Libia e immigrati: l'Europa non esiste

da Nuova Bussola Quotidiana del 25 aprile 2015

Il vertice dell’Unione Europea, che avrebbe dovuto prendere seri provvedimenti contro i trafficanti di esseri umani dalla Libia e i flussi sempre più massicci di immigrati clandestini, si è risolto in nulla… o quasi.

L’aspetto di deterrenza nei confronti dei criminali e quello prettamente militare incentrato, si diceva nei giorni scorsi, sulla distruzione preventiva dei barconi è stato rimandato alle calende greche attribuendo a Federica Mogherini la delega di approfondire presso i partner Ue la possibilità e la disponibilità ad attuare questo tipo di misure. Ci vorranno settimane per vagliare le opzioni raccogliere una forza congiunta (dove però ogni Paese manterrà limiti d’impiego nazionali) ed eventualmente costituire una forza da combattimento.

In pratica l’Europa ha dimostrato ancora una volta al mondo che non esiste. Non è capace neppure di decidere di fare la guerra a criminali e terroristi e non appare in grado di impedire l’assalto alle sue frontiere da parte di individui che si affidano ad organizzazioni malavitose.

Gli unici che sembrano pronti ad agire sono italiani e britannici. Il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha parlato giovedì di “azioni mirate” per fermare i trafficanti di esseri umani. “Noi siamo pronti. Speriamo che l’Europa sia, al nostro fianco, pronta come noi” ha aggiunto. Oggi il Segretario generale dell’Onu, Ban-ki moon, visiterà Lampedusa e il dispositivo navale italiano nel Canale di Sicilia, visita forse propedeutica a concedere a Roma un mandato per dare il via a operazioni militari contro i trafficanti di esseri umani.
Anche i britannici sembrano pronti ad affiancare gli italiani e invieranno nel Mediterraneo la nave da assalto anfibio Bulwark  nella (foto a sinistra)  con tre elicotteri e unità di forze speciali e Royal Marines e un paio pattugliatori.

“Dobbiamo smantellare le gang” in Libia “e stabilizzare la regione”, ha detto il premier David Cameron da sempre favorevole a risolvere la crisi con il respingimento sulla costa libica dei migranti.

Qualche contributo navale arriverà da Lettonia, Lituania, Irlanda, Polonia, Belgio, Svezia, Francia, Germania, Finlandia, Regno Unito e Norvegia che hanno già offerto elicotteri e navi e personale non per “fare la guerra” ai trafficanti, bensì per rafforzare l’operazione Triton targate Frontex che vedrà triplicati mezzi e finanziamenti.

In pratica costerà 9 milioni di euro al mese, come Mare Nostrum, ma sarà raffazzonata e del tutto inutile. Raffazzonata perché ogni Paese contributore potrà decidere se trattenere la sue nave entro le 30 miglia dalla costa siciliana o se impiegarla anche verso le coste libiche e per soccorrere i migranti. Triton è una missione di sorveglianza e non di soccorso (compito che è facoltà dei singoli Stati), come ha tenuto a precisare il direttore dell’agenzia europea delle frontiere Fabrice Leggieri in un’interessante intervista a Le Figaro.

“Si deve portare soccorso a chi è in pericolo” e “accordare diritto d’asilo” ma “non si deve fare il gioco degli spietati trafficanti d’uomini, disposti a obbligare i migranti a imbarcarsi con il mitra puntato alla schiena”. Leggieri ha smontato anche la leggenda cara ai fautori dell’accoglienza senza se e senza ma dei profughi di guerra aggiungendo che “i migranti che intraprendono la strada libica ormai arrivano dall’Africa, non più dalla Siria o dall’Iraq” e per lo più “partono per problemi economici, e possono e devono essere rispediti a casa loro”.

Paradossale però che alla luce di queste affermazioni la triplicazione di Triton rischi per produrre l’effetto opposto aumentando di fatto la flotta che soccorrerà i migranti e li trasferirà in blocco in Italia arricchendo ulteriormente trafficanti e terroristi.

Perché i partner europei sono pronti a stanziare qualche milioncino e a inviare qualche nave ma non vogliono saperne di accogliere immigrati clandestini. Tutti i Paesi che si sono impegnati a fornire navi hanno detto chiaramente che i clandestini che dovessero eventualmente soccorrere verranno sbarcati in Italia. E noi ci vendicheremo, come abbiamo fatto finora, lasciandoli liberi di muoversi verso le frontiere settentrionali per arrivare in Nord Europa.

Difficile dare torto ai nostri (per così dire) partner, consapevoli che più immigrati illegali accoglieremo più ne arriveranno. In ogni caso anche i rinforzi promessi per Triton giungeranno nel Canale di Sicilia con tutta calma lasciando all’Italia la gestione dell’emergenza almeno fino a giugno.

Di fronte a una flotta da combattimento europea ancora da costituire e una flotta di soccorso che contribuirà a diffondere, tra i migranti, la certezza di venire accolti in Italia, risulta di difficile comprensione l’entusiasmo con cui Matteo Renzi e Angelino Alfano hanno accolto gli esiti inconsistenti del vertice europeo, certo convocato su iniziativa dell’Italia ma che ha dato risultati quanto meno mediocri in termini di supporto alla risoluzione del problema immigrazione.

Tra i 17 punti approvati a Bruxelles molti sembrano destinati a rimanere lettera morta come il rimpatrio dei “migranti per motivi economici” cioè quasi tutto che non hanno diritto all’asilo come rifugiati di guerra o politici, il sequestro dei beni dei trafficanti, l’identificazione, cattura e distruzione sistematica delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti e soprattutto “l’incremento della cooperazione con Tunisia, Egitto, Mali, Niger e altri Paesi per monitorare e controllare flussi di migranti e rifugiati prima che arrivino sulle coste del Mediterraneo”. Un’attività preventiva che andava sviluppata negli anni scorsi e che oggi rischia di richiedere tempi lunghi per bloccare “alla fonte” i flussi migratori.

L’orientamento sostenuto in uno dei 17 punti, approvati dalla Ue, di distruggere i barconi sulle coste libiche ha ottenuto l’appoggio del governo libico ufficiale, quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, ma viene osteggiato dal governo islamista di Tripoli, rappresentante del Fronte Alba della Libia sostenuto da Qatar e Turchia che per molti versi appare colluso con i trafficanti. “Il governo di Tripoli non accetterebbe mai che l’Europa bombardi presunte basi di trafficanti di esseri umani. Tripoli si opporrà'”, ha avvertito il ministro degli Esteri dell’esecutivo legato ai fratelli Musulmani, Muhammed al-Ghirani.

“Non possono prendere alcuna decisione prima di discuterne con noi” ha sostenuto il ministro che ha ammonito circa il rischio che un intervento armato provochi danni collaterali “Come saprete se verrà colpito un innocente o uno scafista?”, ha chiesto retoricamente il ministro. “Tu non puoi bombardare un posto in cui sai che un pescatore o un civile innocente potrebbe essere colpito per errore” ha argomentato Ghirani.

La situazione resta fluida e per dare il via ad operazioni contro i trafficanti già annunciate da Renzi e Alfano occorrerà attendere l’esito della visita di Ban-ki moon e le misure che le Nazioni Unite saranno disposte (eventualmente) ad autorizzare. Meglio però ricordare che Algeria, Egitto e Stati Uniti non hanno mai chiesto permessi a nessuno per compiere incursioni contro terroristi o organizzazioni presenti il Libia (al-Qaeda, contrabbandieri, Stato Islamico….) che costituivano una minaccia per gli interessi nazionali.

Foto EPA, Marina Militare e Royal Navy

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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