Sviluppi e limiti dell'operazione Barkhane

Continua ridicolo il balletto di annunci e smentite sulla sorte di Mokhtar Belmokhtar, il co-fondatore dell’organizzazione jihadista ‘Gli Almoravidi’.

Famosissimo contrabbandiere, con eponimo Mr Marlboro, Belmokhtar è uno dei capi terroristi più attivi nel Sahel, braccato come High Value Target dalle forze francesi dell’operazione Barkhane.

Negli ultimi mesi, molti suoi luogotenenti sono stati neutralizzati o catturati dalle forze speciali e dai regolari transalpini. Raid mirati che hanno permesso di sequestrare armi, telefoni portatili e computer ricchi di informazioni utili all’intelligence, ma non fino al punto da risalire al Guercio, responsabile fra l’altro della presa di ostaggi a Tiguentourine.

Ricordate l’impianto di estrazione del gas nei pressi della località algerina di In Amenas? Fu assaltato dai qaedisti della katiba al Moulathamin nel gennaio 2013. All’epoca fu ovviamente Algeri a sbrigare la faccenda

. I commando della 17a Divisione Paracadutisti vi giocarono un ruolo cruciale. Organizzati sul modello degli Spetsnaz sovietici, i para-commandos algerini entrarono in azione dopo quattro giorni di assedio e di negoziati inutili, aiutati dagli specialisti del Groupe d’Intervention Spécial (GIS). I team d’assalto del GIS e della 17a Divisione furono appoggiati nell’operazione da due elicotteri Mi-24 Super Hind, che aprirono il fuoco contro una colonna di 4×4 che tentava la fuga, e da un centinaio circa di blindati e corazzati dell’Esercito.

C’erano anche i cosiddetti ninja, gli uomini del Détachement Spécial d’Intervention (DSI) della Gendarmeria Nazionale, con le uniformi nere e i passamontagna, adusi alla lotta antiterroristica in ambiente urbano. Non fu un’operazione chirurgica, come tipico dei gruppi antiterroristi algerini, ma le unità d’elite evitarono il peggio: 29 terroristi furono uccisi, ma purtroppo morirono anche 37 ostaggi, fra cui un ex commando francese del 1° reggimento parà fanti di marina e tre cittadini statunitensi. Diverse centinaia di lavoratori furono liberati dagli incursori algerini, ma gli americani ritennero di avere un conto in sospeso con Il Guercio.

Misero una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa e ne seguirono le tracce. Nella notte fra il 13 e il 14 giugno scorso, hanno tentato di farlo fuori con un raid aereo. Due F-15E Strike Eagle, probabilmente decollati dalla base di Lakenheath, in Gran Bretagna, hanno bombardato un edificio nella località di Ajdabiya, 160 chilometri a ovest di Bengasi.

L’intelligence statunitense sospettava vi fosse in corso una riunione fra Belmokhtar e altri responsabili jihadisti, compresi i vertici di Ansar Al Sharia, il gruppo implicato nell’attacco al consolato americano di Bengasi e nella morte dell’ambasciatore Christopher Stevens. Il Guercio è stato dato per morto più volte, poi purtroppo è sempre riapparso.

Sembra se la sia cavata anche stavolta, perché gli stessi Almoravidi hanno inviato un comunicato di smentita all’agenzia privata mauritana al-Akhbar, negando perfino la presenza del capo alla riunione.

La stessa Aqmi, in cui Belmokhtar ha militato, ha diramato un messaggio inequivocabile, tramite al-Andalus, il suo megafono: «il Mujahid Khaled Abu al-Abbas (alias Belmokhtar) è sempre vivo e in piena forma».

Il beneficio del dubbio rimane, fin quando lo stesso Belmokhtar non darà un segnale di vita, come fatto recentemente per smentire l’affiliazione del suo gruppo all’Isis.

Poco importa, perché i gruppi jihadisti operanti nell’area sahelo-sahariana godono di amplissima autonomia tattica e stanno riorganizzandosi. I soli Almoravidi hanno rivendicato di recente una sequela di attentati in Niger e in Mali, compreso l’assalto armato a un ristorante di Bamako.

Anche il Ciad sta pagando un altissimo tributo di sangue alla destabilizzazione regionale. N’Djamena è in prima linea nella lotta contro le organizzazioni terroristiche che vi operano, tanto a nord (Aqmi, Almoravidi e parte del vecchio Mujiao confluita nell’Isis), quanto a sud, nella regione del Lago Ciad (Boko Haram).

