I negoziati per le basi russe in Siria
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e l’omologo turco Hakan Fidan hanno avuto un colloquio telefonico il 31 gennaio in cui hanno discusso la situazione in Siria, secondo quanto riportato dal ministero degli Esteri di Mosca. I due hanno sottolineato l’importanza di unirsi agli sforzi della comunità internazionale per promuovere un accordo globale in Siria basato sula sovranità, unità e integrità territoriale del Paese, recita il comunicato.
Il 29 gennaio il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, non aveva risposto ai giornalisti che chiedevano di commentare la notizia secondo cui le nuove autorità siriane avrebbero chiesto alla Russia di estradare il presidente deposto, Bashar al-Assad, in cambio del permesso a Mosca di mantenere le sue basi militari nel Paese arabo.
Secondo al-Jazeera, il leader siriano di fatto, Ahmed al-Sharaa, avrebbe chiesto un “risarcimento” alla delegazione russa guidata dal vice ministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov, che ieri si è recata a Damasco.
Durante la visita, la prima di una delegazione russa dalla caduta di Assad in Siria, sarebbe stata sollevata la questione delle basi di Tartus (navale) e Khmeimim (aerea).
Secondo l’agenzia di stampa Sana, la nuova leadership siriana ha chiesto alla Russia di “affrontare gli errori del passato” nel corso dei colloqui con la delegazione, di cui ha fatto parte anche l’inviato del Cremlino per la Siria, Aleksandr Lavrentyev. Nei colloqui, precisa la Sana, si è parlato anche della “giustizia per le vittime della guerra brutale perpetrata dal regime di Assad”.
Bogdanov aveva dichiarato nei giorni precedenti la visita in Siria che la Russia spera di mantenere la presenza a Tartus e a Hmeimim.A fine gennaio le nuove autorità siriane avevano annullato il contratto della durata di 49 anni con l’azienda russa Stg Stroytransgaz per la gestione e l’operatività del porto di Tartus mentre il ministro della Difesa siriano, Murhaf Abu Qasra, aveva dichiarato che sono in corso negoziati con la Russia per definire il futuro rapporto tra i due Stati.
“Noi siamo impegnati a rispettare gli accordi precedenti, ma potrebbero esserci alcune modifiche nelle trattative per garantire gli interessi della Siria,” aveva detto il ministro siriano.
Il 23 gennaio la BBC segnalò che due navi russe (Sparta e Sparta 2) avevano attraccato alla base navale di Tartus considerandolo un segnalo dell’avvio del ritiro russo dal momento che si tratta di mercantili adibiti al trasporto di armamenti.
Possibile anche che i mercantili continuino a trasferire i mezzi e i sistemi d’arma precedentemente schierati in Siria a supporto delle forze del regime di Bashar Assad e oggi divenuti superflui così come buona parte dei 4mila militari russi prima schierati in Siria con centinaia di veicoli e due dozzine di aerei ed elicotteri oggi rimpatriati o trasferiti in Libia e Sahel.
Prima dell’attracco dei due mercantili della compagnia Oboronlogistika LLC, che opera per il ministero della difesa russo, nessuna nave era apparsa ai moli di Tartus dalla caduta di Bashar Assad nel dicembre scorso.
Tra metà dicembre e fine gennaio almeno una dozzina di voli degli aerei cargo russi hanno trasferito materiale ed armamenti dalla base aerea di Hmeimim e le tre o quattro basi aeree libiche controllate dall’Africa Corps russo (ex Gruppo Wagner), secondo quanto rivelato dall’intelligence militare ucraino.
Difficile però credere che la Turchia, vero sponsor di Damasco insieme al Qatar, abbia interesse a privare i russi delle due basi che peraltro oggi avrebbero un ruolo soprattutto logistico ospitando la flotta russa del Mediterraneo e consentendo una sosta ai voli che collegano la Russia ai contingenti di Mosca in Africa. L’Unione Europea ha ammorbidito le sanzioni in atto contro la Siria ma ha chiesto al nuovo esecutivo di Damasco di cacciare i russi dalle due basi in cambio della eliminazione delle sanzioni.
Secondo indiscrezioni anche gli Stati Uniti potrebbero ritirare le forze schierate nella Siria Orientale, attualmente circa 2 mila militari, a presidio di tre aree petrolifere e a supporto delle milizie curde.
Già durante il suo primo mandato il presidente Donald Trump aveva espresso la volontà di ritirare i militari statunitensi dalla Siria, la cui presenza è de tutto illegale per il diritto internazionale al punto che il regime di Bashar Assad le definiva “forze d’occupazione”.
Una valutazione condivisa dal nuovo leader siriano al-Jolani (o al-Sharaa) che ieri ha affermato per la prima volta in un’intervista all’Economist che la presenza militare statunitense in Siria è “illegale”.
Il ritiro americano dalla Siria risulterebbe in ogni caso necessario entro settembre, quando in base agli accordi tra Washington e Baghdad dovrebbero venire ritirate tutte le forze USA e della Coalizione anti ISIS presenti in Iraq. Sono infatti le basi irachene a garantire il supporto e l’avvicendamento ai militari statunitensi schierati in Siria Orientale.
Foto Maxar e Ministero Difesa Russo
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