poco fondata perché basata su dati forniti pubblicamente dalla NATO e da Kiev (che riferisce di oltre 810 mila perdite nemiche) ma che appaiono più utili alla propaganda che a un’analisi corretta delle perdite russe e degli eventi bellici.
La risposta di Mosca a Trump è stata affidata al portavoce Dimitri Peskov. “Non vediamo in particolare alcun elemento nuovo. Sapete che Trump, nel primo mandato della sua presidenza, è stato il presidente americano che più spesso ha fatto ricorso a misure sanzionatorie. A lui piacciono questi metodi. Almeno gli piacevano durante la sua prima presidenza”, ha dichiarato Peskov ribadendo che “la Russia è pronta per un dialogo paritario con gli Stati Uniti e attende segnali da Washington ma questi non sono ancora arrivati”.
Peskov ha poi corretto Trump ricordando che durante la seconda guerra mondiale i russi uccisi furono 27 milioni (non 60 milioni come aveva detto il presidente americano) ma a Mosca anche altri hanno commentato la velata minaccia del presidente USA.
Per il vicepresidente del Consiglio della Federazione, Konstantin Kosachev, Trump “dimostra la sua totale mancanza di comprensione dell’essenza e delle cause del conflitto ucraino” oltre che “una mancanza di comprensione del corso e dei risultati della Seconda Guerra Mondiale”.
Leonid Ivlev, ex generale e deputato della Duma, valuta che Trump abbia scelto una strategia sbagliata e senza uscita nel rapportarsi con la Russia a suon di ultimatum.
Vladimir Putin ha però ribadito la disponibilità a incontrare Trump convenendo che la sua presenza alla Casa Bianca avrebbe evitato probabilmente la guerra in Ucraina. “Non posso che essere d’accordo con lui sul fatto che se fosse stato presidente, se la sua vittoria non fosse stata rubata nel 2020, forse non ci sarebbe stata la crisi in Ucraina nel 2022”, ha detto Putin.
Insomma, Trump e Putin sembrano prendersi le misure reciprocamente, sfidarsi e al tempo stesso “corteggiarsi”, in attesa di un incontro, da tenersi in un paese neutrale. A nostro modesto avviso se lo ospitassero Slovacchia, Ungheria o Turchia potrebbero esserci reazioni negative poiché l’arrivo di Putin irriterebbe UE e NATO, anche se Budapest è amico di Mosca ma anche dell’America di Trump.
Probabilmente il luogo ideale è Belgrado poiché la Serbia è amica della Russia, chiede di entrare nella Ue e mantiene rapporti con la NATO pur non facendo parte di queste organizzazioni: non fornisce armi a Kiev e non applica sanzioni a Mosca.
Peraltro i più interessati a chiudere il conflitto dovrebbero essere gli ucraini e gli europei, che stanno subendo le gravi conseguenze del conflitto, anche se al Forum economico di Davos il presidente Zelensky ha utilizzato la solita retorica avvertendo Trump che “Putin non vuole porre fine alla guerra” perché il suo sogno è distruggere l’Ucraina”.
Zelensky (nella foto sotto con il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto) sembra puntare sull’Europa per continuare la guerra ed evitare trattative con la Russia. “Trump ascolterà l’Europa o negozierà con Russia e Cina senza l’Europa? L’Europa deve imparare a prendersi cura di sé stessa, cosicché il mondo non possa più permettersi di ignorarla“, ha detto puntando a evidenziare i timori europei che Trump chiuda un accordo con Putin penalizzante per Kiev.
Eppure, col pragmatismo che spesso lo ha contraddistinto, il capo della direzione principale dell’intelligence militare ucraino (GUR), il generale Kyrylo Budanov ha affermato che “se non saranno avviati negoziati seri entro l’estate potrebbero essere avviati processi molto pericolosi per l’esistenza stessa dell’Ucraina”. Le parole di Budanov, secondo Ukrainska Pravda, sono state riportate da uno dei partecipanti a un incontro a porte chiuse tra i deputati della Verkhovna Rada e i rappresentanti del comando delle forze di difesa.
Più tardi l’ufficio stampa del GUR ha smentito che tali dichiarazioni siano mai state espresse. e ha esortato a non diffondere voci, informazioni non verificate e non confermate, soprattutto su questioni di difesa, poiché “singole personalità politiche possono distorcerle nei loro interessi, utilizzando a questo scopo i giornalisti”.