N’Djamena è il cuore pulsante di molteplici iniziative. Ospita dall’agosto 2014 il quartier generale dell’operazione Barkhane, concepita da Parigi per stanare i jihadisti che si muovono con troppa disinvoltura nell’immensità degli spazi sahelo-sahariani.

Il cervello dell’operazione è armato in maggioranza da una sessantina di militari del CRR-FR (Corps de Réaction Rapide France) di Lilla, rischierati come stato maggiore al posto comando interforze di teatro della base sergent-chef Adji Kosseï a N’Djamena (CRR-FR).

Un piccolo nucleo, puntellato da elementi dell’EMIA-FE (État-Major Interarmées de Force et d’Entraînement) di Creil e presto da un distaccamento di ufficiali belgi del quartier generale multinazionale, che si avvicenderanno in rotazioni semestrali fino al maggio 2016.

Quanto alle forze di prima linea, a inizio giugno, sono arrivati a Gao, in nord Mali, i fanti di marina del 21° RIMa di Fréjus, oggi nerbo del GTD Mistral (Groupe Tactique Désert Ouest). L’8° reggimento paracadutisti dei fanti di marina di Castres ha invece preso le redini del GTD-Est, il Chimère di N’Djamena.

Cinque distaccamenti di collegamento e appoggio operativo completano il dispositivo terrestre a Timbuctù, Tessalit, Kidal e Ansongo in Mali, e a Diffa in Niger, senza dimenticare i piccoli avamposti operativi di Madama, in Niger, e di Abéché et Faya-Largeau in Ciad.

Il polo forze speciali della task force Sabre è sempre a Ouagadougou, in Burkina-Faso, mentre a Niamey, in Niger, c’è il nucleo intelligence-ricognizione, con tanto di droni MALE. Il distaccamento aereo vero e proprio è invece a N’Djamena.

Ma il Ciad non è solo la piattaforma di lancio delle missioni francesi nel Sahel. L’esercito ciadiano ha affiancato sul campo gli alleati francesi fin dall’epoca dell’operazione Serval, distinguendosi per l’hybris pugnace mostrata nei durissimi combattimenti contro Aqmi nell’Adrar des Ifoghas, nel nord del Mali.

Da allora, continua ad esser presente in Mali, essendo uno dei principali fornitori di caschi blu della MINUSMA, la Missione delle Nazioni Unite in loco, una delle più pericolose dell’ultimo ventennio. Il contingente ciadiano ha perso gli ultimi quattro soldati l’11 giugno ad Aguelhok, nell’ennesimo attentato suicida, che ha scosso questa cittadina a metà strada fra Kidal e Tessalit, non lontano dalla frontiera algerina. Una terra inospitale, dominata dai Tuareg.

Pochi giorni prima, il premier maliano Moussa Mara aveva messo in guardia la comunità internazionale. Intervistato da Reuters, il Primo ministro riteneva «stranamente sottovalutata la minaccia dei jihadisti rifugiati nelle zone franche in mano ai ribelli tuareg». Una profezia tragica, che ha portato a oltre 50 i morti ciadiani dall’inizio delle operazioni in Mali.

Ma nessuno in Ciad parla di ritiro anticipato o si illude di poter combattere una guerra, anche asimmetrica, a zero morti. N’Djamena ha infatti reagito con orgoglio. Da tempo sapeva che nemmeno il territorio nazionale sarebbe stato al riparo da attentati terroristici.

A più riprese, il presidente Idriss Déby-Itno aveva detto di temere infiltrazioni dal sud della Libia, che trabocca di jihadisti e trafficanti. Non aveva però nominato Boko Haram. E la minaccia si è palesata proprio da nord, il 15 giugno, con un duplice attentato simultaneo contro il commissariato centrale e la scuola di polizia della capitale.

Alla fine il bilancio è stato pesante, con 33 morti e un centinaio di feriti. Un attacco non ancora rivendicato. Le autorità investigative non hanno comunque perso tempo e grazie agli indizi raccolti sui corpi dei kamikaze ne hanno stabilito la provenienza dal lago Ciad, dove la pratica della scarificazione è abbastanza usuale.

