LA MARINA ITALIANA VESTE I MARINAI LIBICI

La nuova marina libica vestirà all’italiana, magari non all’ultima moda ma all’italiana. L’accordo tecnico reso noto oggi prevede la cessione gratuita di vestiario in disuso, appartenente alle vecchie uniformi della Marina Italiana ai marinai libici che riceveranno uniformi kaki (sostituite tre anni fa dalle ‘blue navy) per oltre 65mila capi tra camicie manica lunga e manica corta, pantaloni estivi e invernali, magliette intime, pigiami e cinture. La cessione ai libici ha consentito di svuotare dalle rimanenze di magazzino le basi di Taranto, Augusta, La Spezia, Ancona e Cagliari. La consegna è avvenuta il 6 febbraio a Tripoli, in occasione della visita del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, nel corso della quale l’esercito libico ha ricevuto in dono dall’Italia anche equipaggiamenti decisamente più impegnativi. Come i 20 blindati leggeri Puma (gli equipaggi libici destinati a questi mezzi sono in addestramento in Italia), mezzi recenti acquistati dall’esercito in 600 esemplari tra il 2001 e il 2004 ma rivelatisi vulnerabili agli ordigni improvvisati durante la missione in Afghanistan e già in dismissione presso molti reparti.
Italia, Francia e Gran Bretagna hanno attivato missioni di supporto alla riorganizzazione delle forze armate libiche fin dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi anche con l’intento di aggiudicarsi lucrose commesse per nuovi armamenti ed equipaggiamenti. Speranze finora andate deluse anche a causa del caos che regna nel Paese nordafricano. La Marina italiana ha bonificato da ordigni e relitti i porti libici mentre un centinaio di istruttori italiani sono impegnati ad addestrare i soldati e i poliziotti libici destinati alla protezione di aree “sensibili” (come i siti petroliferi) nell’ambito dell’Operazione Cirene finanziata nel 2013 con 7,5 milioni di euro.
Una Libia “stabile e sicura” è nell’interesse dell’Italia e delle sue aziende, perché “in tutti i campi, i rapporti economici hanno bisogno di sicurezza per svilupparsi e prosperare” ha detto Di Paola incontrando il ministro della difesa libico, Mohamed Ali Barghani e il primo ministro Ali Zeidan. Su quella che un tempo era definita la nostra  “quarta sponda” non mancano certo i problemi di sicurezza. La Cirenaica è  infestata dalle milizie islamiste e assomiglia sempre di più al Waziristan pakistano. Fuori controllo anche la regione meridionale del Fezzan dove la decisione del governo di chiudere tutte le frontiere ha ben poco senso dal momento che nessuna forza governativa è in grado di controllare migliaia di chilometri di confini desertici.
Bargthani ha ribadito le “grandi difficoltà” delle autorità locali a controllare confini troppo porosi ed estesi. Una condizione che consente il libero movimento a trafficanti di armi, droga, esseri umani e di milizie e gruppi terroristici. A Tripoli il ministro Di Paola ha sollecitato la ripresa del “controllo integrato delle frontiere” auspicando “passi concreti in tempi brevi”. Un invito a Tripoli  non solo a riconoscere in senso generale i crediti vantati dalle aziende italiane con il regime di Gheddafi ma soprattutto a onorare e completare il programma per la realizzazione di una rete di sensori in grado di monitorare tutte le frontiere libiche. Una gara vinta da Selex, società del gruppo Finmeccanica, che ora vede insidiato il suo contratto dalla scarsa credibilità delle autorità di Tripoli e dalla concorrenza francese che vede Eads proporre ai libici i propri prodotti. Solo nel settore difesa e sicurezza Finmeccanica vanta crediti per due miliardi di dollari con la Libia. “Abbiamo bisogno del vostro aiuto, abbiamo problemi alle frontiere, difficoltà a controllare l’immigrazione clandestina”, ha confermato Barghani sottolineando le richieste di aiuto all’Unione europea. La Libia non è certo un Paese del terzo mondo e i proventi dell’export di gas e petrolio sarebbero sufficienti a finanziare un programma pluriennale di completo equipaggiamento e addestramento delle forze armate e di polizia, inclusa quella di frontiera. Il timore è che Tripoli punti a ottenere aiuti gratuiti dall’Italia paventando (come fece a suo tempo Gheddafi) la minaccia di nuove ondate di migranti africani verso Lampedusa.  “Esistono contratti sottoscritti e firmati con l’Italia; da parte nostra c’è l’impegno a rispettarli” ha ribadito Di Paola alimentando il clima di fiducia su un prossimo accordo tra i due paesi.

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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