A Kiev del resto la drammatica situazione militare ha dato il via allo scaricabarile anche al ministero della Difesa, dove il ministro Rustem Umerov (nella foto qui sotto con Crosetto) cerca di attribuire ai suoi più stretti collaboratori sconfitte, ritardi e carenze nel flusso dei rifornimenti alle truppe e l’immancabile elevata corruzione che già costò il posto a molti vice ministri e alti funzionari nonché al suo predecessore Reznikov.
Nei giorni scorsi è stato silurato il vice ministro della Difesa ucraino, Dmitry Klimenkov e il responsabile dell’agenzia per gli appalti del ministero, Marina Bezrukova, finiti al centro delle critiche per non aver acquistato armi per l’esercito e per gli scandali legati alla corruzione.
Zelensky cerca di stuzzicare il tentativo di protagonismo europeo dopo che Francia, Gran Bretagna e altre nazioni indicato la disponibilità a inviare “forze di pace” in Ucraina in caso di accordo per il cessate il fuoco.
Il presidente ucraino ha affermato che in tal caso occorrerebbero “almeno 200 mila militari europei” invitando anche gli americani a schierare forze per il peacekeeping. Appare chiaro che 200 mila militari sarebbero decisamente troppi per una “forza di pace” che dovrebbe eventualmente pattugliare una zona smilitarizzata che separi russi da ucraini.
In realtà appare dissociata dalla realtà anche l’ipotesi che gli europei schierino truppe in territorio ucraino, “a tiro” delle forze russe. Soprattutto perché appare evidente che una tale forza di interposizione (secondo fonti del Financial Times Kiev conterebbe sull’invio di 40-50mila militari occidentali) non potrà mai essere composta da eserciti di nazioni alleate né dei russi né degli ucraini, ma solo di nazioni neutrali.
L’Unione Europea e il Regno Unito non hanno ancora trovato un consenso sull’invio di truppe di peacekeeping in Ucraina, secondo un rapporto pubblicato oggi dal Times, che cita fonti diplomatiche. L’idea di inviare migliaia di soldati in Ucraina dopo un eventuale cessate il fuoco è sostenuta da Regno Unito, Francia e paesi nordici, ma incontra resistenza da parte di altri stati membri.
Gli stati baltici e la Polonia si oppongono all’iniziativa per il timore che il finanziamento di una missione di peacekeeping possa ridurre le capacità della NATO di proteggere i loro territori in caso di necessità. Secondo il Times, vi è anche un crescente consenso sul fatto che una tale operazione debba dipendere da garanzie di sicurezza per Kiev e da un impegno finanziario degli Stati Uniti.
Una fonte anonima del Ministero della Difesa britannico ha dichiarato che, sebbene l’Europa possa fornire truppe di terra, sarebbe necessario il supporto aereo di Washington, incluso l’impiego dei sistemi di difesa aerea Patriot e delle capacità di intelligence statunitensi. Una fonte militare britannica ha rivelato al Times che il Regno Unito potrebbe teoricamente schierare tra 10.000 e 25.000 soldati in Ucraina, ma ha riconosciuto che l’operazione sarebbe complessa e difficile da realizzare.
Anche questo dibattito appare però del tutto dissociato dalla realtà poiché è oggi impensabile che Mosca accetti la presenza di truppe di nazioni aderenti alla NATO (che i russi definiscono “ostili”) sul territorio ucraino anche se presentate sotto forma di “forza di pace”.
“L’intervento delle forze NATO in Ucraina minaccia un’escalation incontrollata del conflitto ed è categoricamente inaccettabile per la Russia“, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, opponendosi all’idea del dispiegamento di un contingente occidentale di interposizione.
Il Times riporta che un’opzione più praticabile potrebbe essere l’invio di una forza di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite che potrebbe includere truppe provenienti da paesi come India, Bangladesh e persino Cina, per garantire una maggiore neutralità ed evitare l’escalation del conflitto. Un’ipotesi forse più credibile.
Nonostante recessione, caro-energia, debolezza militare, crisi politiche e governi traballanti in diversi stati membri, in ambito UE la dissociazione dalla realtà non sembra essere molto diversa da quella che caratterizza le dichiarazioni di Zelensky.