La reazione è stata quasi immediata, forte, con diversi raid aerei nel nord della Nigeria, feudo di Boko Haram . Il 18 giugno, una fonte dello Stato maggiore ciadiano ha confermato che i bombardamenti avrebbero distrutto «sei basi, inferto perdite e provocato danni materiali ai terroristi, perché nessuna goccia di sangue ciadiano rimarrà impunita».

Mancano i dettagli, ma il raid dell’aviazione potrebbe esser stato sferrato da uno degli 8 velivoli d’attacco Su-25 UB «Frogfoot» in linea di volo. L’aeronautica ciadiana conta inoltre solo un pugno di elicotteri Mi-17 e Mi-24/35. Non è la prima volta che colpisce in Nigeria. A fine gennaio aveva bombardato rifugi di Boko Haram a Gamburu, città distante non più di 500 metri dal confine camerunense.

All’epoca, il Ciad aveva lanciato a partire dal Niger e dal Camerun una duplice offensiva contro i jihadisti nigeriani, ormai affiliatisi a Daech.

Ha perso nei combattimenti oltre 70 uomini, ma non arretra. Con i paesi della commissione del bacino del lago Ciad, contribuirà alla forza mista internazionale nata sotto l’egida dell’Unione Africana per combattere Boko Haram . Gli 8.700 uomini dovrebbero esser in teatro dal prossimo 30 luglio. Avranno una mano anche dai francesi, che poco tempo fa hanno spedito d’urgenza un quarto Rafale a N’Djamena proprio per l’impegno aggiuntivo delle missioni contro Boko Haram. Dall’estate scorsa, i Rafale garantiscono sortite di ricognizione-intelligence, accentuatesi con l’escalation della galassia terrorista a fine anno.

Dotati di pod Reco-NG, i Rafale possono osservare senza difficoltà gli spostamenti tattici in Nigeria settentrionale, senza sorvolarne lo spazio aereo, direttamente dal sud del vicino Niger.

Un aereo ISR leggero della Direzione dell’Intelligence Militare, affittato dalla compagnia CAE Aviation, è stato distaccato nella stessa zona, per garantire un flusso d’informazioni in tempo reale e non. A Parigi, lo Stato Maggiore ha riconosciuto di avere allo studio un piano per rafforzare il dispositivo di Barkhane, destinando il 10% del supplemento di mezzi alla minaccia jihadista nord-nigeriana.

Cosa che il comandante dell’operazione, generale Jean-Pierre Palasset, aveva sempre auspicato, prima di lasciare il mandato, in scadenza il prossimo agosto. Secondo Jean-Marc Tanguy, il mini-surge potrebbe concretizzarsi in un mix di veicoli blindati terrestri VAB, AMX 10 RCR Caesar e, forse, VBCI che arriverebbero dalla metropoli via mare, su nave cargo affittata o su unità anfibie del tipo BPC, per transitare dal porto di Douala, in Camerun.

Nel frattempo, il dispositivo della forza Barkhane sta aggiungendo diversi tasselli al suo mosaico operativo. La base avanzata di Madama sarà pienamente operativa a luglio, con la pista in laterizio da 1.800 metri.

Vi trovi oggi come elemento combat permanente un battaglione nigerino e, soprattutto, i legionari paracadutisti del 2° REP. Sì, gli stessi che si sono lanciati sul passo di Salvador la notte del 7 aprile. Una missione poco nota di 90 uomini, appoggiati da un team di ricerca del 13° dragoni parà. Un lancio a sorpresa che purtroppo non ha dato tutti i frutti sperati. Ha anzi evidenziato la carenza di mezzi dell’intera operazione.

Per un teatro vasto 8 volte la Francia, le forze d’oltralpe hanno una ventina di velivoli ad ala fissa e 22 elicotteri, se si escludono i mezzi della DGSE (Direction Générale de la Sécurité Extérieure) e del Comando per le Operazioni Speciali.

A Niamey operano 2 cargo C-160, 3 cacciabombardieri Mirage 2000D, un C-135 FR, 2 droni Harfang e 3 Reaper, mentre due Puma Resco sono a Madama per le operazioni di evacuazione sanitaria e l’appoggio di fuoco con il cannone da 20 mm.

Anche la zona di stazionamento della base aerea di Niamey è stata appena consolidata e può movimentare cargo medi come gli A-400M e tanker. I Reaper del 1/33 Belfort che vi decollano hanno da poco totalizzato 5.000 ore di volo e 350 missioni.Una sorveglianza limitata per ovvi motivi a settori precisi, come valichi, punti di passaggio o zone di annidamento potenziale di gruppi armati.

