LA BELLA ADDORMENTATA NELLA GIUNGLA DEL JIHAD

Neppure le azioni terroristiche multiple condotte ieri su un gran numero di fronti dai miliziani dello Stato Islamico e dei movimenti ad esso aderenti serviranno probabilmente a dare la sveglia a un’Europa in catalessi. Benché non si tratti di attacchi in grado di modificare gli equilibri politici o militari sui diversi fronti del jihad, per lo Stato Islamico rappresentano un colpo vincente sul piano propagandistico che dimostra una capacità di operare su vasta scala che molti anche oggi cercano ancora di negare.

Inutile parlare di coincidenze, gli attacchi che in 24 ore hanno colpito Francia, Tunisia, Kuwait, Somalia e Siria non possono essere casuali. Diciamo piuttosto che è più comodo pensare che sia così nella speranza di poter continuare a far finta che l’IS non sia un problema nostro benché colpisca gli europei a pochi chilometri da noi, anzi, già qui da noi, in Europa. In Italia continuiamo addirittura ad illuderci che non verremo attaccati perché manteniamo un basso profilo contro i jihadisti.

E’ vero, stiamo riempendo casa nostra e l’Europa di immigrati clandestini per lo più islamici intolleranti come dimostrano molte cronache, senza neppure chiedere loro i documenti o anche solo nome e cognome. E poi non attacchiamo lo Stato Islamico in Libia benché minacci i nostri interessi vitali e in Iraq i nostri bombardieri Tornado hanno totalizzato un record mondiale nella Storia dell’aviazione:  oltre mille ore di volo sul territorio dello Stato Islamico senza sganciare una sola bomba.

Illudersi però che la solita politica italica da 8 settembre ci metta al riparo dalla furia dei jihadisti è patetico e anche un po’vile. In base a questo principio se non ci attaccano è solo perché ci considerano già loro semi-complici o facilmente assimilabili.
La messe di attentati del 26 luglio ci conferma del resto  che l’organizzazione jihadista non è stata indebolita da quasi un anno di guerra dichiarata e poi condotta in modo ambiguo e blando dalla Coalizione a guida statunitense. In questo caso “guerra” è una parola grossa se si considera che la povera aeronautica di Bashar Assad ha messo a segno in Siria il quadruplo dei raid effettuati dall’intera Coalizione su Siria e Iraq.

L’aspetto più rilevante è che il Califfato ha dimostrato ieri che nell’ultimo anno non ha solo raccolto l’adesione di tanti gruppi jihadisti che prima si riconoscevano in al-Qaeda ma li ha “messi a sistema” creando una struttura di coordinamento, in termini militari di comando e controllo, che ha funzionato molto bene nel concatenare una vasta serie di attacchi terroristici cominciata a Kobane e Hasaka e poi proseguita nella moschea sciita di Kuwait City, sulle spiagge tunisine di al-Kantaoui, nelle savane tra Mogadiscio e Baidoa e nei pressi di Lione.

Una sequenza spettacolare che allunga la scia di sangue del jihad che evidenzia come l’IS  sia lontano dall’essere sconfitto ma soprattutto l’incapacità politica, sociale e militare europea di contrastare la minaccia.

Perché questa guerra dobbiamo combatterla noi, non la combatteranno certo gli Stati Uniti che non sembrano minimamente preoccupati da un IS che sta mettendo in difficoltà i loro competitor perseguendo una strategia di destabilizzazione delle aree ricche di gas e petrolio (dalla Libia al Medio Oriente, dall’Ucraina all’Armenia e presto toccherà all’Asia Centrale) che è negli interessi di un’America divenuta super potenza energetica.

Noi europei siamo così sprovveduti da lasciar guidare la guerra contro il Califfato a Stati Uniti, Turchia e monarchie del Golfo, che sono stati i principali sponsor di quello come di altri movimenti jihadisti.
Ancora ci meravigliamo che la “finta guerra” degli USA si trascini senza successi?

O che in Europa ci siano “cellule dormienti” e veterani del jihad pronti a colpirci? Abbiamo dimenticato gli attentati a Madrid nel 2004 e  Londra l’anno dopo?  Quali sostanze stupefacenti abbiamo assunto per aver già rimosso persino il recente attacco a Charlie Hebdo?

Ci stupiamo perché i servizi di sicurezza non riescono a tenere sotto controllo 24 ore al giorno le troppe migliaia di simpatizzanti del jihad  cresciuti in Europa grazie a tolleranza, buonismo, immigrazione selvaggia, nazionalità regalata e soprattutto assistenzialismo sfrenato pagato con le nostre tasse?

Tutte cose che dovremmo già sapere  dagli “anni d’oro” di al-Qaeda, ben prima che nascesse il Califfato.

Ci meravigliamo pure per gli attacchi ai turisti occidentali fingendo di aver dimenticato anni di attentati in Egitto e la strage qaedista a Bali nel 2002.

La sequenza di attentati di ieri ha del resto colpito i nemici di sempre del jihadismo sunnita, quelli indicati già nel 2004 dall’ispiratore dello Stato Islamico, il giordano Musayb al-Zarqawi che fu capo di “al-Qaeda in Mesopotamia”: cioè gli sciiti e gli “infedeli” che nei giorni scorsi l’IS aveva additato come bersagli da colpire durante il Ramadan.

Anche l’attacco ai turisti europei in Tunisia è molto simile a quello effettuato nel febbraio scorso al Museo del Bardo di Tunisi in cui morirono anche 4 italiani ma la vulnerabilità dell’Europa sta anche nell’assenza di rappresaglie militari.

Le milizie sciite rispondono con l’occhio per occhio agli attacchi del Califfato, i giordani vendicarono il rogo del loro pilota seppellendo (secondo indiscrezioni) sotto le bombe d’aereo almeno 2 mila persone nei territori in mano all’IS mentre l’Egitto nel febbraio scorso reagì con raid aerei e sanguinose incursioni di forze speciali su Derna quando 21 copti vennero sgozzati sulla spiaggia dai jihadisti.

Gli europei invece hanno subito l’uccisione di connazionali inermi senza una sola reazione che non fosse affidata alle solite chiacchiere di circostanza.

Invece di mettere alla gogna i foreign fighter che rientrano dalla Siria (dove andarono con la nostra benedizione per fare la guerra a Bashar Assad che pure l’Occidente voleva far cadere come Gheddafi) li lasciamo liberi di muoversi e abbiamo addirittura varato programmi di recupero (come fossero tossicodipendenti) che in Danimarca prevedono di pagare loro persino l’università.

Vedrete che anche i morti sulle spiagge di Sousse non verranno “vendicati” con adeguate rappresaglie militari (come radere al suolo Raqqa o Mosul, “capitali” del Califfato, solo per fare un esempio) da un’Europa che invece di fare la guerra ai jihadisti mobilita inutilmente flotte e  persino portaerei per contrastare (ma solo a parole) barconi e trafficanti di esseri umani in una Libia dove nessuno prova nemmeno ad attaccare i santuari dello Stato Islamico.

Vulnerabili e imbelli, noi europei siamo bersagli ideali per i jihadisti.

Twitter @GianandreaGaian

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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