Il 23 gennaio il presidente della CDU/CSU, Friedrich Merz, ritenuto favorito alle imminenti elezioni parlamentari tedesche, ha affermato che l’Ucraina deve vincere la guerra contro la Russia, riconquistare i territori perduti ed essere libera di unirsi ad alleanze militari.
“L’Ucraina deve vincere la guerra. Per me vincere significa ripristinare l’integrità territoriale e l’Ucraina deve avere completa libertà di scegliere le proprie alleanze politiche e, se necessario, militari”.
Quindi secondo il probabile futuro cancelliere della principale potenza europea l’Ucraina deve riconquistare quel quasi 20 per cento di territorio nazionale perduto, inclusa la Crimea, ed entrare nella NATO.
Con una visione così realistica degli eventi bellici in corso, non sorprende che Merz abbia dimenticato di spiegare come tutto questo potrà accadere, considerato che mentre rilasciava queste dichiarazioni le truppe ucraine hanno continuato a perdere terreno.
Oltre ad affermare che “la Russia non deve vedere alcuna possibilità di continuare questa guerra con successo dal punto di vista militare” Merz dovrebbe spiegare cosa intende fare concretamente per evitarlo.
L’ipotesi che Trump possa negoziare un accordo con Putin spinge la NATO a correre ai ripari e come ha detto il segretario generale Mark Rutte al World Economic Forum di Davos, “sull’Ucraina abbiamo bisogno che gli Stati Uniti rimangano coinvolti. Se la nuova amministrazione Trump è disposta a continuare a rifornire l’Ucraina dalla sua base industriale di difesa, il conto sarà pagato dagli europei, ne sono assolutamente convinto, dobbiamo essere disposti a farlo”.
Un’Europa messa economicamente in ginocchio da questa guerra dovrebbe quindi essere disposta a pagare il conto delle armi statunitensi fornite a Kiev: di certo sarebbe un buon affare per Washington e la sua industria della Difesa che trarrebbe beneficio anche da quanto sta emergendo dal dibattito in corso in ambito Ue riguardo le spese militari, da gonfiare per sostenere il confronto con la Russia.
“Il presidente Trump ha ragione a dire che non spendiamo abbastanza per la Difesa, è ora di investire”, ha detto Kaja Kallas, Alta rappresentante dell’Ue per la Politica di sicurezza mentre Polonia, Estonia e Lituania si sono dichiarate pronte a raggiungere una spesa per la Difesa pari al 5 per cento del PIL.
Un altro baltico, il commissario europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, si è spinto addirittura oltre la richiesta di Trump agli europei di spendere addirittura il 5 per cento del PIL per la Difesa, definendo necessario l’impegno di arrivare a spendere il 5-6% nei prossimi anni.
“Se non faremo nulla, la Russia potrebbe attaccarci” nei prossimi cinque anni, ha sottolineato riprendendo l’avvertimento lanciato nelle ultime settimane dal segretario generale della Nato, Mark Rutte.
“Non dovrebbero esserci dubbi sulle intenzioni di Putin, che potrebbe non fermarsi all’Ucraina. Vuole riportare indietro le lancette dell’orologio, non di 20 anni, ma di 40 anni o più, all’Unione Sovietica, all’Impero russo“, ha aggiunto Kubilius.
Poiché queste valutazioni, che abbinano con disinvoltura assenza di dubbi a “forse” e “potrebbe”, sembra vengano condivise da tutta la Ue o comunque non pubblicamente contestate da quasi nessuno (a parte i soliti slovacchi e ungheresi), appare chiaro che in Europa abbiamo un grave problema di qualità, equilibrio e pragmatismo della classe dirigente.
L’impressione è che, da Trump a Kubilius passando per Merz e Kallas, l’Occidente si stia ponendo di fronte a questa grave crisi di sicurezza con un approccio semplicistico, talvolta improvvisato, e con leader inadeguati.
Foto: Presidenza Russa, Presidenza Ucraina, Ministero Difesa Italiano e NATO
Leggi anche:
In Groenlandia l’imperialismo di Trump spiazza anche l’Europa
UE e NATO terrorizzati dall’idea che Trump negozi la pace in Ucraina
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.