Senza armi, i Reaper francesi (come quelli italiani) vengono spesso impiegati prima di una missione, nell’ambito di una PREO (Préparation Renseignement de l’espace opérationnel) e durante le operazioni, per assicurare una sorveglianza permanente.

Anche N’Djamena è stata ampliata. Vi partono 4 Rafale, 2 Casa (fra cui un Nurse), 1 C-130, 1 C-135 FR e 2 elicotteri Caracal. Ma il grosso delle forze elicotteristiche e terrestri è in Mali, con 1.200-1.300 uomini a Gao, un centinaio a Tessalit e sette a Bamako per il segmento politico-militare.

Gao ha un proprio distaccamento elicotteristico, in gergo SGAM con due Tigre HAP, tre Gazelle, quattro Puma, due NH-90 e due Cougar ammodernati, un sottogruppo d’intelligence multi-sensoriale (SGRM), un sottogruppo trasmissioni e due polivalenti, con mezzi di fanteria, cavalleria, genio e artiglieria. Il Pilatus PC-6 è utilizzato per collegamenti logistici e per il lancio di commando.

Ma è difficile fare molto con il poco a disposizione, soprattutto operazioni eliportate di soppiatto. Basta misurare la distanza fra Gao e il principale santuario jihadista nel nord dell’Ifoghas.

Tessalit ha pochi veicoli per motorizzare il personale in loco, mentre gli elicotteri della MINUSMA sono off-limits per le operazioni di Barkhane, avendo i soliti caveat e regole d’ingaggio a dir poco restrittive. L’Afghanistan è solo un lontano ricordo, quando i francesi potevano disporre per i lanci eliportati dei CH-47 americani. Sono invece i terroristi a colpire all’improvviso, con lanci di razzi, meno frequenti ultimamente, mine e IED.

Per fortuna, la base di Gao ha potuto godere delle lezioni tattiche apprese in Afghanistan ed è stata protetta con i radar GA10 di Thales, schierati anche a Niamey e, sembra, a Tessalit. Il GA (Ground Alerter) permette di calcolare l’azimut di provenienza dei tiri fino ad un massimo di 10 chilometri ed è completato da sensori sonori del sistema Cobra.

Alla sorveglianza perimetrica delle basi provvedono le telecamere Margot, sempre targate Thales. Ma come sono cambiati i tempi. Dagli anni ’60 a oggi, la Francia ha compiuto in Africa oltre 50 interventi militari ufficiali, senza contare le operazioni segrete e clandestine, appannaggio del Service Action della DGSE. Le missioni sono in aumento, gli effettivi in calo: quelli schierati permanentemente da Parigi nel Continente Nero sono diminuiti del 75% nello stesso periodo di tempo. Non è più ‘Africa First’

Mancano gli uomini, a Parigi come altrove in Occidente. E il ritmo delle operazioni ne risente. Nella fascia sahelo-sahariana molto è affidato alla buona volontà e al sacrificio dei soldati.

Con 3.300 uomini e pochi velivoli, l’operazione Barkhane sperimenta tutte le difficoltà di agire in un teatro immenso, con tempi di volo lunghissimi e un’usura dei mezzi senza precedenti. Almeno il 20% dei materiali terrestri di ritorno dal teatro nordafricano sono irrecuperabili.

Nel nord del Mali, il clima è impietoso. Si sfiorano i 45°. Le sabbie del Sahel sono fortemente abrasive e altrettanto usuranti le rocce dei rilievi dell’Ifoghas.

Le parti meccaniche dei mezzi ne soffrono e gli elicotteristi si stanno dannando l’anima. Non solo manca il personale combattente a terra, forte di appena due pedine tattiche, ma la disponibilità dei materiali è ridotta al lumicino. Lo stato delle piste è pietoso.

Quasi impossibile l’effetto sorpresa. Dispiegando nel Sahel i sei velivoli attualmente impiegati in Giordania, i 900 uomini dell’operazione Daman in Libano e un’aliquota dell’operazione interna Sentinelle si potrebbero quasi raddoppiare le capacità di Barkhane, controllare più tenacemente il Mali e presidiare i punti chiave della regione.

Foto: EMA (Difesa Francese), AP, AFP

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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