La “Guerra fredda” nei servizi segreti bulgari

Nel lungo vociferare sul probabile ricambio al vertice dei Servizi bulgari ha trovato conferma lo scorso 9 marzo, quando il Ministro della Difesa Nikolay Nenchev (nella foto a sinistra) ha disposto la rimozione dall’incarico di  Veselin Ivanov, Capo dei Servizi d’informazione militare (SVI-Sluzhba Voenna Informatsya) dal 2010. Questa decisione sarebbe dovuta a un generale disaccordo sfociato, in particolare, nell’impossibilità di raggiungere il consenso sull’evoluzione della struttura gerarchica di SVI.

A questo proposito, Nenchev ha sostenuto che circa il 39% dei quadri dell’intelligence è entrato in servizio prima del 1991 lavorando, conseguenza, per il regime comunista. Tra questi, circa il 6% è stato formato dal KGB in epoca sovietica quando gli agenti venivano mandati a Mosca per sottoporsi a programmi speciali di addestramento.

Se da un lato la massiccia presenza di personale formato nell’ex URSS ha  suscitato forti preoccupazioni al governo di centro-destra di Borisov, chiaramente orientato a tagliare l’influenza di Mosca, dall’altro risulta difficile confermare dei numeri coperti da segreto di Stato.

Questa incertezza ha quindi contribuito a gettare ombra sulla figura dell’ex capo di SVI che pare appartenere a un ambito politico di vecchio stampo opposto a quello del partito di governo, il GERB (Grazhdani za Evropeyskoto razvitie na Balgarya).

In questo senso, si è espresso l’ex capo della Commissione per i dossier e deputato Gerb, Metodi Andreev (foto a sinistra), accusando Ivanov di vicinanza all’ex Partito comunista bulgaro e di aver ottenuto il supporto diretto del membro Comitato Centrale, Milko Balev, per ottenere la residenza a Sofia prima del 10 novembre 1989 (data che segna, in Bulgaria, la fine del monopartitismo comunista di Todor Zhivkov, rimasto al potere per trentacinque anni consecutivi).

In quest’ottica, risulta ancor più evidente che dietro al rapido allontanamento dell’ex capo dello SVI ci siano motivazioni politiche e personali, piuttosto che la formazione sovietica o il nebuloso giustificativo secondo cui il ricambio del vertice permetterebbe una maggiore compatibilità operativa con i servizi dell’Alleanza.

A dimostrarlo ci sono gli attriti presenti tra Ivanov (nella foto a sinistra)e Nenchev sin dagli inizi del mandato dell’attuale governo. Allora la causa principale era dovuta al rifiuto di Ivanov di consegnare alla Commissione sui dossier una parte dei propri archivi fino al 1991, quando presso il Ministero della Difesa popolare operava ancora il dipartimento predecessore degli attuali servizi, RUMNO (Razuznavatelno upravlenie na Ministerstvoto na narodnata otbrana).

Secondo la versione del Ministero della Difesa si tratterebbe di ben 33.000 dossier, ma Ivanov ne ha indicati solo 4.000, riguardanti cittadini stranieri che collaborarono con i servizi segreti comunisti. In ogni caso, rivelare i nomi di quelle liste potrebbe porre in posizioni scomode i collaboratori o addirittura, secondo quanto sostenuto dagli agenti dell’intelligence militare, metterli in pericolo di vita.

Una simile ipotesi appare plausibile soprattutto alla luce del respingimento – e non senza  la resistenza del Partito socialista bulgaro – del paragrafo 12 della Legge sui dossier, che tutelava i nomi di queste personalità dalla diffusione al pubblico. Da parte sua, il Ministro della Difesa ha assicurato che la consegna degli archivi non costituisce pericolo poiché, per legge, la Commissione sui dossier rileva solo informazioni di cittadini bulgari che hanno lavorato per la ex megastruttura della “Sicurezza nazionale” (DS -Darzhavna sigurnost) e per il RUMNO.

NATO Secretary General visits the Republic of BulgariaIn ogni modo esistono forti sospetti che ex agenti dei servizi segreti del regime comunista continuino a occupare posizioni apicali nella vita politica e pubblica della Bulgaria creando le condizioni per manipolazioni. In linea di principio questo non è accettabile nei Paesi con determinati standard democratici ma nella legislazione bulgara non esiste un divieto in questo senso.

Al contrario, l’art. 101.4 della Legge sulla difesa e le forze armate afferma che “nell’esercizio delle proprie funzioni il personale militare appartenente ai Servizi d’informazione militare può rivestire, sotto copertura, funzioni all’interno della Pubblica Amministrazione e in soggetti giuridici secondo le disposizioni e nei termini prestabiliti da un atto del Consiglio dei ministri”. Il grande rischio è che queste nomine possano essere usate in maniera strumentale corrompendo l’indipendenza e la terzietà delle decisioni.

Infatti, il Ministro della Difesa, non è solo il diretto e immediato responsabile di SVI ma, per legge, può anche “assegnare compiti ulteriori ai Servizi d’informazione militare connessi con la sicurezza nazionale e la difesa dello Stato”. Questi ampi poteri discrezionali del Ministro della Difesa, in certi casi, potrebbero provocare un’interferenza in settori pubblici, non connessi con la sicurezza, dove gli agenti potrebbero trovarsi a operare sotto copertura.

Con queste premesse, il ricambio al vertice di SVI pare mostrare solo i suoi lati oscuri ma potrebbe anche produrre effetti positivi, soprattutto per un maggiore controllo nel flusso delle informazioni coperte. Verosimilmente questa decisione potrebbe essere stata accelerata da velate pressioni esterne, soprattutto da parte degli alleati della NATO e alla luce dell’attuale confronto con la Russia. Non a caso, dall’inizio del mandato di questo governo, il Premier Borisov ha ricevuto numerose visite di alleati occidentali, tra cui quello del Segretario Generale della NATO Stoltenberg e, lo scorso 4 marzo, del Capo dell’FBI, James Comey.

La formazione di stampo sovietico del 39% degli ufficiali di SVI non significa, di per sé, la slealtà degli agenti ma è certamente un indicatore della chiusura dell’intelligence bulgara, che sarebbe difficilmente in grado di prevedere le minacce al Paese, guardando al passato anziché al futuro. Mentre molti Paesi ex comunisti hanno sostituito i veterani di stampo sovietico con giovani ufficiali formati nelle accademie occidentali o nei corsi della NATO, il sistema bulgaro è rimasto ermetico ai cambiamenti. Al momento resta auspicabile un rapido svecchiamento che permetta di guadagnare maggiore operatività e capacità di far fronte alle nuove minacce alla sicurezza.

Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.

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